In
punta di piedi
Katniss
Everdeen│Peeta
Mellark│mostruosamente
fluff
La
prima volta che l'ho sentita muoversi dentro di me, sono stata
letteralmente divorata da un terrore che pareva antico quanto la vita
stessa.1 C'era di nuovo qualcosa che avrebbero
potuto
portarmi via. Adesso, nel silenzio di questa notte
di fine
maggio, Peeta riposa al mio fianco, sorridendo beato anche nel sonno,
e la bambina dorme nella sua culla qui vicino. Non ha nemmeno
ventiquattr'ore di vita. Fresca come una goccia di pioggia.
La
mia bambina.
Mi
sono rifiutata di chiamarla così, mia,
per tanto tempo. Non
potevo, perché Prim era la mia sorellina, Finnick era mio
amico,
Peeta il mio fidanzato. E in un modo o nell'altro me li hanno
strappati via, tutti. Prim se la sono portata via
le bombe;
Finnick, il povero Finnick, squartato da un branco di ibridi. Annie
ha partorito poco dopo la fine della ribellione, e suo figlio
è la
reincarnazione vivente di Finnick. Stessi occhi verde-oceano, stesso
sorriso rassicurante. E io non riesco ancora ad accettare il fatto di
averlo abbandonato. Il mio sonno è infestato anche da incubi
di lui
che, grondante di sangue, mi supplica di non lasciarlo indietro. E le
mie urla agghiaccianti hanno svegliato Peeta più di una
volta.
Peeta. Peeta che ha sofferto infinitamente per via del veleno degli
aghi inseguitori. Peeta che ha cercato con tutte le sue forze di
uscire da quel baratro in cui il depistaggio l'aveva gettato contro
la sua volontà, per tornare da me.
Niente
che sia mio è mai stato realmente al sicuro.
Ma
questa piccola creatura, che è completamente nuova
e viva
e non ha idea di ciò che il mondo ha in serbo per lei, lei
è mia.
Proprio mia. Così infinitamente mia che
mi ricorda che c'è
ancora qualcosa di buono nel mondo, qualcosa per cui valga la pena
essere felici.
Mi
sottraggo delicatamente all'abbraccio di Peeta. Deve dormire davvero
profondamente; a parte il petto, che si muove appena con i suoi
sospiri, il resto del suo corpo è completamente immobile. Il
piccolo
sorriso che gli increspa le labbra anche se non è cosciente
mi fa
sorridere di riflesso, inconsapevolmente. Immagino cosa stia
sognando. E sorrido di nuovo.
Cautamente,
con il silenzio di un cacciatore nato, cerco di sporgermi oltre il
bordo della culla. Mia madre si è offerta di inviarmene una
nuova di
zecca dall'ospedale, ma io non mi fido molto delle cose nuove. La
vecchia culla mia e di Prim è stata distrutta dai
bombardamenti, ma
questa è appartenuta a Finn, il figlio di Annie. E non
esiste
persona di cui mi fidi di più.
Sbircio
all'interno della culla, il cuore che batte in modo assurdamente
veloce, perché non posso ancora credere che lei sia reale,
che
qualcosa di così innocente e di così perfetto
possa essere stato
affidato proprio a me, dopo tutto quello che ho
distrutto. Ma
lei è lì, indifesa e bellissima, il respiro
profondo, le manine
strette in minuscoli pugnetti. Sono ancora scioccata dall'enorme
quantità di amore di cui mi sento pervadere ogni volta che
il mio
sguardo si posa su di lei. Ha i capelli scuri come quelli delle poche
foto che ho trovato di me stessa da neonata, ma i suoi occhi sono di
uno speciale tipo di azzurro, incantevoli e lucenti, come quelli di
Peeta. Sono così felice che abbia i suoi occhi.
Qualcosa
zampilla dentro di me, qualcosa di più forte e potente delle
lacrime. Peeta ha insistito per chiudere le finestre. Nel caso la
bambina prenda freddo, ha detto. Ma le tende sono ancora tirate, e
lasciano che la luce lunare illumini questo minuscolo fagottino che
non ha mai sentito parlare di Capitol City e degli Hunger Games e non
dovrà mai vivere con la paura della Mietitura o degli
incubi.
Quest'anima così pura non verrà perseguitata dai
fantasmi, come
invece lo sono io. Voglio proteggerla, tenerla al sicuro, assicurarmi
che si senta sempre amata e protetta. Non mi sono sentita
così da
quando Prim...
Prim.
Il solo pensiero mi fa stringere simultaneamente i pugni per impedire
ai singhiozzi di prendere il sopravvento. Quanto avrebbe amato questa
piccola creatura. Quanto sarebbe stata brava a prendersi cura di lei,
con le sue delicate mani risanatrici. Perché, a parte la
testolina
scura, ogni cosa di mia figlia mi ricorda Prim. Il suo stesso faccino
dolce, la sua stessa purezza, ciò che provo per lei
è lo stesso che
provavo, che provo, per la mia sorellina.
