Alla socia,
a quella che vive parecchio
lontano da casa mia,
alla ragazza che vedo una
volta all’anno se va bene,
alla compagna di camera in uno
strano hotel toscano,
alla costante presenza nei
miei sms,
alla ragazza che come me ama
Firenze,
ma soprattutto, a un’amica.
Prompt: il Natale in Giappone è una festa
per coppie: si passa con il partner piuttosto che con la famiglia,
tendenzialmente in una cena romantica. Ha alcune caratteristiche di San
Valentino: infatti è festeggiato soprattutto dalle coppie e spesso alle
ragazze si regalano fiori, peluche e dolciumi. I ristoranti sono affollatissimi
e dietro un invito a cena spesso si cela l’intenzione di dichiarare il
proprio amore.
Il ristorante era pieno, pienissimo.
«Un altro po’ di champagne?»
Il pianoforte recitava, adorabilmente lenta, Jingle Bells.
«O forse -ehm- preferisci del Chianti?»
L’enorme lampadario di cristallo illuminava
candidamente l’enorme sala; i camerieri volavano da un tavolo
all’altro, splendidamente aggraziati; le decine di coppiette presenti
ridacchiavano, parlottavano, si tenevano dolcemente per mano; ovunque era un
tripudio di luci, cioccolato, fiori, peluche, oro, diamanti, anelli fin troppo
preziosi…
«Be’, mentre tu decidi io prendo un po’ di
prosecco, sai…? Ovviamente, fai con comodo…!»
Un flash di una
macchina fotografica fece risplendere l’angoletto su cui era seduta la
tenera coppietta, ma questa sembrò non farci molto caso.
Era la sera di Natale: la sera più aspettata,
più amata, più festeggiata di tutto il Giappone.
Perché il Natale, lì, per ogni coppia voleva dire solo una cosa: cena romantica, fiori,
cioccolato, dolci; e poi, chissà, forse una meravigliosa promessa che avrebbe avuto le più lieti
conseguenze…
«Passami la Coca Cola, ti ho detto. E se usi ancora
questo tono ti eviro, maledetto Nara,
promesso.»
Flash!
Nara digrignò i denti, con il proprio calice di
cristallo ancora in mano. Ecco, magnifico, il flash aveva immortalato quella maledetta arpia proprio nel secondo
in cui aveva fatto quell’orrenda smorfia (apparsa fra le parole ti ed eviro, probabilmente), e con la sua fortuna tutti i giornali
avrebbero riportato sicuramente quella
foto fra tante belle in cui lui si era sforzato di rimanere naturale…
«Ma… Temari… qui la Coca-Cola neanche la
avranno.» borbottò, a bassa voce, sorridendo mentre la guardava.
Si allentò un po’ lo stretto nodo della cravatta e sbottonò
(in modo che non si vedesse) il primo bottone d’avorio finissimo della
sua camicia.
Lei gli rispose con il suo stesso sguardo idiota e sorriso
completamente tirato; si stava divertendo da morire e la cosa era così
palese che neanche aveva cura di nasconderlo: bastava guardare la soddisfazione
dipinta su quella faccia da schiaffi, lì dove di solito c’era un
broncio o un rimprovero.
«E allora ordinala, zuccherino adorato» si
limitò a rispondere, sbattendo le ciglia.
Shikamaru si grattò la
fronte, chiudendo gli occhi. La domanda che si era posto per tutta la serata (perché?) continuò a fargli
capolino nel cervello, ma lui la scacciò via: prima doveva prenotare una
Coca-Cola dopo un Chianti da duemila euro (che in yen erano una cifra non ben
definita nella sua mente: voleva evitarsi almeno questa sofferenza).
Riaprì gli occhi, si schiarì la voce e fermò il primo
cameriere che passava.
«La mia gentile metà
gradirebbe della Coca-Cola, se possibile» balbettò.
L’occhiata che
l’altro gli rivolse fu pari solo al grado di disperazione nella sua voce;
fatto ciò, Nara si girò verso la ragazza e finì di
versarsi lo champagne.
Calò il silenzio. Un silenzio
fatto di bollicine di champagne, di tintinnii di posate, di risatine di (altre)
coppie… e di flash.
«L’amore è un apostrofo rosa fra le parole “ti”
ed “eviro”. Non lo diceva qualcuno?» disse l’altra.
Lui tirò gli occhi al
cielo e sbuffò. Oh, ma chi gliel’aveva fatto fare…
Silenzio, ancora. Entrambi
presero a mangiare il proprio roast beef con patate al forno; il cameriere depositò una
Coca-Cola e volteggiò graziosamente via; lei la aprì e se la
versò.
