Questi
personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Hajime
Isayama. Questa storia è scritta senza scopo di lucro.
Questo mondo è un posto
crudele…e bellissimo.
Is this gonna be our
end?
I can feel the light
Somewhere in the
darkness
I'll follow you
I'll follow you
Nero – Into
the past
[È questa
la nostra fine?/ Posso sentire la luce/ Da qualche parte
nell’oscurità/ Io ti seguirò/ Io ti
seguirò]
A Mikasa
Ackerman piaceva molto la pioggia.
Due persone ne
erano a conoscenza, e lei non ci teneva a rendere questa sua passione
di pubblico dominio, dato il suo carattere riservato.
Da quando le
sue mani si erano sporcate per la prima volta del sangue di quei mostri
che funestavano le loro terre, si era sentita sporca, come se ci fosse
qualcosa di terribilmente sbagliato in lei. Aveva provato a cancellare
i segni degli scontri strofinandosi le mani fino a creare ferite nella
pelle delicata, ma quel sentimento persisteva, rendendo vani i suoi
sforzi.
Un giorno,
dopo l’ennesima battaglia, erano tutti riuniti al quartier
generale della Legione Ricognitiva. Quando ebbe svolto le mansioni che
il caporale Rivaille le aveva assegnato, Mikasa si sedette davanti alla
finestra, ad osservare pigramente il cielo gravido di nubi plumbee che
man mano andavano addensandosi.
Tutti gli
altri erano sparpagliati nelle camerate, alle sue orecchie arrivavano
il vociare, le risa e le lamentele che rendevano l’atmosfera
di quei giorni cupi, più lieta.
Ben presto la
pioggia cominciò a scendere, dapprima leggera, poi sempre
più pesante ed insistente. Per la ragazza fu come avvertire
il canto melodico ed irresistibile di una sirena. Si alzò,
spalancò la finestra del primo piano, salì sul
davanzale e saltò leggera.
Atterrò
con grazia sull’erba bagnata e cominciò a
camminare verso il boschetto. Al suo limitare chiuse gli occhi e si
sedette contro la ruvida corteccia di una quercia.
Tutto il mondo
era diventato un luogo tranquillo, dove solo il suono ovattato della
pioggia ed il leggero fruscio del vento tra gli alberi, spezzavano la
quiete.
Mikasa tese le
mani con i palmi rivolti verso l’alto e sollevò il
capo al cielo. Il temporale la bagnava completamente e la cosa non
sembrava turbarla minimamente. Anzi, per la prima volta
percepì che l’oscurità, il sangue e il
freddo si allontanavano da lei.
Quella
sensazione di sollievo la provava solo quando sapeva che Eren era al
sicuro.
“Cosa
diavolo stai facendo sotto quest'acquazzone?” la voce del suo
fratello adottivo la fece scattare sull’attenti e si
trovò a fronteggiarlo.
Eren la
fissava con i suoi grandi occhi verdi, nei quali si potevano leggere a
grandi lettere disappunto misto a curiosità della situazione.
Mikasa si
sentì avvampare. Lo sguardo del ragazzo era
l’unico che non riusciva a sostenere. Distolse in fretta gli
occhi dai suoi, puntandoli su un’ interessante pietruzza
bianca.
“Io
stavo solo…” le parole le si bloccarono in gola.
“…niente, lascia stare.” Si
affrettò a chiudere il discorso con tono pratico.
“Se vuoi andare vai, io resto ancora un po’
qui.”
“Non
pensarci neanche, ora entri dentro con me.” Disse Eren
risoluto, abbassandosi al suo livello, accorciando lo spazio che li
divideva.
Mikasa
dapprima si irrigidì a quella inaspettata vicinanza, ma poi
si rilassò. Ricordò quante volte era stata lei ad
osservarlo dormire tranquillo, disteso sotto un albero nel distretto di
Shingashina.
Sorrise
debolmente e si diede della sciocca perché si era di nuovo
fatta trascinare nel tunnel di quei
pensieri. E quei pensieri,
solitamente, sfociavano in un gran mal di testa.
Non
c’era alcuna certezza che Eren la considerasse più
di una sorella adottiva, un’amica di infanzia, una compagna
con la quale dividere le disavventure della loro divisione di
ricognizione.
Eren, dal
canto suo, continuava a chiedersi cosa fosse saltato in mente di fare a
Mikasa, ma dentro di sé sapeva di poterla comprendere. A
tutti capitava di desiderare un momento di raccoglimento per riordinare
i pensieri, elaborare i lutti, trovare una ragione per andare avanti in
quell’epoca così oscura.
Si
sistemò, quindi, accanto a lei, sedendosi con le ginocchia
premute contro il torace. Vide un uccellino rintanarsi nel suo nido per
sfuggire alla pioggia e distese le labbra in un sorriso sghembo.
