The compass which leads the man to the promised land

di yuki013
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Titolo: The compass which leads the man to the promised land
Wordcount: 986
Personaggi: Riku/Sora
Rating: PG15
Generi: sentimentale
Avvertimenti: yaoi, lime, h/c
NdA: 4° settimana del COW-T 3.5 @maridichallenge, prompt "senza luce". È una storia non proprio recentissima, ma ogni tanto mi viene la bizzarra idea da importare qui su Efp qualcosa dal mio LJ. E a del RiSo non si dice mai di no, anche se non ci sono le zozzerie. Sono implicite, but still.
Buona lettura~


Spesso Riku ha avvertito su di sé l’ombra pesante dell’oscurità. La sensazione del buio che ti inghiotte non è piacevole, non è calda, non è familiare. È soltanto pece nera che annebbia la mente e ricopre il cuore, altera i ricordi e ti rende una persona che non sei. Dentro di lui quella pozza di malvagità c’è ancora, nascosta nei recessi del suo animo, pronta a riaffiorare al primo attimo di debolezza. Ogni tanto Riku la sente premere contro le costole, spingere nei polmoni, farsi spazio nella carne, farlo a pezzi dall’interno per uscire. Quando accade gli basta pensare a Sora per smettere di avere paura e ritrovare la strada per la luce.
Sora è come una bussola nel vuoto che lo separa dall’altro se stesso, è come una mappa perfetta delle cose di cui ha paura – il forte, coraggioso Riku che teme qualcosa – e dei punti in cui camminare per aggirarle, è un faro puntato dritto verso l’orizzonte che gli fa credere che alla fine del buio troverà sempre una mano tesa verso di lui, sempre un cuore più forte al quale aggrapparsi. Il piccolo Sora con le guance tonde e paffute che costruisce castelli di sabbia è un ricordo familiare e sereno, il Sora adolescente che indossa pantaloncini al limite della decenza è un ricordo disperato, più carnale, più intimo e desiderato. Tutto riconduce a Sora infine: il buio, la luce, il nulla che c’è in mezzo. Sono tutti infiniti percorsi per raggiungere Sora.
Trovarsi di nuovo cieco per propria scelta lo infastidisce in un certo senso, lo preoccupa, ma la voce di Sora lo riporta al presente. «Riku.» Basta mettere un piede dopo l’altro, dimenticare i perché che lo bloccano e avanzare sicuro. Le dita di Sora gli sfiorano le braccia, le spalle, poi il collo e le tempie. A Riku non serve la vista per sapere che lo sta guardando dal basso con un sorriso pacato, non uno di quelli enormi che rivolge agli altri. Quello è il sorriso che Sora riserva soltanto a Riku, quello che sembra dirgli “ehi, tranquillo, ci sono io” nei momenti in cui a Riku sembra di poter perdere di nuovo se stesso. Le sue mani si posano sopra quelle di Sora, sulle sue guance. Stringe appena e sente il calore familiare della pelle dell’altro invaderlo come un abbraccio rassicurante, qualcosa che sa sempre come ritrovare.
«Riku.»
Sora è di poche parole quando si trovano entrambi al buio di una stanza. Ripete il nome di Riku per un numero indefinito di volte, come per accertarsi che lui sia davvero lì, che non svanirà di nuovo tra le onde dell’oceano o dietro una porta sprangata. Quando si alza sulle punte dei piedi è lui che cerca conforto, non Riku. Il bacio che gli dà è frettoloso, è impaziente, è tutte quelle cose che Sora nasconde agli altri e che con Riku possono uscire allo scoperto. È la vergogna di non essere l’eroe perfetto, il cavaliere senza macchia e senza paura pronto a salvare i mondi dalla rovina. Nel lungo bacio di Riku sente i rispettivi timori mescolarsi e svanire, annullarsi a vicenda nello spazio infinitamente piccolo che separa le loro labbra. Con una mano sfiora la benda che Riku ha sugli occhi, per poi calarla con due dita. Gli occhi verdi di Riku, nella penombra della stanza, sono lanterne che lo riportano a casa.
«Riku.»



Nel buio le sensazioni sono amplificate, le percezioni profondamente diverse. Sora stringe il lenzuolo fra le dita quando Riku lo morde, lasciandogli un segno profondo sulla pancia morbida. A Riku piace particolarmente lasciarne dove potrebbero essere visti, magari in spiaggia o durante una corsa. A Riku piacciono così tante cose di Sora che se dovesse elencarle tutte non basterebbero dei semplici fogli di pergamena. Magari quelle affisse al Colosseo sì, ecco. Riku impiegherebbe fiumi su fiumi di parole per descrivere cose banalissime che per lui sono essenziali – le ginocchia di Sora, ad esempio, che il sole rende rosse nei primi giorni d’estate. I capelli di Sora, che da bagnati gli coprono lo sguardo azzurro e vispo e tracciano sentieri di gocce d’acqua lungo tutto il corpo sottile, facendogli girare la testa e provare un pizzico di patetica invidia. Le cosce di Sora, bianche e lisce e così morbide da stringere fra le dita e sotto i denti che il solo pensarci gli provoca un doloroso principio di erezione. Ci pensa meglio e no, nessuna pagina scritta basterebbe. Magari se incidesse tutto quel che pensa di Sora sulla porta per Kingdom Hearts, magari allora basterebbe. Anche in quel modo comunque non ne è totalmente sicuro.
Riku ama talmente tante cose di Sora che a volte gli viene il dubbio di non poter amare Sora stesso, come se potesse volere più bene ai tramonti delle Islands o alle gare per chi arriva primo all’albero di paopu, o ancora ai duelli con le spade di legno. Riku però sa anche di apprezzare molte cose perché è Sora a rendergliele piacevoli, è il semplice atto di farle con lui che le rende interessanti. Quando Riku chiude gli occhi rivede ricordi su ricordi, e tutti c’entrano in qualche modo con Sora – anche quando non era fisicamente con lui, anche quando si trovava nel buio più nero c’era sempre Sora a fargli da guida, come adesso, con le mani strette nei suoi capelli mentre chiede di più, più forte, ah, ancora, non smettere Riku. Non smetto, vorrebbe dirgli, ma tiene bocca e occhi chiusi, ansima con le labbra strette e i fianchi di Sora tra le dita perché non c’è posto al mondo in cui potrebbe essere più in pace di così, e di questo ha l’assoluta certezza. Non gli servono occhi, labbra, braccia, orecchie, forse neanche un cuore. Non gli serve nulla oltre Sora, oltre la certezza di non dover mai più lasciarlo andare.
Quando si perde non deve fare altro che alzare gli occhi al cielo per ritrovare la giusta rotta.




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