OVER THE APPEARENCE
Da quando Sakura era diventata la migliore
ninja medico di Konoha,
aveva avuto modo di curare tutti i suoi coetanei.
Era affidabile, metteva ognuno a proprio agio, e in un certo senso era
come se stesse conoscendo alcuni di loro più in quegli
ultimi anni che nell’intera infanzia e adolescenza.
Venivano da lei e sotto il tocco delle sue mani impastate di chakra si
lasciavano andare a confidenze e aneddoti di ogni sorta.
In un clima rilassato.
Era così che Sakura aveva scoperto una persona simpatica
come Tenten.
«Guarda Tenten, non so come dirtelo ma se continui
ad
allenarti con quell’arsenale di armi verrà il
giorno in cui non basteranno più le normali cure
mediche!» sorrideva Sakura le volte in cui la bruna kunoichi
si presentava ricoperta di graffi e tagli. Tenten sorrideva scuotendo
la testa, solare e intraprendente come suo solito, facendo cenno che
erano solo ferite di poco conto.
«Figurati Sakura, come direbbe Rock Lee, questi allenamenti
non fanno altro che fortificarci!»
Sakura l’aveva guardata ironica.
«Ah, non sapevo che ormai concordassi con Lee in piena
linea…del resto concordate sempre in tante cose voi
due…»
E Tenten, sempre così serena e tranquilla, era diventata
rossa come un peperone, balbettando confusa.
«Ma che stai dicendo Sakura…non
è…non è vero…»
E Sakura, ridendo, aveva finito di metterle le bende intorno alle
braccia.
«Scherzavo Tenten, su…»
Ma non solo. Sakura aveva anche legato molto con Hinata: poche
somiglianze, ma la giovane Hyuga era talmente dolce e carina che era
praticamente impossibile non affezionarsi ai suoi modo garbati e
gentili.
E poi, i ragazzi.
Sakura aveva curato in quegli ultimi quattro anni
perché il tempo
veniva misurato ormai così: con
Sasuke, senza Sasuke.
più o meno tutti gli shinobi del suo villaggio.
E a volte si presentavano momenti davvero divertenti.
Con Shikamaru, ad esempio.
«Che seccatura. Se non mi avessero mandato in quel
paese
della malora col cavolo che avrei avuto questa maledetta
intossicazione» aveva borbottato una volta mentre Sakura gli
prescriveva delle medicine, mentre lui fissava la finestra con sguardo
scocciato e le mani premute sullo stomaco.
«Il paese della malora sarebbe Suna?»
«E dove sennò? Fa un caldo pazzesco, il clima
è infernale, girano batteri sconosciuti che ogni volta
attaccano il mio stomaco…non ne posso più di
essere mandato in ambasciata. Che seccatura.»
«Già, come no…» aveva
mormorato Sakura alzando gli occhi al cielo. Come se tutti non
sapessero che Shikamaru si offriva quasi sempre di andare a Suna per le
missioni diplomatiche…e non certo a caso.
«Eh già…per non parlare delle seccature
che trovi lì…tipo Temari…»
Ah, la parolina magica. Shikamaru scattava, accigliato, e sbuffava
alzando gli occhi al cielo.
«Lei è la peggiore delle seccature, mi sembra
ovvio. Che stavi insinuando?»
E Sakura come sempre abbozzava ridendo sotto i baffi.
«Ah, ma figurati…chi insinuava qualcosa,
Shikamaru…»
Ma gli esempi potevano essere molteplici.
Sakura aveva scoperto di avere affinità con Kiba, col quale
spesso discuteva di animali.
Chiacchierava con piacere con Choji, anche se era il peggior paziente
che potesse capitarle, visto che non rispettava mai le regole sui cibi
da mangiare durante le convalescenze.
E persino con Shino!
L’impassibile Shino, che non pronunciava parola mai con
nessuno, si era assai sbottonato con Sakura.
Incredibile ma vero, si era sciolto abbastanza quelle rare volte che
era stato ricoverato in ospedale e Sakura si era occupata di lui.
Parlandole dei suoi insetti, principalmente.
Ma era già qualcosa.
Insomma, Sakura aveva ormai instaurato bei rapporti con tutti.
Aveva il suo punto fermo, Naruto.
L’amica-nemica con la quale bisticciava ogni santo giorno,
Ino.
Un amico sincero come poteva essere Rock Lee.