“Sai
Mikasa, mi sono sempre chiesto perché gli uccelli stiano
nello stesso posto quando possono viaggiare ovunque sulla Terra, andare
lontano, lasciarsi tutto alle spalle. Poi mi faccio la stessa identica
domanda.”
La ragazza lo
guardò sottecchi ed annuì. La loro vita, da
quando i giganti avevano distrutto la loro casa, era stata confusa e
disordinata. Ma se avessero potuto ricominciare lentamente tutto da
capo, avrebbero scoperto ciò che cercavano realmente.
“Hai
mai pensato che viviamo esattamente nel modo in cui siamo tenuti a
vivere?” replicò lei, improvvisamente a disagio.
Eren
sollevò un sopracciglio e scosse la testa.
“Se
stai parlando del destino, sappi che non esiste; se esiste, allora lo
abbiamo costruito noi stessi.”
La forza del
suo messaggio si insinuò fin sotto la pelle di lei. In quel
momento, nonostante piovesse a dirotto, Mikasa si accorse, non senza un
certo sconcerto, che Eren brillava di luce propria. Con una semplice
affermazione e senza alcun gesto ostentato, il coraggio e l’ardore
emanavano da lui riempiendo lo spazio circostante. Non
riuscì a trovare parole per ribattere, così
stettero ancora fermi sotto gli scrosci, l’uno perso nel
silenzio dell’altra.
Fu un fulmine,
caduto a pochi metri da loro, ad interrompere quel momento.
Eren fece leva
sulle gambe e si alzò, stirandosi il retro dei pantaloni
ormai inzuppati.
“Direi
che è ora di rientrare, non vorrei finire fulminato qui
sotto.” Allungò la mano per afferrare i vestiti di
Mikasa e fece un leggero sforzo per tirarla verso di lui. Lei
assecondò il movimento e insieme iniziarono a camminare. La
ragazza guardò come le dita stringevano il tessuto e
provò un guizzo caldo all’altezza dello stomaco.
Quella era un’altra delle prove inconfutabili che si sarebbe
lasciata condurre docilmente in qualsiasi luogo lui avesse voluto,
senza provare alcun rimpianto.
Quando furono
arrivati in prossimità della loro base, un brivido freddo
corse lungo la schiena di Eren. Constatò, infatti, che
Rivaille non avrebbe gradito che il pavimento lindo si sporcasse con
tutto il loro sgocciolare, e sospirò teatralmente al
pensiero che gli sarebbero toccati una bella lavata di capo ed,
ovviamente, una pulita di tutta la tenuta.
Ignorando la
seccatura e l’irritazione che quella bravata avrebbe portato,
si girò ad osservare Mikasa prima di rimettere piede
all’interno.
La ragazza
aveva i capelli incollati al viso, resi ancora più scuri
dalle gocce di pioggia, le guance leggermente arrossate e gli occhi
persi ad indagare qualcosa che lui non poteva cogliere. Non gli era mai
parsa così fragile e distante come allora.
Si preoccupò, e con delicatezza inusuale, le scostò i
capelli dalla fronte.
“Non
hai la febbre, ma sembra che tu non stia bene. Riposati, altrimenti
domani mattina non riuscirai nemmeno a muoverti dal letto.”
Le raccomandò.
Mikasa fu
riportata sulla Terra dal suo mondo di sogni e gli rispose prontamente,
dopo lo smarrimento iniziale derivato da quel gesto inaspettato.
“Hai
ragione, hai ancora bisogno di me. Devo continuare a
salvarti.” Lo punzecchiò bonaria.
Eren storse il
naso e brontolò sommessamente, come al solito punto
nell’orgoglio, ma il suo fastidio non durò a
lungo. Le sorrise e la salutò con un: “Sono un
gigante e sono più forte di te, la tua è tutta
invidia!”
*
Mikasa non ebbe difficoltà a capire come mai
quell’episodio le fosse riaffiorato alla mente. Era successo
esattamente come quando stava per essere divorata da un titano, prima
dell’intervento di Eren, trasformatosi per la prima volta.
Ruotò leggermente il capo verso il ragazzo che stava
inginocchiato al suo fianco, i pugni ad afferrare manciate di terra ed
erba, le lacrime che cadevano al suolo. Urlava disperato, impotente,
ferito nel più profondo della sua anima.
Attorno a lei, il fragore dei passi dei giganti faceva tremare la
terra, le urla agonizzanti dei soldati che venivano catturati gettavano
i restanti in un brutale avvilimento, l’odore ferroso del
sangue permeava l’aria. Da lontano poteva sentire degli
ordini gridati da ufficiali di grado maggiore, ma in quella situazione
di panico, qualsiasi ordine non veniva recepito a dovere.
