P a p e r
Carta, carta, carta.
Carta, ovunque.
Sbattè il pugno sul
tavolino, frustrata; ma dove cavolo era finito quel maledetto coso, doveva essere lì in mezzo,
fra il barattolo di gelato e il raccoglitore delle sue (innumerevoli)
pubblicazioni scientifiche e il libro di cucina svedese che…
«Cerchi qualcosa?»
Jane sobbalzò; la crocchia di capelli malamente
legata alla sua nuca si afflosciò e il mollettone cadde rovinosamente a
terra. Lo raccolse al volo, nervosa.
«Thor! Cavolo! Sto lavorando e devo consegnare un articolo
entro domattina e il computer si è impallato…»
L’altro, di tutta risposta, ridacchiò; era in
pigiama, appoggiato allo stipite della porta del salotto. Non commentò
minimamente il fatto che fossero le quattro del mattino e lei stesse lavorando,
né che la superficie del nero e lucido tavolino (il suo sacrosanto luogo
di studio) fosse diventata bianca per quanto era sommersa da fogli di carta,
né che lei stesse in pigiama dal giorno prima e ancora trangugiasse
gelato. Si limitò a guardarla di sottecchi, ammiccando come se volesse
dire qualcosa; ma poi, evidentemente ripensandoci, si andò a sedere
sull’unica sedia accanto a Jane che non fosse inclinata dal peso dei
libri.
La donna aveva vagamente registrato i suoi movimenti: stava
agitando convulsamente le braccia nel (vano) tentativo di fare spazio su quel
tavolo sempre troppo piccolo. Sistemò pile di fogli fittamente scribacchiati,
buttò dozzine di penne scariche, arrotolò intricati fili del
computer, rimise a posto i due telescopi, finalmente si separò dal suo
gelato, ritrovò perfino le chiavi della macchina… ma niente, di quel maledetto pezzo di carta neanche
l’ombra.
Imprecò sottovoce e si sbragò sulla sedia,
conscia del normalissimo fatto che un
dio del tuono la stesse osservando. Thor ancora la guardava, silenzioso e
imperscrutabile: impossibile dire cosa pensasse. Jane si mordicchiò un
labbro, tesa; ogni tanto sembrava ancora lo sconosciuto di due anni prima,
enigmatico e indecifrabile…
«Cosa hai perso?» chiese ancora l’uomo,
vagamente curioso.
Lei iniziò a picchiettare alla tastiera del suo
laptop il suo ultimo paper
(riguardante le recenti misure fornite dalla missione Planck
sulla temperatura di Radiazione Cosmica di fondo a Microonde, che confermava i
parametri calcolati dal suo gruppo di ricerca specializzato in Cosmologia,
branca in cui lei aveva una delle sue tre lauree) e rispose brevemente:
«Nulla, nulla, alcune costanti numeriche… Le
cercherò altrove, anche se credo di ricordarmele…»
L’altro annuì vagamente. Il restante quarto
d’ora passò nel silenzio della frizzante aria autunnale londinese,
interrotto solo dal lieve tocco delle dita di Jane sulla tastiera.
Thor osservava la donna come se la vedesse ogni minuto per
la prima volta. La sua espressione era un misto di ammirazione, stima, orgoglio
personale e… beh… Prese
un respiro e si sporse in avanti, ma il violento pugno che si abbatté
(ancora) a pochi centimetri dalla sua mano contribuì decisamente a
fargli cambiare idea.
«Questo stupido, stupido, stupido computer»
boccheggiò la donna, inveendo contro la scatoletta nera «era
meglio, molto meglio quando c’era solo la carta…»
Ma di carta, in realtà, in quella stanza non mancava:
il tavolino ne era letteralmente sommerso.
Strani simboli scribacchiati ovunque, calcoli, cancellazioni, pile di fascicoli
sottolineati, disegni di pianeti, svariate mappe dell’universo… e numeri,
numeri, numeri, tanti numeri. Thor era oramai così abituato alla vista
di tutti quei simboli (dei quali per un’intera vita, prima che arrivasse lei, aveva bellamente ignorato
l’esistenza) che quasi non gli facevano più effetto: anzi,
probabilmente grazie alla presenza di Jane, fra tutte le abitudini terrestri la
scienza era quella che più lo incuriosiva. Ad Asgard
scienza e magia erano una cosa sola, ma sulla Terra no: avevano parlato tante
volte di questa profonda differenza fra i loro mondi…
Jane nel frattempo aveva messo bruscamente da parte il suo
laptop; aveva preso una risma di fogli dal cumulo e stava ora scrivendo tutti i
calcoli a mano. Si sentiva parecchio stanca e nervosa; quell’articolo non
stava andando troppo bene, sebbene naturalmente non fosse la prima volta che
era in mostruoso ritardo per la consegna –né di sicuro sarebbe
stata l’ultima, data la sua disorganizzazione mentale. E inoltre, non riusciva
a togliersi dalla mente quella strana sensazione di insicurezza, di
instabilità, di…
«Gravitazione universale, vero?»
