Documento senza titolo
ore
dalla morte
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gradi
persi/ ora
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prime
3- 4
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0.5°
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successive
6- 8
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1°
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successive
12 (e fino a circa 18- 24)
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da
3/4° a 1/2° a 1/3° fino a T ambiente
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Ti
perdono. Per quello che mi hai fatto. Non mi
importa più.
Non
è vero. Vorrei perdonarti. Vorrei poterti perdonare con
tutte le mie energie.
Ma non posso. Non voglio.
Rimango
legata qui, a questi luoghi dove sono stata, soltanto perché
è
qui che mi trattiene la rabbia. Dall’altro lato dello strappo
c’è la pace.
Ma la pace è così accecante che mi imbarazza. Non
è mia. Non fa per me.
Ho
scoperto che il rancore è strettamente legato alle nostre
fibre. Quando queste
si sfaldano pian piano nel passare dei giorni, le cellule si arrendono
granello
per granello ad una clessidra che si ostina però a scorrere
infinita, e se ne
vanno anche i sentimenti più inutili.
Ma c’è sempre chi resiste per giorni, settimane,
perfino anni.
Quando il sangue si secca nelle nostre vene si formano dei coaguli neri
che
turbano un sistema altrimenti perfetto.
I nostri
sentimenti sono l'imperfezione
che ci rovina, la sbavatura nel quadro di un artista altrimenti
più o meno
abile.
Quello
che mi hai fatto è impresso nella memoria del mio corpo. Io
mi sento tanto
sola. Mi sono sempre sentita così forte. Così
salda.
Ma adesso sono tanto sola ed ho così tanta paura. Ho paura.
Ho paura che
qualcosa possa farmi del male.
Ho chiesto a Ciccio se questo è normale, e lui mi ha
abbaiato si. Se lui abbaia
con entrambe le sue due teste io gli credo.
Ormai so che, se è capace di fingere, è capace
soltanto con una delle due. E
comunque non ha alcun controllo sul suo sedere e sulla sua coda.
Quando
gli ho fatto la mia domanda su Harmony Dawn e se fosse in grado di
sentire
dolore per i suoi due corpi martoriati dai tubicini ed i graffi dei
camici
bianchi lui mi ha detto no.
Non ne sente. Ma sua coda si è abbassata fino al pavimento.
Aveva paura.
Harmony
Dawn siede incessantemente accanto a se stessa, piangendo stupefatta e
ciondolando davanti allo sconvolgimento di essersi trovata morta
all’improvviso
quando era così vicina a realizzare il suo desiderio
più alto. Brillare per
tutti. Essere desiderata da tutti.
Le
sono andata vicino e le ho chiesto se provasse dolore e lei mi ha
risposto che
ne prova molto. I suoi corpi gemelli provano molto dolore.
La
testa spiccata (è venuto da su perché sosteneva
che i lamenti gli facevano
venire l’emicrania) sostiene che ha detto così
soltanto perché le hanno messo
le targhette legate agli alluci da uno spago di infima
qualità. E di non
pensarci troppo. A lui lo hanno etichettato così tante volte
da vivo e da morto
che ormai non ci pensa più. Le semplificazioni dell'uomo,
che ti chiamano ladro
o omicida, numero o nome in esteso. Non hanno senso. L'agnello vegetale
invece
ha belato una riposta sottile sottile dal suo cantuccio,
così sottile che
bisogna chinarsi con l'orecchio vicinissimo al suo barattolo e sentire
quel
sussurro espandersi nella formalina
- è perché non ha mai amato che prova dolore... -
E’ stata una affermazione crudele.
Ciccio si è arrabbiato molto, non vuole che ascolti. Lui
vuole giocare. A lui
le cose vanno bene così come sono.
Ma io vorrei andare accanto ad Harmony Dawn e chiederle scusa.
E’ tutta colpa
mia se è nessuna delle due gemelle ha vinto il premio come
reginetta dell’anno.
Probabilmente lo avrebbero vinto entrambe, ex-aequo come sempre.
Sono davvero molto belle, anche da cadavere.
A loro non è accaduto nulla di brutto, i dottori non le
hanno quasi toccate. E’
stata soltanto troppa polvere.
Probabilmente saranno imbalsamate. Saranno conservate in un vero
mausoleo,
pieno di fiori sempre freschi.
Qualcuno poserà sulla loro lapide due corone di brillanti
con scritto su “Harmony
Hobbs, reginetta della scuola, la più bella” e
“Dawn Hobbs, reginetta dalla
scuola, la più bella”.
L’anima dei gemelli è una cosa unica, il fatto che
si possa dividere è solo una
casualità ed un errore.
Sono davvero contrita a vederla penare così tanto sul suo
corpo, ma non ho
parole per lei. Non avrei modo di confortarla.
La
morte non è un atto che si completa nell'immediato,
ma è prolungata nel tempo. Harmony Dawn
continuerà ad essere lei ancora per un
pochino, perché la vita continua in organi e apparati,
continua nell’infinitamente
piccolo, anche quando si è ormai totalmente consumata. Gli
occhi dei vivi sono
molto distratti. Raramente si accorgono che sotto ai loro palmi battono
ancora
le folate di quel che eravamo. Noi vi sentiamo, noi siamo qui.
Io mi chiedo se i miei peli continueranno a crescere, se
occorrerà ancora farsi
la ceretta, se le mie unghia diventeranno artigli. A qualcuno
è successo. Le
anziane signore, ad esempio, hanno dei baffi da far impallidire un
tricheco.
