Proie
et Chasseur
“Mon ame est un tombeau que, mauvais cénobite,
Depuis l’éternité je parcours et j’habite;
Rien n’embellit les murs de ce cloitre odieux”
[Les fleur du mal – Charles Baudelaire]
«Perfection, immutability, humanity.
Perfection, immutabilité, humanité. Perfezione,
immutabilità, umanità. Ne puoi conoscere il significato, apprendere come usarle
in una comune frase o ignorarle. Sono solo tre parole che prese singolarmente
non hanno un gran potenziale, ma se le uniamo… creiamo il caos.»
Sebastian porse la fumante tazza di tea
con un lieve inchino. Non proferì parola, lasciando che il suo giovane padrone
continuasse quel bizzarro ragionamento, ma non lo fece.
Lo vide osservare pensieroso la bevanda
calda, per emettere infine un verso divertito.
«Quest’oggi Flower Tea?»
Domandò incuriosito ed il maggiordomo
sorrise come suo solito, senza alcun vero divertimento dietro quelle labbra
increpaste all’insù.
«Sì, signorino. La varietà più pregiata
che solo nelle coltivazioni della vasta Cina si può trovare.»
Ciel continuò a guardare l’interno della
tazza, aspettando un qualcosa che a nessuno era dato sapere. Un segno? Un miracolo?
Una predizione? Il conte non era solito credere a certe superstizioni, ma
aspettava quel qualcosa.
«Un crisantemo.» Proruppe infine. Il fiore
era sbocciato mostrando la sua beltà e con essa l’impedimento a compiere anche
la più semplice delle azioni: bere. «Il mio tempo?»
Chiese enigmatico e Sebastian annuì con
un sorriso più ampio, famelico.
«La perfezione non esiste, forse neanche
te sei perfetto nelle tue vesti di maggiordomo, ma potrebbe anche non essere
così. Questo tea mi è impossibile berlo.»
Disse posando la tazza al suo posto,
senza alcun interesse a continuare quel gioco ormai conclusosi.
«Prima dell’inevitabile vorrei chiedervi
cosa volevate dire prima.»
Ciel sorrise sinceramente divertito e
stupito. Di rado il suo servo chiedeva qualcosa, specie in circostanze in cui
il parlare era superfluo.
«Cosa ti rende così curioso?» Una breve
pausa, neanche il tempo di dare una risposta che proseguì «Non importa, te lo
dirò ugualmente, ma prima rispondi a questo: che cos’è l’“umanità”?»
La sorpresa fu limpida negli occhi rossi
del maggiordomo ed il padrone rise con garbo, senza scherno alcuno.
«Umanità dite? E’ un concetto astratto e
mi è purtroppo difficile da spiegare, signorino.»
Ciel si sistemò meglio sulla soffice
poltrona della sala da pranzo. Inclinò il busto all’indietro con stanchezza, lasciando
che le sue mani vagassero alla ricerca di un appiglio invisibile posto sul suo
grembo.
«E’ perché tu in quanto diavolo non sei
umano, ma chi può dire di esserlo? Cosa ci rende umani? Cosa ci fa credere di
sapere il significato di ogni nostro comportamento? La perfezione non esiste
eppure è presente in oggetti inanimati quali i dipinti; l’immutabilità non
dovrebbe essere visibile agli occhi, eppure io ne sono la prova. Sono qui, ma
non ci sono.»
«Quella non è immutabilità, signorino.»
Si intromise Sebastian e Ciel gli scoccò
un’occhiata infastidita. Non apprezzava essere disturbato durante un suo
ragionamento.
«Sì, invece. Sono qui, ma non ci sono proprio
perché non posso mutare forma. Sono immutabile e rimarrò tale. Non crescerò,
non invecchierò, non cambierò mai. Le mie parole per te non hanno un senso? E che
senso avrebbero per un diavolo? Che senso avrebbero per chiunque non sia me? Ed
arriviamo al caos. Riesci ad immaginare qualcuno di perfetto, immutabile ed
umano allo stesso tempo?»
Il maggiordomo scosse il capo di fronte
a quella curiosa creatura che aveva di lato.
«Non può esistere nulla di perfetto e di
umano allo stesso tempo.»
Una risposta concisa, precisa e di norma
esatta. Di norma, perché non lo era.
«Ed è qui che ti sbagli, Sebastian, perché
esiste qualcosa di perfetto, di immutabile e di umano al tempo stesso e quel
qualcosa sei tu.»