La dottoressa Foster si bloccò. Alzò lo
sguardo, alquanto incuriosita e divertita.
«Oh, sì!» mormorò, sorridendo.
«Ti ho insegnato bene, eh?»
«No, sei petulante quasi quanto basta»
replicò l’altro, guardandola ancora di sottecchi e lanciando un
rumoroso sbadiglio.
Jane lo osservò, rapita: era immensamente orgogliosa
di lui. Naturalmente la formula della Gravitazione Universale era banale,
adatta solamente all’introduzione dell’articolo, più per far
scena collegata ad una frase ad effetto che ad altro; ma chissà
se…
«E questo, allora?» chiese lei, sorridendo
ancora, scribacchiandogli un’altra equazione ad un angolo di un foglio
già di per sé riempito di segnacci.
Il dio del tuono ebbe un unico, breve istante di incertezza.
« “F
uguale ma”. Seconda legge della dinamica. Per chi mi prendi?»
La dottoressa si mordicchiò un labbro, soddisfatta;
il suo sorriso si allargò.
«Ok, andiamo sul difficile, allora…»
E scrisse un qualcosa di getto. Ci volle qualche secondo
perché gli occhi azzurri di lui incontrassero quelli di lei.
«Oh, uhm. C’è un maggiore, è una
disuguaglianza, giusto…? E poi c’è questo coso… si
chiamava integrale, no? Era quella roba delle somme di aree di funzioni, per
intervalli che sono sempre più piccoli, vero…?»
La stentorea voce dell’Asgardiano
suonava vagamente insicura, caso strano in un uomo della sua stazza.
«Sì, sì e sì, ma che legge
è questa…?» lo incoraggiò lei, picchiettando con la
penna la formula appena scritta. «Dai! Nei miei libri ci sarà
scritta almeno mille volte!»
Silenzio. Lei fu costretta a dare la risposta:
«Seconda legge della Termodinamica, o –se
preferisci- disuguaglianza di Clausius. L’entropia di un sistema aumenta
sempre. E questa, caro mio, l’hai sbagliata.»
«E questa roba
cos’è, allora?» chiese ancora lui, indicando un altro foglio
vicino a lei.
Lei sorrise: quella
era fisica per lui decisamente troppo complessa rispetto a Newton…
«Oh, questi indici indicano un tensore, e questo
è l’equazione di Campo di Einstein. Descrive la curvatura dello
spazio tempo, assumendo che il Principio Cosmologico sia vero… ti ho
già parlato del Principio Cosmologico, almeno a chiacchiere, vero?»
Gli occhi chiari di lui non ebbero esitazione.
«L’universo-a-grande-scala-è-omogeneo-e-isotropo»
replicò, con l’aria di qualcuno che ha imparato a memoria.
Ma Jane batté ugualmente le mani, sorridendo ancora
mentre lo guardava ammirata; prima o poi glielo avrebbe anche dimostrato matematicamente,
e lui prima o poi l’avrebbe perfino
saputo… Eppure, eppure, a pensarci bene era semplicemente incredibile.
Era piuttosto incredibile il fatto che stesse parlando del
suo lavoro, della sua più grande passione, della sua vita con uno che dallo spazio
c’era venuto, e che le aveva completamente sconvolto la vita da un giorno
a un altro.
Era probabilmente incredibile il fatto che quest’uomo
fosse un dio del tuono, abitante di un mitico regno al di là di
qualsiasi distanza anche solo immaginabile per la mente umana.
Era certamente incredibile il fatto che, fra tutte le
persone che popolavano tutti e nove i regni di cui la Terra ed Asgard facevano parte, lui fosse (letteralmente) piombato proprio su di lei. Una volta Thor le
aveva detto che i Nove Regni contavano qualche centinaio di miliardi di esseri
viventi; qual era, scientificamente parlando, la probabilità che proprio loro due dovessero incontrarsi?