Flash. Flash. Flash.
Lui sospirò.
«Devi sorridere, cavolo, Temari» bisbigliò lui, mentre
tagliava l’arrosto nel modo più contento che gli riuscisse.
«Con questa cena noiosa
come diamine faccio a sorridere?» rispose l’altra, imbronciata.
«E poi, questo stupido coltello d’argento non taglia per niente, come
cavolo faccio a tagliare la carne se…»
«Ok, ok, provvedo io
–ma tu, per carità di chi ti pare, sorridi, eh?»
Temari tirò pigramente in
su gli angoli della bocca mentre lui si sporgeva lentamente in avanti per
prendere il suo piatto; ma, capite le sue intenzioni, lo fermò
bruscamente.
«Non ci provare neanche!
Non ho bisogno di aiuto, io!» replicò, secca.
Poi, spazientita da quel poco
spazio, impugnò l’enorme mazzo di fiori e lo poggiò per
terra.
Flash.
«Mettilo su…!
Così penseranno tutti male!» sibilò l’altro.
Ma Temari finì di tagliare
la sua carne e non ci fu modo di impedirglielo. Finita l’opera,
probabilmente a causa di qualche senso di colpa, poggiò le posate sul
tavolo; sorrise all’altro, teneramente, e gli prese la mano. Meno
teneramente (l’altro soffocò un ouch, ma la sua
professionalità gli impose di zittirsi).
«Allora, ci sentiamo vagamente in colpa, crybaby?»
Lui aveva perfettamente ripreso
la sua parte: la mano destra era saldamente ancorata a quella della donna, la
sinistra faceva ondeggiare il calice di cristallo in modo molto signorile. Fu
un vero piacere quando l’ennesimo paparazzo fece scattare
l’ennesima foto di quella folle serata: almeno quella posa era venuta
bene…
«Non riesco a capire di
cosa tu stia parlando» mormorò lui, sempre sorridendo.
Sorrideva anche lei, ma ad
un’analisi più attenta si sarebbe capito che non sorrideva di
cortesia o falsità come lui o di gioia e di amore come le altre
coppiette: sorrideva di pura e ambiziosa soddisfazione. Prese ad accarezzargli
la mano (che poco prima aveva praticamente stritolato) mentre sbatteva le
palpebre.
«Io dico di sì,
invece. Con la tua pigrizia, non ti saresti mai messo in questa faccenda se non
ci avessi guadagnato qualcosa, o sbaglio…?»
Shikamaru deglutì.
«Chissà. Forse, lo
faccio solo per il mio lavoro e il mio Paese, no?»
Temari sbatteva gli occhi chiari,
mentre continuava a coccolare la mano dell’altro. Il suo tono e le sue
parole contrastavano così vistosamente con la sua posa, con il suo
vestito rosso acceso, con l’ottimo Chianti, con la musica –con tutto, insomma–
che Shikamaru iniziò a ridacchiare. Quella donna era sempre, comunque e
dovunque imprevedibile… Il suo elegante vestito rosso era così ben
modellato su di lei che era impossibile togliergli gli occhi di dosso; i suoi
magnetici occhi verdi risplendevano di soddisfazione, la sua carnosa bocca era
inclinata nella sua tipica posa da ti-ho-in-pugno.
«Sì sì, vallo a dire a qualcun’altra»
bisbigliò. «Dunque, dunque, questa messinscena natalizia è
per farti perdonare?»
…La nottata stava
diventando improvvisamente troppo calda? Shikamaru si allentò ancora di
più il colletto della camicia, tirandosi la scomoda cravatta. Perle di
sudore scendevano dalla sua fronte.
«Perdonare? Ma tu sai il
motivo di questa roba, non sono stato io a –»
«Sicuramente non avrai
suggerito tu quella battutaccia al tuo Primo Ministro, no… sei troppo
misogino per poterlo fare. Però mi sembra curioso che, proprio due settimane dopo che tu sei
sparito, mi sia arrivata una telefonata dal Consolato Giapponese per questa pagliacciata
natalizia…»
Shikamaru non poteva replicare: lei
continuava a stringergli la mano. Se, inoltre, qualcuno non fosse stato alla
sua distanza non avrebbe mai potuto intuire quello che stava veramente dicendo:
da lontano sembrava solamente una donna che bisbigliava parole d’amore.