Io voglio che i miei capelli crescano. Voglio che crescano
infinitamente fino a
toccarmi i fianchi con la loro carezza, come le mani di un uomo. Fino
all’osso,
lì dove c’era alla notte dell’evoluzione
una coda (ho studiato nei libri, sì,
ho studiato nonostante i miei voti bassi). Fino alle natiche e alle
ginocchia,
che mi afferrino con forza, e mi facciano lo sgambetto.
E se arrivassero alle caviglie potrei farne un mantello e se ancora
potessi
andare avanti sarebbero un bozzolo.
Un bozzolo sublime in cui rifugiarmi per
l’eternità, attendendo come una falena
il calore della primavera.
Attenderei il disgelo in una prigione di seta, tendendo
l’orecchio verso il
tintinnio dei diamanti.
Mi basterebbe una carezza. Una sola carezza. Una carezza ancora. Per
capire che
è il momento di svegliarsi.
Anche io provo dolore. Provo un dolore forte, lì a sinistra
nel petto. E’ il
dolore di un vuoto che non riesco a colmare.
I dottori mi hanno tagliato una ciocca di capelli, ed io vedo quel
taglio
spiccare netto, sanguinando lì dove io non posso
più.
Voglio raccontarti una cosa. Ascoltami. Lui non ha colpa, è
innocente. Eppure
si tormenta in maniera orribile.
Sento i suoi spasmi farsi miei, lo sento. C’è il
rivolo che mi ustiona quando
si sposta forte nel suo corpo vivo.
Le cose sono andate così, prendi bene gli appunti.
Io non mi sentivo bene se non quando andavo a caccia, o almeno, io
credevo di
non sentirmi bene fino a che non lo facevo.
Un capone o un coniglio, tutto andava bene.
Il capobranco era il mio innamorato, il mio unico innamorato, ed era
così
giovane.
Gli ho ucciso io il padre, con una pallottola in fronte. Esattamente al
centro.
Un colpo perfetto.
Non sopportavo che tiranneggiasse il mio bosco. L’ho
ammazzato senza pensare.
Io credevo che, libere da quel sovrano, avrebbero svolto altrove la
loro vita. Che
mi avrebbero lasciata.
L’erede era ancora un cucciolo, ma tenne fede al suo
giuramento, e prese il suo
posto. Come potevo sapere che lo avrebbe fatto? Era ostinato ad andare
in
direzione contraria a quanto io avevo scritto.
Lottò. Ed io lo guardai lottare. Si ferì. Ed io
lo guardai sanguinare. Agonizzò,
ed io lo guardai risollevarsi.
Fuggivo da casa per guardare il branco. Divenne la mia ossessione. Non
avevo
mai visto qualcuno così aggrappato ai propri valori.
Era come me, non voleva che la famiglia si disperdesse. Non voleva i
frantumi
di una vita inutile. Voleva la vita.
Stavo con i cervi, all’altura, quando vidi
quell’altro. Stava camminando spavaldo,
faceva rumore.
La gelosia mi divorò dalle ossa. Aveva una sacca di iuta con
del fieno, ed era
solo, come me.
Camminava nel fango, a piedi, ma senza l’aspetto di un
escursionista.
Sembrava fuggito di casa, aveva gli occhi grigi come il cielo di
inverno.
Un uomo alto e scarmigliato, e dietro di lui si stagliava il mio cervo.
Per un
attimo vidi il palco dell’animale soprapporsi alla sua testa.
Il mio innamorato mi tradì, ed andò
dall’uomo e dal suo fieno.
Giungere fin lì, a quella altura nel fitto, è una
ostinazione; non ci
sono sentieri, occorre conoscere la
strada, averla incisa nella pelle.
Il desiderio delle braccia di quell’uomo, il suo sorriso, i
nodi nei suoi
capelli. Mi attraversarono come il lampo che arriva sempre prima del
tuono.
L’ho capito subito, ma non glielo ho detto mai. Lo volevo
perché era tanto triste.
Lo volevo perché in lui c’ero io.
Ma anche perché c’era qualcosa che non sarebbe mai
stata me. Non era mio, non
lo sarebbe mai stato.
La condensa di accalcava intorno alle nostre labbra, densa, quando non
avevamo
ancora inventato le parole.
C’era soltanto il mormorio del bosco ed io lo guardavo e non
comprendevo. Forse
già lo amavo.
Quando si muore il corpo si raffredda piano. Dicono che per prima si
perde quella
che chiamano presenza al mondo (meno di sessanta secondi, nel caso di
un colpo
al cuore), poi se ne va la sensibilità (bugia, io sento le
mani che mi scavano
dentro al corpo, le sento premere sullo sterno e la gabbia di ossa,
aprendola come
un libro desideroso solo
di esser
letto), poi dicono che cessi il circolo (però sono arrossita
al tocco del mio
primo bacio), e che cessi il respiro (ma sento il fumo di un ultimo
tiro infisso
nella gola).
Ci si raffredda piano. Si aspetta che il corpo diventi rigido. Che si
arrossi e
si macchi e si disintegri alla fine.
Li chiamano fenomeni cadaverici, qui. Ma è soltanto un
discorso sospeso.
Sai, quando mi hanno trovata nel mio bosco, ero distesa ed ero bella.
Ero bella
per la prima volta. Bella come sono sempre state Harmony e Dawn Hobbs,
le più
belle ragazze della scuola. Quelle che tu desideravi.
E’ stato lui a rendermi bella, a comporre il mio corpo come
se stessi soltanto
dormendo.
Non devo ferirlo così tanto, arrecargli così
tanto dolore. Ma non riesco a
smettere.
Nel gelo, il mio corpo era perfetto, ancora libero dalla cucitura a Y
che
adesso lo rovina.
Quando mi hanno trovata era ancora tiepido.
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