E come era potuto accadere? Thor stesso
aveva dato una risposta almeno a quest’ultima domanda, e d’altra
parte anche la mente più scientifica non avrebbe potuto rispondere in
altro modo: destino.
E sì, era curiosamente incredibile anche il fatto che
l’imbranata, studiosissima, disordinata e disorganizzata Jane Foster
–una che dall’età di circa quindici anni studiava
regolarmente fisica davanti a un computer in pigiama con un gelato in mano,
come la cara Darcy
non faceva che ricordarle- avesse trovato un uomo così incredibilmente bello. La prima volta
che l’aveva visto senza maglietta (per puro caso, ovviamente…) le
era quasi venuto un colpo: era assolutamente troppo per essere vero. Lei, che
non aveva mai indossato niente di vagamente attillato o femminile e che
possedeva una completa inesperienza verso il genere maschile, stare con uno così? Darcy
stessa non mancava di farle notare la sua incredibile, colossale, sfacciata
fortuna ad essersi trovata uno che aveva quegli addominali e quegli occhi e
quelle spalle (… e quel fondoschiena-da-urlo,
aveva più volte sottolineato con una certa invidia). Sembrava incredibile.
Eppure…
Ma la cosa veramente
incredibile era che, noncuranti di ogni singolo milione di anni-luce che li
aveva separati, indifferenti al fatto che al loro primo incontro Thor non
sapesse nemmeno chiedere civilmente
da bere o al fatto che Jane fosse ben lontana dagli stereotipi Asgardiani femminili, nonostante lui per lei avesse
rinunciato al trono che di diritto gli spettava, e a dispetto di tutti i
pericoli che lei aveva corso a causa di lui… loro due erano semplicemente lì.
E dopo tanti patimenti, attese, notti in cui l’uno
scrutava il nero abisso oltre uno strano ponte arcobaleno (mentre assillava il
protettore del Bifrost riguardo a una certa mortale)
e l’altra tendeva il collo verso il cielo (stranamente non per motivi di
lavoro), ora potevano concedersi il lusso di vivere una vita quasi normale, di continuare a guardarsi
increduli l’un l’altra come se avessero ancora paura di
un’imminente separazione, o di parlare di fisica alle quattro del
mattino. Thor aveva preso così a cuore gli interessi di Jane che questi erano
finiti per diventare i suoi stessi interessi; e il fatto che un alieno, che
fino a due anni prima non aveva mai neanche visto un numero, alle quattro di
notte sapesse cosa fosse il Principio Cosmologico era per Jane la dichiarazione
d’amore più bella e
sincera che mai avrebbe potuto ricevere.
Fra loro scese un silenzio carico di significato; come
spesso accadeva da quando lui era tornato, le loro mani si intrecciarono; i due
si limitarono a guardarsi negli occhi. Thor sorrideva; Jane non fu sorpresa quando
lui le baciò la mano destra… e ben sapeva che, se sulla Terra
quell’antiquato gesto voleva dire riverenza e rispetto, su Asgard voleva dire amore.
Stava per dire qualcosa quando lui la interruppe.
«Allora, cosa cercavi?»
Jane impiegò qualche secondo a capire.
Arrossì, mordendosi un labbro… Il suo orgoglio femminile fremette:
no, non avrebbe ceduto.
«Nulla, ti ho detto!» replicò, ora
stizzita.
La donna ritrasse le mani dalla sua presa proprio nel
momento in cui Thor le lasciò per rovistare nel taschino del suo
pigiama.
Un piccolo foglietto di carta cadde sul tavolino, in mezzo a
quintali di altra carta; era spiegazzato e completamente liso, come se fosse
stato aperto e consultato svariate e svariate volte. Jane lo controllò
al volo: al suo interno vi erano un elenco di stringhe di numeri e
nient’altro. Evidentemente le varie sequenze erano state inserite a tempi
diversi l’una dopo l’altra, perché erano state cancellate tutte
tranne l’ultima, che esibiva una vistosa sottolineatura con un
evidenziatore. Quell’ultima stringa composta da sette numeri era impressa
nella mente e nel cuore di Jane come nessun altro numero in tutta la sua vita;
la sola idea di perdere quel foglietto le faceva mancare il respiro.
«Questo non mi pare nulla, sai?» mormorò l’altro, piano.
Jane lo guardò, vagamente colpevole, mentre si
rassicurava di ricordare ancora a memoria quelle sette cifre. Abbassò lo
sguardo.