Più tutti gli altri che da sconosciuti erano diventati
piacevoli conoscenze.
C’era solo un’eccezione.
Un’unica persona che in tutti quegli anni le aveva rivolto a
stento la parola, non parlandole, non giudicandola forse degna di
suscitare il proprio interesse.
Un’unica persona con la quale Sakura non aveva alcun tipo di
rapporto, se non dei freddi e civili saluti e qualche frase di cortesia.
Neji Hyuga.
Quella mattina era iniziata frenetica fin da subito. Era come se tutte
le persone di Konoha avessero deciso di cadere dalle scale, rompersi
una gamba, spaccarsi un labbro.
Per non parlare dei ninja: la sala d’attesa era gremita.
Sakura aveva corso ininterrottamente lungo i corridoi, il camice bianco
che le scivolava morbido sopra la divisa d’ordinanza, i
capelli legati in una coda alta, in mano un sacco di cartelle cliniche.
Arrivata al pomeriggio, era stravolta: non si era fermata un istante,
il camice ormai sgualcito e slacciato, i capelli un groviglio
ammassato, la fronte imperlata di sudore.
«Sakura-san, c’è una donna che si
è rotta il setto nasale nella stanza 113!»
«Sakura-san, due genin con le ossa del bacino fratturate
nella 12!»
«Sakura-san, cosa devo fare di questo paziente?»
Quello era però il peggio.
Infermiere.
Inesperte, ancora titubanti. E sempre a tormentare lei, chiaramente.
“Ma dove diavolo è Shizune” si chiese
maledicendo silenziosamente la donna, scontrandosi più volte
con gente che affollava i corridoi.
Correva talmente a testa bassa che non si accorse nemmeno dello scontro
pienamente frontale non appena svoltato l’angolo del piano
terra.
E sollevandosi dolorante da terra, massaggiandosi sorpresa la testa,
incrociò lo sguardo freddo e impassibile di Neji.
«Oh...tu?» balbetto confusa, lo stupore dipinto sul
volto. Tra tutte le persone che poteva incontrare, anzi, scontrare,
quella era la più inaspettata, senza alcun dubbio.
Neji si sistemò con un solo gesto il candido kimono di lino,
gli occhi chiari lievemente scocciati.
Riacquistò come sempre la solita aria educata ma altera.
«Ti stavo cercando. È per Rock Lee, ha fatto una
delle sue stupidaggini» sentenziò con tono
composto, storcendo lievemente la bocca.
Sakura emise un grosso sospiro, dandosi un’occhiata in giro:
aveva almeno cinque pazienti da curare in quell’istante,
forse facendo affidamento su un ipotetico teletrasporto. Ma per Rock
Lee poteva permettersi di fare delle eccezioni.
Si sistemò i capelli e seguì Neji lungo il
corridoio.
«Cosa gli è successo?» chiese con tono
pratico e sbrigativo, nascondendo il disagio che quel ragazzo le
metteva addosso
sempre così perfetto, così impassibile
e rivolgendo lo sguardo verso Neji, che camminava a passi ampi e larghi.
«Ha esagerato, come suo solito. Ha fatto un allenamento
intensivo, di un’intera giornata, e senza dircelo ha poi
preteso di allenarsi con me e Tenten, celandoci che era già
allo stremo delle forze. Non mi aveva detto niente, chi poteva
immaginare…quello stupido…»
Sakura fece per chiedergli ulteriori informazioni, ma la vista di Rock
Lee, accasciato su una panchina, le fece intendere perfettamente le
parole di Neji.
Era livido, le bende imbrattate di sangue, numerosi graffi sulle gambe,
la tuta sporca e macera.
Accanto a lui, Tenten gli urlava contro rimproverandolo, anche se
subito dopo gli prese una mano, dandogli un buffetto tenero sulla
guancia.
«Sei proprio un cretino…ma come ti è
venuto in mente di chiedere a Neji di provare contro di te lo Juken
quando eri così debilitato?! Ma dove hai il
cervello?!»
«Ma Tenten, cerca di capirmi…dovevo sondare i miei
limiti! L’ha detto anche il maestro Gai che la forza della
giovinezza c…»
«Non ricominciare ancora con questa storia! Il maestro Gai
non ti ha mai detto di suicidarti, e se fosse qui a Konoha ti farebbe
anche lui una bella strigliata!»