«Andiamo, Temari»
bisbigliò, mentre il suo finto sorriso cedeva. «Lo sai che questa
situazione pesa tanto a te quanto a me, mi conosci…»
«Non metto in dubbio che
non ti pesi. Io metto in dubbio il fatto che tu non voglia sfruttare questa
situazione per un tuo qualche fine, come farti perdonare per avermi brutalmente
mollata.»
L’orgoglio maschile di
Shikamaru urlò interiormente: non poteva, non poteva farsi trattare così, lui era l’ambasciatore
del Giappone, e anche se era vero che il suo Primo Ministro aveva fatto quella
colossale figuraccia con il Primo Ministro Cinese e lui doveva riparare il
danno (e quindi lei aveva completamente il coltello dalla parte del manico),
non doveva assolutamente cedere davanti a lei…
«Non è così,
ti ho detto! Il fatto che abbiano convocato proprio noi è solo fortuna
–o sfortuna, insomma… Io non c’entro niente e non voglio
assolutamente sfrutt–»
Si interruppe di colpo:
provò un dolore lancinante al piede destro… bastò qualche
minuto per capire che il tacco a spillo del piede della sua amorevole compagna
di cena doveva probabilmente avergli bucato una scarpa. Il suo viso non lo
tradì: nessuno avrebbe detto che fosse successo qualcosa, visto che lui
parlava con un cauto sorriso sulle labbra e lei continuava a massaggiargli le dita,
pendendo dalle sue labbra; ma
nessuno avrebbe neanche detto che, sotto la meravigliosa lunga tovaglia rossa e
argentata che ripiegava fino a terra, fosse in atto un’amputazione di un
alluce…
«Qualcosa non va, tesoro
bello?» bisbigliò lei, con parole di miele e occhi di smeraldo.
L’altro stava per perdere
il tanto agognato controllo di sé proprio nell’istante in cui
appariva il fotografo (questa volta ufficiale, non un maledettissimo paparazzo)
del ristorante al loro tavolo. Chiese loro il permesso di “immortalare
nell’eternità” una così bella coppietta, permesso che
Temari accordò con enorme piacere.
E fu così che i due si
misero in posa: lui in giacca e cravatta, lei con un fiammante vestito rosso, ai
lati di un tavolino splendidamente decorato, con una lunghissima e maestosa
tovaglia decorata con così tanti fiori; lei stringeva le mani di lui e
sorrideva, mentre lui era fieramente eretto.
«Shikamaru, sorridi, dai! Siamo qui per
questo!» bisbigliò lei, soave.
Lui allargò beatamente gli
angoli della bocca, reprimendo a stento un urlo.
Flash!
*°*
Il pianista declamava ora Let it Snow, dopo tre giri di Last Christmas e due di I will always love you.
«Be’, progetti per
Natale?» mormorò lei, affondando il cucchiaino nel dolce al
cioccolato.
Lui non aveva mai amato i dolci:
il suoi piatto era intonso.
«Mah, passarlo con una
tizia che mi buca le scarpe. Dovresti provarlo» disse.
Temari ebbe la prima risata
spontanea e sincera di tutta la serata: lo guardò profondamente. Quello
sguardo e quelle labbra non gli fecero capire più niente: lo fecero per
un attimo estraniare da quell’assurda situazione in cui si era andato a
cacciare, dal dolore all’alluce, dalle ingiurie subite in quella serata…
perché, dopotutto, era di Temari che si stava parlando: la magnifica,
bella, seccante Temari. Shikamaru aveva provato già una volta a scappare
via da lei, sentendo puzza (una tremenda puzza) di storia seria: ma non avrebbe
più commesso lo stupido errore.
Di una cosa lei aveva avuto
ragione: lui non era completamente triste di tutta quella situazione… ne
era scontento, confuso, arrabbiato e seccato, ma non triste.
Era passato circa un mese da
quando il Primo Ministro Giapponese si era incontrato con quello Cinese per
discutere di importanti questioni di affari; i due erano andati d’amore e
d’accordo e, una volta in mezzo al pubblico e alle telecamere, si erano
salutati molto cordialmente. O almeno, questo era successo finchè
l’Onorevole Jiraya non aveva pubblicamente
paragonato le abilità finanziarie dell’Onorevole Tsunade alle sue prosperose misure, aggiungendo un sentito
augurio di una più approfondita conoscenza di queste ultime.