«Queste cifre… sono te.» rispose, quasi a scusarsi.
Lui si avvicinò al suo viso; le sue mani callose le rimisero
i capelli castani dietro un orecchio, le sfiorarono una guancia con inattesa
delicatezza.
E questo voleva dire solo una cosa: lui sapeva. Come diamine aveva fatto ad accorgersene? Quanto bene aveva
imparato a conoscerla, in un solo mese che era tornato…? E perché lei ancora non lo conosceva così
bene?
«Due anni fa ti ho dato la mia parola che sarei
tornato, e l’ho fatto. Poi ti ho dato la mia parola che sarei rimasto. E
lo farò.»
bisbigliò lui.
Era vero, la prima volta aveva mantenuto la parola: era
tornato… ma dopo due lunghi anni. Come poteva Jane dormire tranquilla con
il continuo pensiero che lui prima o poi sarebbe di nuovo andato via per i suoi
doveri che si era lasciato alle spalle? Era vero, Loki
era morto e la maggior parte dei problemi era morta con lui; ma quanti altri
nemici in nove enormi regni poteva avere un principe? Cosa avrebbe fatto Thor,
una volta che Odino avesse deciso di ritirarsi? E come poteva lei costringerlo
a voltare le spalle a suo padre e al suo popolo, di cui era re di diritto?
Era quella, la più grande paura di Jane: che Thor
tornasse ai propri doveri. Ma nel frattempo, lei era libera di compiere i
propri…
Aveva passato due interi, lunghi anni a scandagliare il
cielo perfino con più
precisione di quando lo faceva per lavoro: solo da pochi mesi era riuscita a
trovare le coordinate astronomiche di Asgard…
che tuttavia risultavano perfettamente inutili: nessun viaggio interplanetario
sarebbe mai riuscito a coprire quella distanza. Quelle cifre sempre accanto a
sé, però, la facevano sentire un po’ più sicura, le
davano l’illusione che tutto quello sarebbe durato, che loro due
avrebbero continuato a vivere a Londra, a parlare di fisica, a mangiare
gelato…
«Io ti ho cercato per due anni, Thor»
replicò lei, quasi piccata. «Ti ho trovato, e non ti
lascerò andare. Questa
è l’unica cosa che so.»
Lui la guardò di sbieco, ancora: ora si spiegava il
suo modo di fare così taciturno di quella sera. Quel pezzetto di carta
da cui Jane non si separava mai, in effetti, oltre alle coordinate del suo
pianeta aveva un significato più sottile e subdolo, che Thor non aveva
tardato a cogliere: voleva implicitamente dire che, prima o poi, si sarebbero
separati di nuovo… o almeno, questo era quello che pensava Jane. Il che
non comportava che lei non si fidasse del loro rapporto, anzi: ma si fidava
troppo del senso del dovere di lui. Se Asgard avesse
avuto bisogno di lui, se qualcuno avesse minacciato il suo popolo, se Odino
avesse davvero sentito la mancanza del suo unico familiare rimastogli…
Calò il silenzio fra loro due.
Jane riprese la mano di lui fra le proprie; non le era
sfuggito il fatto che Thor non aveva
smentito le sue paure, promettendole di restare per sempre a discapito di
qualsiasi cosa sarebbe successa –né questa cosa le sarebbe
piaciuta: lei amava la sincerità. L’altro la guardò, ancora e
ancora, con una strana espressione rilassata sul viso.
«Quando sarà il momento ci penseremo, insieme.» bisbigliò.
Si sporse in avanti e le loro labbra si unirono. Jane lo
avvicinò a sé, affondò le mani nei suoi lunghi capelli
dorati, avviluppò quelle possenti spalle con le sue braccia. Si
guardarono, mai abbastanza sazi l’uno della vista dell’altra: erano
stati separati per troppo tempo…
«Oh, certo» commentò lei, ridacchiando.
«Prima devi come minimo arrivare a imparare qualcosa di Relatività
Generale, per ora siamo ancora fermi alla meccanica classica.»
L’altro sbuffò; si girò verso il
tavolino e un lungo brivido gli percosse la schiena.
«Non vedo l’ora, guarda.» commentò
ironicamente –l’umorismo era un’altra abitudine dei terrestri
che aveva finito per adottare, con enorme
gioia di Jane… «Adesso, vogliamo andare a dormire, come le persone
normali, o vuoi finire sepolta dalla carta…?»