Sakura nascose una risata, e si chinò su Rock Lee, che le
sorrise amichevole e con aria di scuse.
«Sakura-san! Mi dispiace di crearti problemi ulteriori,
è che…insomma…»
«Lee, non una parola di più» gli
intimò Sakura con aria bonaria, sciogliendoli le bende e
controllando una brutta ecchimosi che aveva sull’avambraccio.
Tenten osservava con aria preoccupata, mentre Neji, a braccia conserte,
aspettava appoggiato alla parete.
Dopo un rapido esame superficiale, Sakura si rialzò,
cercando ancora di pettinarsi i capelli.
Impresa ormai sempre più difficile.
Tanto valeva arrendersi.
«Tenten, porta Rock Lee nella stanza 6, è qui
dietro l’angolo. Dì che ho detto io di medicarlo
d’urgenza, non dovrebbero fare storie. Neji, tu vieni con me,
così ti affido la prescrizione di alcuni analgesici per Rock
Lee, se aspetto le infermiere facciamo notte»
Tenten sorrise, aiutando Rock Lee ad alzarsi, mentre Neji, sul viso la
stessa espressione indecifrabile di prima, osservò Sakura
con negli occhi un’ombra di perplessità.
«Grazie Sakura-san! Sei meravigliosa!»
esclamò Rock Lee estasiato, anche se dolorante, zoppicando
con un braccio avvinghiato alla compagna di squadra.
Sakura emise un profondo sospiro, appoggiandosi alla panchina,
socchiudendo gli occhi.
Due minuti di riposo soltanto. Solo due…
«Allora, questi analgesici?»
Sakura si riscosse all’istante, sgranando gli occhi verdi sul
volto indifferente di Neji.
«Certo, certo, scusami…sai, la stanchezza.
Seguimi» borbottò alzandosi a fatica.
Maledetto Neji.
Sakura camminò, scansando le persone, ora meno, che
affollavano le corsie, facendo cenno a Neji di seguirla.
«Queste medicine a cosa servono, esattamente?»
«Sono degli antidolorifici più forti del solito,
non li diamo molto spesso. Ma visto come è conciato Rock
Lee, credo che dovrà farne abbondante uso per i prossimi
giorni.»
Sakura si interruppe un istante, voltandosi a guardare dritto negli
occhi Neji.
È così dannatamente impassibile.
Così
freddo. Peggio di…di…
«Devi dirmi qualcosa?» le chiese lui cortese e
distaccato. Sakura scosse la testa, incerta.
Ancora più imperscrutabile di…di
Sasuke-kun.
Scrollò le spalle, mentre entravano in una stanzetta spoglia.
«Solo che mi stupisce come tu abbia potuto attaccare
così tranquillamente Rock Lee. Anche se era per un
allenamento, anche se non sapevi che si era già
massacrato…come hai potuto colpirlo così
forte?» chiese dandogli le spalle e rovistando
nell’armadietto tra i medicinali.
Neji aggrottò le sopracciglia.
«E’ una domanda sciocca»
«Non è affatto una domanda sciocca»
farfugliò Sakura controllando le etichette.
«Semplicemente, non riesco a capire come tu abbia potuto
farlo. Tutto qui.»
Neji incrociò le braccia, socchiudendo gli occhi
lattiginosi.
«Per migliorare bisogna superare i propri limiti. Tanto vale
non tentare nemmeno la strada del ninja, se uno non se lo mette in
testa fin dall’inizio. Rock Lee è più
debole di me, e ne è perfettamente conscio, ecco
perché si sforza sempre fino allo stremo delle forze pur di
raggiungere il mio livello. E fa bene, l’allenamento
è fondamentale. Se fino a qualche anno fa credevo che le
scelte di ogni essere umano fossero prestabilite dal destino, col
trascorrere del tempo ho capito che, se il destino non aiuta, ci si
può fermare da sé. Ma facendo il doppio della
fatica altrui. Non mi sembra un concetto così difficile da
capire, Sakura…»
«Non sono in disaccordo con quanto hai detto, mi sembra
ovvio…è solo che…colpire
così un compagno…» replicò
Sakura sempre rivolta verso l’armadietto, non volendo
girarsi. Celando anche a sé stessa cosa stava realmente
pensando in quel momento. Ma fu come se Neji le avesse letto nel
pensiero.
