Rain

di Donixmadness
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Numerose goccioline di pioggia sono spazzate via dal tergicristalli dell'auto. Le setole delle spazzole continuano a sfregare la superficie producendo un rumore stridulo, quasi insopportabile. Ma a un bambino, seduto sul sedile anteriore della vettura, risulta tutto ovattato.
La frangia azzurra ricade sugli occhi, lo sguardo è basso, i pugni stretti sulle ginocchia.
Cade la pioggia continua a cadere e non si ferma.
Suo padre al volante ha lo sguardo fisso sulla strada. Attento e accigliato. Fin troppo forse. Probabilmente molto più cauto nell'evitare di incrociare la figura di suo figlio. 
C'è solo silenzio, non un suono vibra nell'aria se non il continuo picchiettare della pioggia e il movimento alternato di quelle spazzole.
Infine la vettura giunge a destinazione: un'enorme edificio circondato da un muro di cinta e con un'insegna affissa all'ingresso.
Per il piccolo Masaki rimarranno sempre impresse nella memoria quelle lettere: "Sun Garden".
Già, "Giardino del sole" , un nome piuttosto mellifluo ma in quel momento ha un suono così amaro.
L'uomo gira la chiave e spegne il motore. Non scende subito fuori dall'auto: ha ancora le mani sul volante ma gli occhi sono bassi, stavolta. Mollemente le braccia cadono lungo il corpo e le mani si posano sulle ginocchia.
Masaki non fa una piega, rimane chiuso nel suo mutismo. Eppure quel silenzio così pesante vorrebbe dire tutto ciò che finora non è stato espresso. Perché forse è sempre questo che è mancato nella famiglia Kariya: una sincera comunicazione.
Però, in vero, è facile solo all'apparenza. 
Quest'uomo seduto al posto guida, sta per fare la cosa più difficile in assoluto: abbandonare suo figlio, sangue del suo sangue, una parte di lui. Ma per cosa? Un contratto andato male?
Riconosce e sa che, con tutta probabilità, Masaki lo odierà. Anzi, lo odia.
"Perdonami Masaki ..." , un soffio flebile ma pienamente udito dal bambino, il quale volge il capo verso di lui.
Per la prima volta dopo quell'interminabile viaggio, si sono guardati. 
L'espressione del piccolo è la personificazione della rassegnazione. I suoi occhi cominciano coprirsi si un sottile velo di lacrime, che  si trattiene ostinatamente dal versare, come fa del resto l'uomo di fronte a lui.
Dopo qualche secondo, Masaki riabbassa il capo e torna a fissare le nocche. Alla fine non c'è nient'altro da aggiungere, eppure il piccolo vorrebbe fare tante di quelle cose ... Vorrebbe chiedergli se un giorno tornerà a prenderlo, se si sentiranno anche per telefono. Nulla, non è necessario. Non servirebbe.
Con uno scatto il padre si toglie la cintura di sicurezza e afferra il manico dell'ombrello. Quando la portiera si apre lo scrosciare dell'acqua diviene più nitido, quasi frastornante.
"Scusami." ripete ancora mentre apre l'ombrello nero.












Non aggiungo note finali, lascio a voi i giudizi. :)
PS: non faccio altro che scrivere cose deprimenti, lo so :'(




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