Era perciò scoppiato il putiferio:
la maggior parte dei giornali cinesi e giapponesi lo avevano descritto come
maniaco, l’altra metà aveva candidamente auspicato a una sua
dimissione. Per evitare tutto questo, dunque, il Primo Ministro aveva chiesto
formalmente scusa e aveva escogitato una campagna pubblicitaria antisessista in
tutto il Giappone; per evitare ulteriori dubbi, però, aveva deciso di
sfoderare il suo asso nella manica. I giornali di pettegolezzi avevano spesso
inquadrato gli ambasciatori di Cina e Giappone mano nella mano ora in un paese,
ora nell’altro; dunque, perché non farli cenare insieme nella
notte di Natale (la notte di eccellenza per tutte le coppie asiatiche) e
invitare casualmente qualche paparazzo allo stesso ristorante? Così,
qualsiasi giornale avrebbe fatto vedere che Cina e Giappone andavano
così tanto d’amore e d’accordo che gli ambasciatori dei due
Paesi passavano perfino insieme la notte di Natale.
Poco importava che i due avessero
appena litigato e tutta quella
situazione sarebbe stata imbarazzante: sarebbero stati pagati profumatamente e,
d’altra parte, dovevano solo sorridere.
«Dovrete assolutamente
essere felici di tutto» aveva borbottato l’Onorevole Jiraya a Nara, che (ironia della sorte) era proprio
l’ambasciatore del Giappone. «Dovrete essere assolutamente a vostro
agio, vi pago io di tasca mia la cena al miglior ristorante di Tokyo… I
paparazzi e i fotografi saranno ovunque, perciò potrete parlare di
qualsiasi cosa vogliate… basta che ridete, ridete, ok? Soprattutto te, in qualità di ambasciatore del
Giappone, visto che il torto è nostro, a quanto pare…»
E in effetti, lui era tutta la
dannatissima serata che rideva a quei maledetti flash.
Temari, dal canto suo, si era
comportata benissimo: aveva accettato quella situazione e aveva mantenuto la
parola di mostrarsi allegra e soddisfatta davanti alle fotocamere… ma
nessuno le avrebbe impedito (né d’altra parte era quello lo scopo
di quella serata) di sibilare maledizioni o ingiurie contro il Nara, specie con
un sorriso sulle labbra, poi.
«Be’, se una tizia ti
buca le scarpe forse te lo meriti, no?» rispose, gustandosi la meringa.
…Anche questo era vero:
Shikamaru se lo meritava indubbiamente. Erano oltre due settimane che lui non
si faceva vivo: ma Nara sentiva un tremendo bisogno di fare le cose con calma,
con lentezza, con tranquillità… e con una come Temari non avrebbe
mai potuto avere quello stile di vita: lei lo aveva subito messo al muro,
chiarendo che o la loro sarebbe stata una relazione seria (d’altra parte,
si vedevano circa una volta al mese a causa della loro distanza e dei loro
impegni) o potevano anche finirla lì. E infatti, lui l’aveva fatta
finire lì…
«Probabilmente è
vero, ma se uno cerca di farsi perdonare dovrebbe essere accontentato,
no?»
C’era, d’altra parte,
un solo e unico motivo per cui il pigro Nara aveva accettato quella folle
situazione: avrebbe rivisto Temari e i due sarebbero stati costretti a parlare.
Come poteva ricontattarla dopo più di quindici giorni di silenzio? Con
che faccia avrebbe potuto dirle che si era comportato male, che era fuggito di
fronte al suo primo serio impegno nella vita? Avrebbero recitato la parte della
coppietta felice, era disgustosamente vero, e Temari forse lo avrebbe odiato
per questo; ma avrebbero potuto parlare e, soprattutto, chiarire… e lui
avrebbe potuto scusarsi, a modo suo.
«Mmmh,
dipende da quanto cerca di farsi
perdonare…»
Fu un attimo: il viso di lui si
liberò del cordiale sorriso che per tutta la sera aveva sfoggiato e
tornò a quello abulico e serio.
«Tanto da sopportare tutto questo.» bisbigliò,
guardandola.
Lei, di tutta risposta, sorrise
ancora più avidamente e arrossì. Le sue labbra si schiusero, le
sue pupille si allargavano; il rosso e il rossore le donavano tantissimo.
Aspirò aria per dire
qualcosa…
Flash!
*********************
Piccola roba (sì, è una roba) scritta
in fretta e furia per il secondo giorno della Novena dell’Avvento tutto made in Black Parade!
E sì, è anche per la (mia) socia, che
oggi fa 21 anni <3
Essendo, come mio solito, le due e mezzo di notte, me
ne vado a dormire. X°D
Commentino?
Clahp