«Quel colpo non gli avrebbe fatto così male se non
fosse stato stanco e debilitato. E soprattutto, il nostro era un
allenamento. Chiamasi allenamento, chiaro? Non ho certo cercato di
uccidere il mio migliore amico e compagno di squadra, io».
Quel poco velato riferimento a Sasuke fece rabbrividire per un istante
Sakura. Ma solo per un breve istante.
Perché Neji aveva pienamente ragione, ed erano passati i
tempi in cui si infuriava per ogni parola detta contro Sasuke. Lo
teneva sempre nel cuore, ovviamente, e con Naruto parlava ogni giorno
di riportarlo a casa.
Ma non era certo più la figura idolatrata da ragazzina,
nonché il ragazzo di cui si era sempre professata
innamorata. A lungo andare, anche un cieco può riacquistare
la vista.
«Ho trovato gli analgesici…»
mormorò Sakura afferrando una scatola blu, ma in
quell’istante sentì le gambe cedere, la testa
vorticare, il buio davanti a sé.
Prima che perdesse conoscenza, percepì solamente le braccia
di Neji che, con grande tempismo, riuscirono ad afferrarla al volo.
«Mmpf…»
Il mugugno di Sakura fece sospirare Neji, che era seduto accanto a lei,
tranquillo come suo solito.
«Ma…dove sono?» chiese Sakura
realizzando di essere stesa su una panchina fuori
dall’ospedale, l’aria ancora calda e il sole
tiepido nonostante il tramonto incombente. Si guardò intorno
confusa, soprattutto perché ricordava di essere svenuta.
Ma…cosa ci faceva fuori? E soprattutto…cosa ci
faceva lì Neji?
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
«Hai avuto un collasso. Sovraccarico da lavoro, suppongo.
Nulla di grave, Shizune-san ha però chiesto di portarti
fuori per farti prendere un po’ d’aria fresca in
attesa che ti riprendessi. Visto che tutti erano occupati e che Naruto
non si sa dove sia finito…ho dovuto pensarci io.»
«M-mi dispiace moltissimo…»
balbettò Sakura imbarazzata, torcendosi le mani.
Che figura. Era svenuta, e come se non bastasse, in compagnia di una
persona che probabilmente la reputava una cretina totale.
Tra tutte le persone che avrebbero potuto trovarsi con lei in quel
momento, proprio Neji Hyuga?!
«E di cosa dovresti dispiacerti, scusa?» le chiese
lui con fare ironico.
Neji ironico? Possibile?
Sakura si toccò nervosa i capelli- ormai malinconicamente
simili alla saggina di una scopa- e si alzò lentamente dalla
posizione supina, mettendosi a sedere.
«Naturalmente mi dispiace che ti sia dovuto prendere cura di
me. Non era mia intenzione farti perdere tempo. Sul
serio…scusami.»
Neji la fissò per qualche breve istante, riportando poi lo
sguardo verso il cielo.
«Che scuse sciocche. Per chi mi hai preso? Mica potevo
lasciarti per terra in mezzo a una stanza e rifiutarmi di farti
rinvenire.»
Di nuovo quella parola, sciocca. Però.
Anni fa era un continuo “sei noiosa”. Adesso
scopriva che c’era una persona che reputava ogni parola che
dicesse sciocca.
Roba da esserne fiera.
Socchiuse gli occhi, leggermente offesa, ma poi vide la mano di Neji
che le tendeva una bottiglietta d’acqua.
«Bevi. È acqua integrata con zuccheri e sali
minerali, una schifezza che beve sempre Rock Lee. Pare che
però aiuti a recuperare un po’ le
energie.»
Sakura lo guardò, sorpresa. E poi la prese con garbo.
«Grazie.»
Stettero alcuni minuti in silenzio. Il sole, sul ciglio
dell’orizzonte, faceva ancora capolino, mandando gli ultimi
barlumi dorati che creavano curiosi giochi di ombre.
La temperatura continuava ad essere piacevole, nonostante una leggera
brezza che andava levandosi, e che giocava con i capelli lunghi di
Neji, solitamente sempre pettinati e in ordine. Sakura finì
l’acqua, poggiando la bottiglietta sul grembo.
Guardò di sottecchi il ragazzo accanto a lei, sempre intento
a guardare il cielo. Non poté fare a meno di pensare che
avesse davvero un bel profilo.