Una lieve risata gutturale si levò dalle
profondità dell’oscurità. L’inferno stava ridendo di quel piccolo uomo che
insinuava tali oscenità.
«Me? Umano? Signorino,
perdonate la mia incredulità e sfacciataggine, ma avete battuto la testa di
recente?»
Ciel alzò lo sguardo verso Sebastian con
un sorriso furbo in volto. Il suo unico occhio visibile era socchiuso e lucido.
«Ti devo contraddire nuovamente. Non ho
battuto la testa da nessuna parte e ho ragione. La tua curiosità, il tuo
eccessivo attaccamento nei miei confronti, la preoccupazione che hai mostrato
quando sono stato male, le premure che mi hai riservato per evitare che mi
ammalassi nuovamente… tutto questo fa parte della natura umana.»
Sebastian rimase in silenzio. Nessun sorriso
aleggiava sulle sue labbra ed i suoi occhi prima divertiti si presentavano
privi di qualunque sentimento.
Ciel lo prese come un “prosegua” molto
irritato, ma non vi badò. Nulla era più importante in quel momento e nulla lo
sarebbe più stato. Se ne sarebbe andato, la sua esistenza avrebbe cessato di
esistere a breve, ma non per quello non si poteva prendere la briga di sbeffeggiare
per l’ultima volta il suo servo e padrone.
«“Tutto ciò che ho fatto è stato
unicamente per i preparativi della mia cena personale”, è questo che hai
pensato, non è vero?» Ancora silenzio ed era come un assenso. Ciel non se ne
stupì, era esattamente quello a cui mirava «Eppure sai che non è esatto. Troppo
tempo solo per insaporire un pasto. Troppo tempo solo per voler divorare la mia
anima. Sei arrivato perfino ad ammettere di avere un amico, una cosa non molto
comune a voi diavoli o sbaglio? Sebastian è ora che la farsa abbia la sua degna
fine.»
Si alzò in piedi con eleganza ed
autorità, senza la minima paura per ciò che stava per accadere. Lui era e sarebbe
sempre stato il Conte Ciel Phantomhive, il bambino che aveva giocato con le
redini dell’Inghilterra e aveva vinto.
«Questa partita a scacchi è stata lunga
e nessuna gloria verrà al vincitore e nessuna sbeffa verrà ai perdenti. I
giochi si concludono così, con il mio scacco matto anche nei tuoi confronti. Vuoi
cancellare l’onta subita dalle mie parole, lo posso capire, perciò fallo.» Aprì
le braccia in un chiaro gesto di invito. Il tempo era infine giunto, ma nessun
rimpianto era rimasto. «Divorami, saziati della mia anima straziata fino all’ultimo
brandello. Falla a pezzi, non lasciare che nulla di me esista ancora in questo
mondo.»
Sebastian si avvicinò con lentezza,
solamente una spanna li divideva dallo sfiorarsi. Si inginocchiò come di
consueto, cercando di far affiorare per l’ultima volta quel sorriso di falsità
che lo contraddistingueva, ma nessun movimento incurvò dolcemente le sue
labbra.
«Se io sono dunque il caos, Voi cosa
siete?»
Ancora quella curiosità, ancora quel non
comprendere che lo infastidiva, ancora la sua voce che lo canzonava definendolo
“umano”.
Ciel sorrise con l’innocenza della
fanciullezza nel dare la sua ultima risposta prima di affogare nel buio.
«Io? Sono solo il nulla che precede il
tutto.»
La mia prima storia su Kuroshitsuji e probabilmente
anche l’ultima, visto che avevo in mente qualcosa di erotico e ne è uscito
fuori un connubio tra filosofia e nosense.
Penso che lo sappiano tutti, ma i crisantemi sono
visti come i fiori dei morti, per questo motivo Sebastian lo usa come tea
finale.
Ambientato alla fine della prima stagione, ho
cambiato solo l’ambientazione della “morte” di Ciel, optando per la sua
abitazione. Perchè il raiting giallo? Perchè i concetti e la conclusione per quanto possano dire che sono adatti a tutti, non lo sono per me. E perchè il raiting verde mi sta sulle scatole, ma questa è un'altra storia.
Se voleste lasciare un segno del vostro passaggio ne
sarei lieta, anche se questa storia mi perplime alquanto mi piace come è uscita.
Vostra,
Kei