Mio sovrano

di Gisella Laterza
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Corri, cavallo, portami lontano.
Portami via dal male che ho già fatto, portami via da un destino già scritto che devo cambiare.
Fammi dimenticare, fammi dimenticare di lui.
 
Francis.
Francis, perdonami. Non posso restare al castello, non posso spiegarti. Non capiresti. A volte dobbiamo compiere scelte che portano dolore, ma questo è un dolore caldo, che ti proteggerà quando non ci sarò più. Ti terrà al sicuro, mentre con me accanto non ci sarebbe futuro; non ci dev’essere amore.
Lo sai.
L’amore è irrilevante per gente come noi.
 
Eppure…
Eppure io ricordo. Quando, bambini, correvamo tra scale ripide e passaggi segreti. Quando il mondo era fatto di giochi e colori e tutto il castello sembrava un’unica stanza piena di dolcezza e di sole.
Quando eravamo solo Mary, solo Francis.
 
Io ricordo.
Quando ti ho rivisto. E il bambino dei miei ricordi è diventato il mio amore presente.
 
Io lo ricordo. Quando, quella sera, io e le mie amiche abbiamo ballato la nostra frenetica danza, e dal soffitto sono piovute piume soffici e leggere come se fossero sfuggite alle ali di un angelo. Io danzavo, le piume danzavano, e in quel vortice infinito ho incontrato il tuo sguardo.
È strano come guardarti negli occhi quella volta abbia cambiato il mio modo di vedere il mondo. Eri bello come un angelo, e mi guardavi come si guarda una fiaba.
 
Io ricordo.
I litigi, le incomprensioni, tutte le difficoltà.
Eppure, contro tutto e tutti, ci siamo amati di un amore ostinato e testardo, che non voleva morire.
 
Io lo ricordo. Quando, per salvarmi, quell’amore ha portato te nel castello pieno di soldati italiani; quando quell’amore ha portato me nel tuo letto. Ricordo, Francis, le tue mani che scivolano sulle mie vesti, e me le tolgono, e le mandano via come si cacciano i brutti sogni. Io ti ricordo, Francis, mentre scivoli sopra di me e diventi mio, mia luce, mio spirito, mio sovrano per sempre.
 
Sono fantasmi senza cuore, i ricordi. Demoni inconsistenti, come le paure che non devo avere.
Ma che ho ancora.
 
Ho paura, anche se me ne vado, ho paura. Perché non so se riuscirò a starti lontano, quindi stringo le briglie e cavalco veloce; non voglio più voltarmi a guardarti, perché so che mi fermerei. Lasciami andare, Francis, ti prego. Lasciami andare.
Non inseguirmi.
Non cercarmi.
Non gridare il mio nome.
 
© Gisella Laterza
autrice di
Di me diranno che ho ucciso un angelo (Rizzoli, 2013)




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