Era una constatazione effettiva e molto semplice: si poteva dire tutto
di Neji, tranne che non fosse bello.
Una bellezza quasi regale, altera, fredda. I lineamenti cesellati, il
corpo tonico, le vesti sempre linde e immacolate.
Come trovarsi a contemplare una statua.
Non un’ avvenenza imbronciata come quella di Sasuke, e
nemmeno il fascino un po’ stropicciato di Shikamaru o quello
solare di Naruto.
Semplicemente, una bellezza oggettiva. Quasi perfetta.
All’apparenza.
Ma se era necessario basarsi solo
sull’esteriorità, certo l’aspetto di
Neji rasentava quel lontano e arcaico concetto di perfezione.
«Come mai rivolgi sempre lo sguardo tra gli alberi?»
Sakura pose la domanda fregandosene di apparire, per
l’ennesima volta, sciocca; in fondo, non era una
divinità quella che si trovava di fronte, ma semplicemente
un ragazzo suo coetaneo, anno più anno meno.
Con il quale non aveva mai avuto alcun tipo di rapporto, e che, dentro
di sé, era realmente interessata a capire.
Perché difficilmente si potevano trovare persone
più riservate e sfuggenti di Neji.
Ed era sinceramente curiosa di intendere perché stesse
sempre a guardare tra le fronde degli alberi. Per quanto non lo
conoscesse, aveva notato questa sua particolare attitudine negli anni,
le volte che il team Kakashi aveva collaborato con il team Gai.
Neji le rivolse uno sguardo leggermente stupito, ma rispose subito, gli
occhi chiari sempre rivolti verso l’alto.
«Guardo se ci sono uccelli. L’ho sempre fatto,
è un buon esercizio per affinare la vista. Li conto, cerco
di avvertire la loro presenza, e poi col byakugan verifico. E vedo se
ho fatto un buon lavoro di percezione.»
«Posso chiederti perché proprio gli
uccelli?»
Neji abbassò finalmente lo sguardo, guardandola dritta negli
occhi.
«Perché sono gli animali più liberi che
ci siano. Senza alcun ostacolo o impedimento. Si muovono dove vogliono
e quando vogliono, non hanno limiti, o confini. Mi ricordano sempre che
la condizione di pura libertà esiste»
Sakura sgranò gli occhi, provocando per un attimo in lui una
smorfia. Ma subito dopo sorrise, il sorriso luminoso e cristallino che
le era congenito, meravigliando Neji.
Gli fece un cenno di noncuranza.
«E’ che penso di aver capito per la prima volta
qualcosa di te dopo tanti anni. E questo mi fa sorridere. Ma sei
sicuramente molto diverso da come potevo immaginare, Neji.»
sussurrò riflettendo mentre giocava con la bottiglietta
vuota.
Per la prima volta, lui sorrise. Impercettibile, leggero, ma pur sempre
un sorriso.
«Immagino»
«Non fraintendermi, è che…diamine, era
in senso positivo! Eccome…cioè…uff,
scusami ancora. Decisamente penserai che sia un’imbecille
totale, dopo questa giornata paradossale!» ammiccò
Sakura rassegnata.
Ma Neji mostrò il secondo sorriso. Ironico. Ma
più ampio.
«Per nulla. Ti ho sempre reputato una persona molto
particolare, Sakura. In senso positivo…»
E ancora una volta Sakura si ritrovò a fissarlo. Sbalordita.
Ma cosa stava succedendo?
La brezza intanto si era fatta più fresca, e si
trovò a rabbrividire. Neji si alzò dalla panchina.
«Bene, ti sei ripresa, come vedo. Direi che puoi anche
tornare a casa.»
Sakura scattò in piedi, raccogliendo i ciuffi dietro le
orecchie e annuendo vigorosamente. Fece per andarsene, ma Neji le
andò accanto, scrutandola cauto.
«Ma per chi mi hai preso? Ti accompagno a casa, no? Non
è nelle mie abitudini lasciare che qualcuno che è
appena stato male affronti la strada del ritorno da solo. A maggior
ragione se è una ragazza.»
Sakura sorrise sorpresa, facendo una lieve smorfia.
«Della serie noi ragazze non sappiamo badare a noi
stesse?»
Neji sbuffò.
«Della serie siete più deboli e fragili in certe
circostanze. Dai, andiamo. Casa mia non è lontana dalla tua,
se ben ricordo.»