Lei si mordicchiò un labbro; doveva ancora abituarsi
a sentirsi dire “andiamo a dormire insieme” da un alieno –un
alieno con quei pettorali e quelle spalle e quegli occhi, insomma.
C’è chi avrebbe fatto follie, chi avrebbe tradito il migliore dei
mariti, chi avrebbe mollato il lavoro… ma lei, d’altra parte, non
era ancora così sicura di essere una persona normale. E forse era per
questo che il principe di Asgard aveva scelto di vivere
proprio a Midgard in nove regni di spazio
possibile…
Thor ridacchiò.
«Ok, ok. Ma non mangiare altro gelato, intesi?»
E fu solo quando la sua imponente e atletica figura
varcò la soglia della cucina che lei si rigettò con enorme
soddisfazione in quel mare di carta, carta, carta.
*****************
Non ero
così sicura di voler scrivere una fanfic su
Thor, lo dirò sinceramente XD Dopo aver visto IronMan
3 avevo l’unico pensiero fisso di scrivere una fanfic,
invece stavolta molto di meno… Ho visto Thor: the Dark World domenica
scorsa e solo martedì mi sono decisa a fare qualcosa, ma non appena ho
avuto una piccolissima ispirazione non ho letteralmente
potuto farne a meno (sono quattro giorni che faccio le due e mezzo di notte e
la mattina mi alzo presto per studiare, perché il mio cervello ha una
strana predisposizione a voler scrivere solo
la notte).
Devo dire
che nel primo film di Thor loro due mi erano sembrati abbastanza indifferenti;
c’erano un sacco di cose non dette e abbozzate che non avevo proprio
colto. Questo secondo film mi è piaciuto davvero tanto: ha approfondito
parecchio la psicologia di tutti quanti, da Loki a
Thor a Jane.
Soprattutto
Jane, secondo me, n’è uscita benissimo: nel primo film non
riuscivo proprio a capire perché lui si fosse innamorato così
tanto di lei, e a dirla tutta mi sembrava una cosa piuttosto superficiale; sono
stata molto contenta di ricredermi nel secondo *___* Soprattutto, sono rimasta
veramente sorpresa da quanto Thor sia innamorato di Jane: ok, potevano anche renderlo meglio, ma mi hanno fatto
una tenerezza inimmaginabile, la loro scena dopo i titoli di coda è
veramente troppo bella :’’)))
Volevo
appuntare un paio di cose sulla caratterizzazione dei personaggi:
-Il fatto
che Jane mangi spesso gelato davanti a un computer è esplicitamente
detto da Darcy nel secondo film.
-Inoltre ho
capito (per come la vedo io) che Jane sia un personaggio un po’ fuori
dalle righe (ovvero, un po’ disorganizzata, imbranata e così via)
sia per questo motivo che per qualche scenetta del primo film: ad esempio,
quando Thor parla con lei nel camper, lei mette goffamente i piatti sporchi
nella dispensa, oppure mentre guida e parla con lui si distrae e rischia di
finire fuori strada x°D
Jane
è vestita in modo molto molto semplice nei due
film: niente tacchi o scollature o pose sexy (un’altra cosa che ho
amato), quindi io la vedo come una donna davvero molto semplice.
-Il fatto
che Jane abbia tre lauree è sempre detto da Darcy,
nel secondo film. E il fatto che ha poca esperienza con i ragazzi l’ho
dedotto dalla scena nel primo film, quando ha detto che una maglietta
apparteneva al suo unico ex.
-La
missione Plank esiste davvero e lavora proprio a dare
risultati sulla temperatura della Radiazione Cosmica a Microonde (CMB): i suoi
risultati sono usciti appena qualche mese fa.
-Thor
bacia spesso la mano di Jane, lo fa due volte nel primo film. Spero di non
averlo fatto sembrare troppo serioso, ma non mi sembra un tipo che parla molto.
-…E
fidatevi che il tavolo di studio di un fisico è veramente SOMMERSO di carta. Esperienza
personale. T^T (sì, mi sono divertita a
parlare di fisica nella fanfic, si è visto? X°D)
Ah, in
inglese “pubblicazione scientifica su una rivista internazionale”
si sintetizza in paper, da cui il titolo della fanfic. <3
Che dire!
Era la primissima volta che scrivevo di questo fandom,
e la seconda sui film in generale. Spero di essermela cavata… *spero*
…Commentino?
Clahp