Mikasa sollevò lo sguardo fino a visualizzare il gigante che
teneva stretto tra le mani quel che restava del corpo smembrato di
Hannes. Il corpo mastodontico e grottesco della bestia si contorceva
strappando pelle, muscoli e ossa con brutalità animalesca, il sangue colava sul
mento e rendeva il suo sorriso maligno un vero e proprio ghigno
partorito da un profondo abisso d’Inferno. Gli occhi ostili
del titano li puntarono, accarezzando il pensiero di gustare la loro
carne.
Per un breve attimo la ragazza si chiese se effettivamente fosse giunta
al capolinea. E quella le sembrò una giornata troppo bella
per sprecarla con un evento rimandabile come la morte. Continuava a
vederne troppa, a dispetto della sua giovane età.
Scacciò quindi quel pensiero e si focalizzò solo
su Eren.
Ora più che mai necessitava del suo aiuto.
Aveva perso la rotta e lei doveva reindirizzarlo, perché un
suo cedimento avrebbe significato anche la sua fine. Se lui avesse
rinunciato ai suoi sogni, allora anche lei li avrebbe abbandonati.
Se lui fosse morto, allora non sarebbe più valso la pena
vivere. Lo aveva detto anche ad Armin, il suo unico desiderio era
quello di restargli accanto, nonostante il ragazzo si sforzasse di
camminare sulle proprie gambe e lasciarla indietro.
Mikasa Ackerman non era mai stata una persona loquace. Per lei i gesti,
gli sguardi, erano le cose che contavano davvero. Ma in
quell’istante, mentre tutto crollava inesorabilmente,
sentì che doveva parlare.
Non avrebbe più potuto avere la possibilità di
farlo; sarebbe potuta soccombere a quel mondo tanto crudele che stava
cercando di cambiare.
“Eren…” lo guardò, vide il
suo dolore, seppe che doveva riportarlo indietro prima che scivolasse
lontano da lei.
“Non andare
dove non posso seguirti.” Pensò.
Le parole, stavolta, vennero pronunciate in modo semplice e
naturale.
“Non è vero.” Affermò, ed il
ragazzo sollevò gli occhi umidi di lacrime incontrando il
suo sorriso.
Mikasa sorrideva. Era uno di quei suoi sorrisi rari, dotati di un
particolare conforto, che si incontrano poche volte nella vita. Ebbe la
capacità di spiazzarlo. Quel sorriso appena accennato
affrontava – o pareva affrontare – l'intero mondo
per un attimo, e poi si concentrava sulla persona a cui era rivolto
donandogli sicurezza.
Mikasa non si lasciava mai andare a fragorose risa, il suo divertimento
era sempre composto, a volte tanto da sembrare frutto di un artificio o
di un particolare allenamento. Ma Eren sapeva che lei non mentiva, era
semplicemente il suo modo di fare. E quel piccolo gesto
bastò a fargli immaginare di essere nel luogo più
pacifico esistente.
Attorno a loro il tempo si congelò in frammenti taglienti
che racchiudevano altre grida, lacrime miste a sangue e terra, paura e
sconfitta.
Eren lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e
spalancò la bocca, senza sapere esattamente cosa dire.
“Eren, ascolta. C’è una cosa che vorrei
dirti.” Esordì.
Il cuore di Mikasa perse un battito, ma il suo tono di voce
restò fermo e tranquillo, nonostante il vortice di emozioni
di cui si sentiva prigioniera.
“Grazie per essere qui con me.”
Il suo sorriso si aprì ancora di più, sincero,
leale, genuino.
“Grazie…per avermi insegnato a vivere.”
Confessò, e avvertì il caldo invaderle il petto.
Non esistevano più la paura, il terrore, la spietatezza di
quel mondo crudele che aveva forgiato con il suo orrore il carattere di
due bambini. Esistevano solo lei ed i suoi sentimenti per Eren.
E Mikasa si sentì libera come quando, a braccia aperte, la
pioggia cadeva su di lei, lavandole di dosso tutta la violenza e la
lordura del mondo.
A quelle parole gli occhi di Eren si sgranarono di più per
lo stupore. Quella che aveva di fronte era davvero la ragazza
introversa, forte e non incline al sentimentalismo, cresciuta con lui?
Il ragazzo si rese conto, forse per la prima volta, che Mikasa aveva
abbandonato definitivamente ogni traccia della sua adolescenza,
sbocciando in una giovane donna.
Una donna che gli stava aprendo il proprio cuore.
Mikasa abbassò lo sguardo ed un tenue rossore le
colorì le guance, prima di continuare.