È strano ciò che
sento, un miscuglio di incontenibile gioia ed infinita tristezza. Mi
sento attraversare il petto da un dolore lancinante.
Ma
poi accade qualcosa di magico, e la piccola neonata che dormiva nella
culla ereditata dal figlio di uno dei miei più cari amici
apre gli
occhi. E il pianto a cui mi sono preparata non arriva. Batte le
palpebre un paio di volte, e le sue ciglia sono così
piccole,
ma riesco a vederle lo stesso mentre impattano contro le guance rosa.
Mi guarda come se sapesse già tutto, come se sapesse che ho
un
bisogno quasi vitale di questo momento tra noi due, solo tra me e
lei, per ricordarmi che darla alla luce è stata la cosa
giusta sin
dall'inizio.
Perché
Panem è un posto migliore, oggi. Cinna e Finnick e Boggs e
dio solo
sa quanti altri sono morti per assicurarsi che questo accadesse. E la
mia bambina, mia figlia, sarà la prima a
poter beneficiare
del meraviglioso mondo che abbiamo creato. Lei non renderà
vano il
loro sacrificio. La sollevo delicatamente dalla culla, beandomi del
suo calore, sconvolta che qualcosa di così genuino e piccolo
e vivo
riesca a rendermi felice di essere sopravvissuta.
Infine,
dopo tanta attesa, un'unica, lucente lacrima salata mi attraversa la
guancia.
◊◊◊
Tutto
mi è familiare. Il buio della notte, il potente miscuglio di
paura e
gioia estrema. La selvaggia felicità impressa sul volto
addormentato
di Peeta, sorridente anche nell'incoscienza. La culla nell'angolo che
racchiude una nuova vita.
Mi
è difficile credere che siano passati già due
anni dalla nascita di
nostra figlia. Neanche il tempo di un battito di ciglia, che il suo
arrivo ha migliorato le nostre vite in maniera incontrovertibile. La
mia vita, la vita di Peeta, persino quella di mia madre, che ogni
tanto viene a trovarci. La bambina ha iniziato a parlare da qualche
settimana, ma non è ancora abbastanza grande da riuscire a
chiedere
spiegazioni riguardo agli incubi, alle cicatrici disseminate sui
nostri corpi, al perché io e il suo papà andiamo
in visita di così
tante tombe. E io sono felice. Per quello ci sarà tempo.
E
adesso ne è arrivato un altro. Un maschietto. Aspettare lui
è stato
un po' più facile. Non molto, però.2
Durante la
gravidanza ho sofferto ancora di quei terribili incubi in cui mi
vedevo strappare via i miei figli dalle braccia, ma ne è
valsa la
pena. È venuto al mondo di mattina presto, il mio bambino. A
differenza della femminuccia, nata alle ultime luci del giorno,
quando il cielo era dipinto di rosa e di un tenue arancione. Il
piccolo ha una nuvola di riccioli biondi e i suoi occhi sono di un
insolito blu nebbioso. Mia madre dice che presto diventeranno grigi.
I tipici occhi da Giacimento. Sono così felice.
Perché gli occhi
grigi che questo maschietto ha ereditato non sono i miei. Ma di mio
padre. Mio padre, che vive ancora attraverso la voce melodiosa della
nostra piccola e lo sguardo vispo e attento del maschietto.
E
questa è la cosa meravigliosa dei miei figli, e in
realtà di tutti
i bambini. Quando vengono al mondo, riportano in vita piccoli pezzi
di famiglia che credevi di aver perso per sempre. Questo piccolo ha
gli occhi di mio padre. La bambina ha il sorriso di Prim. Peeta dice
che i suoi brillanti occhi azzurri sono come quelli di suo padre.
Mio
padre, la mia sorellina, il padre di Peeta. Sono tornati da noi. E
Peeta è così felice.
Devo
così tanto a Peeta. Mi ha fatto capire che avere dei bambini
non è
una condanna a morte per nessuno di noi, non significa più
vivere
costantemente consumati dal terrore per la prospettiva di nuovi
Hunger Games e di nuove Mietiture, com'è accaduto ai nostri
genitori. Ci è voluto tanto tempo prima che riuscisse a
convincermi,
perché il peso di ciò che ho vissuto in passato a
causa di Capitol
City grava ancora sulle mie spalle, e lo farà per sempre;
gli incubi
che mi perseguitano mi strappano al sonno nel cuore della notte
ancora oggi. Però Peeta aveva ragione. Dannatamente ragione.
Un
figlio ti cambia la vita per sempre. In meglio. E lui è
così felice
quando la bambina riesce a farmi tornare la voglia di cantare
qualcosa, e io lo amo così tanto. Quando gli ho detto di
essere di
nuovo incinta, è impazzito di gioia. Ho temuto che un
infarto me
l'avrebbe portato via, da tanto si era fatto prendere dall'euforia. E
stamattina, quando ho dato alla luce nostro figlio, non ho mai
visto nessuno più felice di Peeta; né prima di
essere spedita nella
nostra prima arena, né dopo. Nemmeno a Capitol City dopo la
vittoria
dei ribelli, con tutta quella gente in festa per le strade.
