Samuele
Samuele era un ragazzo allegro.
Amava salire sul palco e cantare, suonare, improvvisare,
qualsiasi cosa.
Amava modulare la sua voce, amava renderla sempre migliore e
amava sperimentarla durante i live.
Gli piaceva da matti l’idea di avere un pubblico, ma non si
montava la testa.
Samuele era semplicemente se stesso.
Suonava la tastiera, cantava, faceva tutto quello che sapeva
fare e lo faceva bene.
Dietro a tutto questo c’era una grande passione per la
musica, accompagnata da una voglia incrollabile di dire la sua e di parlare
d’amore.
Samuele amava l’amore, ne parlava a modo suo, con le sue
note e la sua voce, forse nel meno convenzionale dei modi, ossia
infischiandosene di finire in radio o in tv, quelle erano tutte cose che non lo
riguardavano. La fama televisiva è artefatta, non mostra come sei veramente.
I suoi concerti, be’, quelli sì.
Il genere da lui utilizzato?
Be’, è davvero essenziale classificare Samuele? No, direi di
no.
Lui è lui e voleva soltanto vivere di musica.
Samuele aveva dei sogni nel cassetto, avrebbe voluto
scambiare due chiacchiere con coloro che da sempre lo avevano ispirato.
Magari collaborare, perché no?
Sapeva di essere abbastanza determinato e devoto alla musica
da poter aspirare a tanto.
Samuele era pazzo.
Quando saliva sul palco si scatenava, portava fuori tutta la
sua personalità e – in primis – si divertiva un sacco. Ballava come un ossesso
e si esibiva in linee vocali e in testi che forse la maggior parte della
massive non riusciva a comprendere, ma che lui comprendeva eccome. Erano lo
specchio della sua anima, del suo credo, del suo pensiero.
Samuele voleva pace e serenità, voleva amore.
Lui era fatto così: a volte poteva sembrare un ragazzo
superficiale, ma era tutt’altro. La vita ci insegna che le apparenze ingannano
chi non ha un grande cuore per accogliere tutto ciò che c’è dietro a dei
vestiti o a delle acconciature.
E Samuele era sempre e comunque se stesso, stava poi agli
altri comprenderlo. A lui non importava essere amato, a lui importava
trasmettere.
Trasmettere qualsiasi cosa traendone giovamento e
divertendosi, mettendosi alla prova e in discussione in ogni occasioni.
Samuele era sensibile, di una sensibilità fuori dal comune
che non faticava a mostrare. Traspariva dai suoi testi e si riversava sul
pubblico, mandandolo in disibilio.
Nei rapporti umani era la gentilezza e la disponibilità
fatte a persona, riusciva sempre a regalare un sorriso a chi lo circondava e a
coinvolgere più gente di quanta si aspettasse nella lotta che portava avanti.
Incitava a pensare con la propria testa, a godersi la vita
sempre e comunque, senza pensare troppo ai problemi che ci troviamo di fronte.
Incitava a vivere con amore, amando noi stessi e il prossimo, senza obbligare
nessuno a seguire il suo credo.
Lui era così, rispettava gli altri e non parlava con
assolutismo. Per Samuele non era tutto bianco o tutto nero, no affatto.
Samuele non aveva pregiudizi, non discriminava le persone e
veniva profondamente turbato quando si scontrava con realtà diverse dalle sue,
persone che vivevano una condizioni meno agiata della sua.
Era comprensivo, capiva la sofferenza e il disagio altrui.
La sua empatia riusciva a far sì che avesse tante persone che lo stimavano e
rispettavano, sia tra i suoi colleghi che all’interno della massive.
Vedeva attorno a sé tante persone che avrebbe voluto
aiutare, ma sapeva che da solo avrebbe fatto ben poco. Eppure, lo faceva. Ci
metteva tutto se stesso e aiutava chi poteva, chi riusciva e anche qualcosa in
più.
Era intelligente, Samuele.
Forse non era la perfezione, certo che non lo era, nessuno
lo è.
A volte si arrabbiava per cose futili, si innervosiva
all’inverosimile di fronte alle ingiustizie e non riusciva a calmarsi finché
non elaborava qualcosa che potesse risolvere la situazione. Non sempre ciò
risultava possibile, spesso doveva arrendersi alla realtà dei fatto, alla
consapevolezza di essere impotente al cospetto di tutto ciò che di marcio c’è
al mondo.
Allora diveniva triste, malinconico e voleva stare da solo.
Si chiudeva in se stesso, non accettava che qualcuno entrasse nel suo spazio
personale e diveniva taciturno e introverso.
Rispondeva sgarbatamente a chi tentava di invadere se stesso
e i suoi cupi pensieri, poi si pentiva. Sapeva che non era giusto, lo sapeva
bene e allora arrivava quel momento, il momento di chiedere scusa.
Samuele non cercava di giustificarsi, prendeva tutto con il
beneficio del dubbio, poneva spesso se stesso in errore pur di non offendere o
di non aggravare la situazione.
Non era affatto misantropo, ecco perché non aveva grossi
problemi a chiedere venia.
Però, quando gli altri sbagliavano e lui era sicuro di
essere nel giusto, cercava di convincerli in tutti i modi di ciò in cui era
fermamente convinto.
Discuteva, parlava, si confrontava e sfociava addirittura
nel litigio quando in ballo c’erano le sue idee e i suoi principi morali.
Non temeva il confronto, ascoltava il prossimo e lo
rispettava, però non sempre lo condivideva e allora portava avanti le sue
opinioni senza vergogna, polemizzando forse un po’ troppo, a volte.
Tuttavia, la sua umiltà lo portava a non darsi delle arie da
sbruffone e a pentirsi, nel caso in cui avesse capito di aver commesso un
errore.
Si immedesimava nell’altro, cercava di comprendere perché
facesse determinate cose o come potesse sentirsi nel farle.
Samuele era sempre e solo Samuele.
Questo lo appresi, quel giorno.
Il giorno in cui giunsi al concerto, a quel concerto e lo
sentii cantare, lo vidi esibirsi e poi…
Be’, poi accadde qualcosa, qualcosa che mi fece comprendere
chi era Samuele e che mi cambiò letteralmente la vita.