“Grazie…per avermi avvolto in questa
sciarpa.” La sollevò leggermente, il simbolo di
quella vita che li teneva legati insieme a doppio filo, e le lacrime
cominciarono a scorrerle sul viso sottile. Continuò a
sorridere e si avvicinò a lui impercettibilmente, nella
speranza che capisse.
Che capisse che condividevano gli stessi sogni, che la sua devozione
non derivava da un debito di vita risalente a quando lui
l’aveva salvata dai rapitori.
Voleva che lui comprendesse che lei ci sarebbe sempre stata, in questa
vita e nell’altra.
Che voleva lottare al suo fianco per fare in modo che la promessa di un
futuro non fosse più una minaccia, ma una speranza.
Voleva poter vedere la scia colorata di luci del Nord di cui aveva
letto nei libri di Armin, gli oceani salati, le distese di fuoco, di
ghiaccio e di sabbia, guardare un rosso cielo estivo senza la
costrizione di un muro che strozzava la visuale.
Eren restò senza parole, bloccato al suo posto.
Avvertì la scia salata delle lacrime scendere lentamente
sulla pelle, ed osservò lo stesso fenomeno sul volto della
ragazza. Gli occhi di Mikasa erano di lucida ossidiana grazie al velo
acquoso che li copriva, ma erano brillanti, onesti, dolci.
Un raggio cortese di speranza che guidava l’animo turbolento
quando il mondo gli era avverso.
Eren avrebbe voluto cancellare quelle lacrime e lasciare che il sorriso
di lei restasse per sempre.
Vederla piangere gli faceva male.
Vederla soffrire gli procurava altrettanto dolore.
Lasciò quindi che quello strano potere fluisse nel suo corpo
come un’onda. Sentì di nuovo in sé
crescere la consapevolezza di non essere più un ragazzino
sprovveduto, ma un giovane uomo spinto a combattere per proteggere le
persone a lui care, e per poter cambiare il corso delle cose.
Si alzò di scatto, con un’espressione furente e
determinata che lasciò Mikasa spiazzata.
“Una cosa del genere…la avvolgerò ogni
volta che sarà necessario!” Affermò
risoluto, guardandola da sopra la spalla.
Il gigante tese la sua enorme mano, mentre quelle di Eren
fumavano in maniera sinistra.
Mikasa osservò la scena, accovacciata sull’erba,
protetta dalla schiena di lui.
“D’ora in poi ogni volta che dovrò
farlo…”
Il ragazzo lasciò la frase in sospeso e caricò un
pugno che andò a schiantarsi nel palmo del gigante.
Ciò che ne seguì, fu una pura esplosione di
energia. Dopo l’attacco di Eren altri giganti si avventarono
sul loro simile e cominciarono a sbranarlo.
Non perse tempo, con delicatezza caricò Mikasa dietro di
sé e corse via, al sicuro. Lei si strinse a lui e si
voltò a guardare il titano che veniva divorato. Altri si
paravano dinanzi a loro, ma il ragazzo trasudava uno spirito ed una
volontà così forti e combattivi che i giganti
venivano respinti dalle sue parole, spostando la loro attenzione su
altri e innescando una furibonda lotta.
Una volta sul cavallo, stretta ad Eren ma ancora dolorante per le
ferite subite, Mikasa si lasciò andare ad un sospiro di
sollievo e ad altre lacrime.
Pianse di gioia, di tristezza, di euforia e dolore.
Lui, Armin, gli altri, lei… erano vivi.
Ma ogni vittoria si conquista a caro prezzo, e loro avevano perso
Hannes e Ymir.
Strinse i denti, si fece forza. Come lei anche i suoi amici stavano
cercando di razionalizzare gli eventi che avevano appena avuto luogo.
Una cosa però era certa ed incrollabile: nonostante le
perdite ed i nuovi incubi che ne sarebbero seguiti, loro non avrebbero
perso la volontà di tener viva la fiamma della speranza di
rendere quel mondo crudele di nuovo bellissimo.
***
Salve! Affetta da shipping compulsivo, non ho saputo resistere
all’impulso di mettere nero su bianco il mio neonato
fangirling. Ho praticamente divorato questa serie, che mi è
stata consigliata da un mio amico (bravo ragazzo), ed eccomi qua a fare
occhi a cuoricino per questa coppia <3
Amo loro due insieme e, che ve lo dico a fare, penso che Levi Rivaille
sia l’uomo della mia vita XD La prossima storia la
scriverò su di lui –spero-
Per la storia mi è stata di grande ispirazione la canzone Nero -
Into the past, una soundtrack del film Il grande Gatsby.
Spero che questo missing moment sia apprezzato e, perché no,
mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate in merito. Grazie per la
lettura!
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