Sakura si incamminò sempre più pensierosa.
Certo che non erano lontani. Ma tutti sapevano dove si trovava
l’immaginifica residenza Hyuga, mentre ben pochi dove
abitasse lei.
E Neji, incredibilmente, era uno fra quelli.
Camminarono in silenzio per qualche minuto, affiancati.
Sakura sapeva che non c’era nulla di cui essere nervose, ma
non poteva fare a meno di pensare che stare accanto a Neji era
veramente svilente.
Non c’era nulla che facesse per mettere le persone a proprio
agio.
Nulla per apparire meno regale e misurato in ogni cosa che dicesse.
Nulla per minimizzare quanto pensava delle persone.
Il ragazzo si accorse che Sakura era passata a tormentarsi le unghie, e
si girò leggermente verso di lei, mentre continuavano a
passeggiare illuminati dagli ultimissimi raggi solari.
«Qualcosa non va?»
Sakura si chiese se avesse fatto bene a dirlo o meno, ma dopo
quell’incredibile giornata, a quel punto, non aveva
più importanza di come lui avrebbe valutato le sue parole.
«E’ che…non ti stanchi mai ad essere
perfetto?» gli chiese con occhi bassi dando un piccolo calcio
a un sasso per la strada.
Neji si bloccò per un attimo, e lei fu costretta a fermarsi,
girandosi a guardarlo lentamente, pronta a trovarsi di contro a
un’espressione di palese disprezzo.
E invece Neji la guardava con sincera curiosità.
«Credi davvero che io sia perfetto?» le chiese lui
piegando la testa di lato. Sakura rise ironica, in modo gentile.
«Oh Neji, andiamo. Sei l’unico del nostro gruppo ad
essere jonin. Affronti ogni cosa con calma e raziocinio. Non dici mai
la cosa sbagliata. Sei sempre impeccabile, ammirevole. E sicuramente
mezza Konoha si gira a guardarti quando passi per strada. Se questa non
è perfezione…»
Ormai l’aveva detto, dando ascolto alla sua parte
più nascosta, la vera Sakura che pretendeva sempre di
parlare prima di pensare, ma al tempo stesso di capire chi avesse
realmente davanti.
Neji la fissò ancora per un istante, e poi si rimise a
camminare.
«Che affermazione…»
«Alt, non dire nulla» lo bloccò Sakura
superandolo con voce alterata, «sbaglio o la parola era
sciocca?»
«Mm…più o meno…»
«Non ne avevo dubbi.» Si bloccò,
riconoscendo la soglia della sua casa, ancora spoglia da quando vi si
era trasferita lì un anno fa.
Non c’era anima viva in giro, anche perché ormai
la temperatura stava facendosi davvero fresca: le stranezze del clima
di Konoha, che passava da mite a freddo nel giro di poche ore, o anche
mezzore. Bastava solo che il sole tramontasse.
Sakura tirò fuori le chiavi, sussurrando un
“grazie di tutto” senza voltarsi verso di lui; non
voleva farsi vedere con gli occhi umidi.
Ci sono certi punti che non si riesce più a tollerare con
buon animo.
Fece per far scattare la serratura, quando sentì qualcosa
bloccarle la mano.
Abbassò lo sguardo, a rallentatore, e vide la mano di Neji
premuta delicata sulla sua.
Si girò, in confusione, incontrando i suoi occhi indagatori.
«Sakura, se tu mi avessi fatto finire, ti avrei detto che
l’affermazione era sciocca perché pensavo che tu
avessi capito che io sono tutto meno che perfetto. È solo
tanta apparenza la mia, e solo chi sa vedere dentro di me
può cogliere le incertezze e i problemi che mi porto avanti
sin da quando sono piccolo. Non esiste la perfezione, anzi.
Vuoi sapere poi la verità? Anche io, prima di parlarti oggi,
ho sempre pensato che fossi perfetta. Da qualche anno a questa parte
dai l’idea della ragazza tutto d’un pezzo,
granitica ma amabile, che lotta per i suoi ideali, che riesce in tutto
quello che fa. Nulla della ragazzina petulante e debole dodicenne che
sei stata. Eppure, quando ti si conosce…si vede che sei
umana. Che qualcosa di quella ragazzina è rimasto. E,
credimi, è solo un bene. Ti ammiro, per questo. Ti ammiro
per la tua perseveranza, per la tua ostinazione, per la fiducia che hai
nel prossimo, ma ti ammiro anche perché tu, a differenza
mia, non hai paura ad essere te stessa.»