Adesso
c'è lui, il nostro piccolo maschietto, che dorme nella culla
che
appena due anni fa è stata occupata dalla bambina, dalla sua
sorellina. Quand'ero incinta, ho sempre evitato di usare la parola
sorella, perché mi ricordava troppo la
paura e il dolore e la
mia terribile perdita. Prim, la mia sorellina che non c'è
più. È
stato difficile accettare la sua morte, mi ci sono voluti anni. E
alla fine è stato solo grazie a Ranuncolo, quel gattaccio
pulcioso
che tanto mi odia, se sono riuscita ad andare avanti. Una notte,
svegliata dai miei personali demoni, ero corsa nella stanza di mia
figlia, per controllare che non me l'avessero davvero portata via,
come la mia mente mi aveva mostrato. E Ranuncolo era lì,
raggomitolato in fondo al suo lettino, lo sguardo vigile e attento, e
vegliava su di lei. È stato allora che ho pianto
definitivamente
tutte le mie lacrime e realizzato che Prim non sarebbe mai
più
comparsa sulla porta di casa con il lembo della camicetta fuori dalla
gonna come la codina di una paperella.
Ma
ora, al buio della nostra stanza da letto, lo sussurro piano,
“Sorella”, pensando che mio
figlio ne ha finalmente una.
E
va bene così. Perché le sorelle sono una cosa
stupenda. Una cosa
meravigliosa. E ciò che lega i miei bambini, che non sono
consapevoli di nulla, non farà mai provare loro tutta
l'angoscia e
il terrore che ho provato io ogni volta che Prim era lontana da me.
Questo loro legame mi ricorda, invece, quando le ho regalato la
piccola e sfortunata capretta Lady per il suo compleanno, mi ricorda
le conversazioni sussurrate nel buio della nostra cameretta, la sua
testolina incastrata sotto il mio mento, il modo in cui ci tenevamo
per mano quando eravamo piccole, le collane di corda fabbricate
all'insaputa di nostra madre, le canzoni canticchiate nei momenti di
noia, mi ricorda come nostro padre riuscisse a tenerci entrambe tra
le sue braccia e ci stringesse a sé in uno dei suoi caldi
abbracci,
esattamente come fa oggi Peeta con me e la nostra bambina. Sono
così
contenta che i miei figli abbiano tutto questo. Significa che
potranno vivere la loro vita al meglio, in nome di ciò che
li lega
l'uno all'altra.
Perché
è ciò che anche loro faranno. Proteggersi a
vicenda.
Non
sono pietrificata dal terrore come lo ero due anni fa, quando me ne
stavo in questo stesso punto e fissavo atterrita questa stessa culla,
osservando la bambina così simile al piccolo eppure
così diversa,
chiedendomi se avessi fatto la scelta giusta. In realtà
c'è ancora
un po' di paura, dentro di me, ma è mescolata all'amore;
c'è anche
qualcosa che mi spaventa terribilmente, nell'essere così
fortunata e
felice. Una nuova creatura mi è stata affidata, e ho paura,
perché
in passato ogni cosa che ho amato mi è stata strappata via,
in un
modo o nell'altro. E ora ho questi due bambini, i miei
bambini, che amo più di qualsiasi altra cosa. E sono
così grata
eppure tanto spaventata al tempo stesso.
Mio
figlio si stiracchia nella sua culla emettendo un buffo versetto, e
il suo viso paffuto è così dolce, così
fresco, così bello come
quello di sua sorella, che ancora una volta mi sento pervasa da
quest'assurda gioia che mi rassicura, perché mettere al
mondo i
bambini è una bella cosa. Probabilmente la migliore. Sfioro
dolcemente guancia del mio bambino con un dito, meravigliata ed
insieme tranquillizzata dalla sua innocenza, dal modo in cui lui sia
all'oscuro di tutto ciò che mi tormenta, da come loro, i
miei, i
nostri bambini, non verranno mai perseguitati da
nessuno.
Perché ciò che è successo a noi, a
Peeta e me, è qualcosa che
nessuno avrà mai più la sfortuna di affrontare,
finalmente.
Nda:
Salve a tutti!
Non
ho molto da dire, se non che è la prima storia che pubblico
in
questo fandom.
È
oscenamente fluff, ne sono consapevole, ma spero piaccia comunque.
Katniss è abbastanza complicata da gestire, me ne sono resa
conto
mentre scrivevo... credo di averla inquadrata decentemente, ma lascio
a voi tributes veterani il verdetto (che è meglio) ;)
Ditemi
cosa ne pensate, sia se vi è piaciuta sia se vi ha fatto
schifo! Mi
fareste un gran regalo :)
Ciao
ciao, un bacione! :*
Lilies
Note:
1-2 tratto dall'epilogo di Hunger
Games: Il canto
della rivolta, pag. 421 (Suzanne Collins)
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