Neji si bloccò all’istante, divenuto
all’improvviso pallido, resosi conto di quanto detto, di
essersi sbottonato più di quanto avesse mai fatto in
passato.
«Io…non so che mi è preso. Devo andare.
Scusa.»
Si girò di scatto, allontanandosi, lasciando impietrita
Sakura sulla soglia di casa.
«Neji…aspetta.»
La sua voce, quasi roca, lo costrinse a fermarsi. Sentì i
passi leggeri dietro di lui, sempre più vicini.
Stava in piedi, immobile, le labbra trattenute, gli occhi lucidi, le
mani lungo i fianchi.
E col cuore in gola avvertì la mano di Sakura sfiorargli la
spalla.
«Io…voglio capire chi sei.»
Si girò lentamente, trovandola a pochi centimetri dal viso,
e si sentì avvampare.
Mantenendo il suo solito autocontrollo, voltò la testa di
scatto, sentendo però venire meno molte delle sue difese.
Sakura sentiva la gola riarsa.
Lo guardava, ma era come se non lo vedesse realmente. Perché
si sentiva tremare.
Ed era qualcosa che non aveva mai provato, qualcosa che andava oltre
ogni logica.
Non sapeva assolutamente come potesse essersi venuta a crearsi quella
situazione, non sapeva perché gli avesse appena detto quelle
parole.
Non sapeva perché all’improvviso il cuore le
battesse all’impazzata.
Gli afferrò una manica all’improvviso, lasciando
Neji di stucco.
«Ho perso Sasuke anche perché non sono stata
capace di capirlo. Non ero stata capace di leggere fino in fondo il suo
animo. Lo so che è un paragone assurdo, lo so che non ha
senso…ma non voglio perderti prima di conoscerti. Sarebbe
una cosa…così stupida. Io…io voglio
sapere tutto dei tuoi difetti. Voglio sapere le tue debolezze.
Voglio…»
Si fermò, ansante, il respiro affannato. Non avrebbe dato
alcun torto a Neji se l’avesse presa per una pazza totale.
Gli lasciò la manica.
“Io sono diverso da te
e Naruto, Sakura. Ho scelto
un’altra strada.”
«Sakura?»
La voce ferma di Neji le diede la forza di guardarlo. E come in trance
vide la sua mano sfiorarle una guancia.
«Io non sono come Sasuke»
«Vattene a casa,
Sakura.»
«Io non sono perfetto»
«Voglio diventare
potente. Sempre più
forte.»
«E voglio capire cosa significa fidarsi degli
altri.»
«E voglio spezzare
ogni mio legame»
Sakura scoppiò a piangere, dal nulla, e senza trattenersi
tuffò il volto tra la tunica bianca di Neji, impregnandola
di lacrime.
«Scusami…scusami…»
Lui la scostò gentilmente.
«Direi che oggi ti sei scusata anche abbastanza.»
Sakura sollevò il viso, e si asciugò gli occhi,
sorridendo suo malgrado.
«Bell’accoppiata…tu hai problemi a
mostrare quello che provi, e io il tuo opposto.»
Neji annuì, pensieroso.
«Ma…forse…tu mi fai venir voglia di
tirare fuori tutto quello che ho dentro di me»
sussurrò arrossendo
Sakura deglutì, sollevando esitante la mano fino a
sfiorargli il collo. Sentendo poi la sue dita che a loro volta
lambivano incerte il volto esangue.
«E tu mi fai venire voglia di tirartele fuori, queste
emozioni.»
«Io…mi piacerebbe.»
Sakura si sollevò sulle punte dei piedi, scostandogli i
ciuffi dalle labbra.
«Piacerebbe molto anche a me…Neji.»
Che dire, adoro questa coppia, e sono davvero soddisfatta del posto
ottenuto al concorso, visto che renderla in modo ic era arduo: in
più la giudice era davvero una signora giudice^^
Come sempre, un bacione alla mia robi, che mi ha dato il beneplacito
sulla coppia, ancor prima che nascesse la one-shot^^
Spero vi possa piacere, ovviamente, mi raccomando lasciatemi le vostre
impressioni!
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