Ah, la tua idea, la peggiore di Miwako_chan (/viewuser.php?uid=58642)
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Nome autore: Miwako_chan
Titolo storia: “Ah, la tua idea, la peggiore”
Fandom: Free! Iwatobi swim club
Personaggio principale: Haruka Nanase
Lettera: B
Animale: Delfino
Avvisi: One-shot, shonen-ai, slice of life
Ah, la tua idea, la peggiore
Sono le cinque e il sole galleggia
addormentato nell’arancione. Le ombre scure e affilate di banchi
e sedie tagliano in linee verticali l’aula. Sembra così
ampia ora che è vuota, eppure Haruka è certo di sentirsi
quasi soffocare durante le lezioni più pallose, come se gli
mancasse lo spazio per respirare normalmente. La lavagna, posta dietro
la cattedra, si estende come un campo da baseball appeso alla parete.
Il suono del gesso che pigia contro la superficie verde è
morbido e ovattato, talvolta stridulo, costantemente ritmato da tock strascicati. È un picchiettio che occupa tutto l’ambiente, tagliando il tempo in pezzetti trascurabili.
Ricorda qualcosa di tenero che s’ammazza su un muro di cemento. È Rin.
I kanji bianchi sono disegnati con tratti affrettati, spigolosi, eppure
osservandoli nel loro insieme si capisce che nascondono un nucleo
piccolo e delicato. Sono Rin.
Qualsiasi cosa faccia, deve per forza mantenersi coerente con se
stesso. Il rumore, gli ideogrammi, il gesso stretto tra pollice e
indice sono prolungamenti della sua coerenza. Come lo sono gli
occhialini che si schiaffa sulla nuca o le canottiere nere bagnate di
sudore. Che poi dicono che sia una bella cosa fare le personcine
coerenti, del tipo che stanno sempre sulla stessa linea d’azioni
e ideali, quelle che non cambiano mai. “Ma se sei Rin Matsuoka è probabile che il discorso non valga”
riflette Haruka seduto sul davanzale della finestra. L’aria
fresca gli pizzica la pelle attraverso la camicia e sui palmi gli
è già rimasto impresso il segno degli infissi.
Non capisce davvero perché Rin debba rappresentare un problema
per lui qualsiasi cosa faccia. Lo scuote, gli strappa la terra da sotto
i piedi, lo strattona a tal punto da allontanarlo dal suo calmo e
rassicurante equilibrio. Il suo abulico, meraviglioso equilibrio.
È molto irritante, anche se lo sa che non lo fa poi così
apposta.
“Ecco, te l’ho detto” Afferma voltandosi, sul viso il solito e preconfezionato ghigno strafottente.
Nanase fissa la lavagna e il senso della frase si capisce ugualmente
anche se l’amico persiste nel starsene impalato lì
davanti. I kanji sono scritti in versione gigantopica, forse la loro
dimensione equivale alla verità della cosa.
“Tu non mi hai detto niente, piuttosto l’hai scritto.” Osserva atono.
“Te l’ho detto,” Ripete, infischiandosene.
“l’ho detto lo stesso, anche se alla fine sei il più
ipocrita di noi quattro.”
Rin ha sempre quel sorriso selvaggio
in faccia, le sopracciglia un po’ più corrucciate, e
probabilmente pensa che si stia difendendo proprio bene, dopo aver
commesso il grande errore di rovesciare i suoi sentimenti in
quell’aula. Che sono nudi e morbidi, sanguinano al solo toccarli
con l’unghia. Non che se ne sia pentito ora, anzi, è da
giorni che rimugina sul da farsi, se era davvero il caso di dirgli
quello che provava e così via, però stanotte,
conoscendosi, può darsi che si manderà a fanculo per un
lasso di tempo indeterminato disteso a pancia in giù sul letto.
Nanase non è tipo da
rispondere alle provocazioni, non lo fa mai e non lo farà.
Tuttavia non crede di essere un ipocrita, affatto, e Rin è
davvero un folle a dichiararsi pur pensandola così. Si limita a
guardarlo perplesso, forse dall’esterno potrebbe anche dare
l’impressione di essere annoiato. In realtà ha la schiena
ridotta a un fascio di nervi, le dita ancorate spasmodicamente agli
infissi e la gola secca. Il fatto è che non si aspettava che Rin
si trasformasse in un problema ancor peggiore di quello appena passato,
che arrivasse a sconvolgere nuovamente con un colpo di mano i suoi
piani d’acqua piatta. Per questo oggi, lo detesta e lo ringrazia
un pochino di più.
Rin è davanti a lui con la luce del sole puntata in faccia e gli
occhi stretti a fessura. Gli afferra le ginocchia, affondando le dita
nella stoffa dei calzoni. Ma ha già la sua piena attenzione
senza bisogno di contatti non richiesti: Haruka non abbassa mai lo
sguardo e non pensa nemmeno ad altro, per esempio che è tardi e
dovrebbe tornare a casa da Makoto.
“Con te è difficile, mi sembra di parlare sempre di cose che già sai.”
“Tu invece non sai niente, e non t’importa nemmeno di domandare”
Riflette Nanase, lucidamente. Le risposte degli altri, i loro piani o
pensieri, non hanno mai avuto molta importanza per Rin, lui fa, agisce,
a tutto il resto non rimane altro che fare cenno di sì o di no,
ma a quel punto è già troppo tardi.
Haruka contrae la mascella,
accigliandosi. “Se è così, al contrario, dovrebbe
essere molto più semplice per te.”
“No, che cazzo! È
frustrante non riuscire mai a prenderti alla sprovvista, non aver nulla
di nuovo da mostrarti.” Dice ridacchiando, stupidamente
disinvolto nonostante la situazione.
Haruka a quel punto gli schiaffa una
mano sulla fronte e con forza lo spinge via, scivola giù dal
davanzale e a passo svelto esce dall’aula. Niente più Rin
in pochi secondi.
Scende le scale rapidamente, tenendosi al corrimano. Cerca di non
correre, di fare tutto con calma, sta solo uscendo da scuola del resto.
Nel corridoio del primo piano, nello spazio in ombra tra due finestre,
si ferma. Così, all’improvviso, come se le gambe avessero
deciso di non ubbidirgli più, i muscoli indolenziti. Alza appena
le spalle, le rilassa e sospira.
Oh, sta scappando. Già, quello che sta facendo si chiama proprio scappare.
Non ci ha pensato, gli era sembrata soltanto una bella idea e
l’ha messa in atto. E proprio ora si accorge che quello che ha
fatto si chiama scappare, evadere dalle circostanze, fuggire a coda
bassa, squagliarsela, darsela a gambe. Anche se non corri vale lo
stesso, eh.
Scappare.
Si era ripromesso di non farlo mai più.
I muscoli scattano guizzanti,
allungandosi e contraendosi senza alcuno sforzo in un movimento fluido
ben calibrato. Le falcate sono ampie e leggere, mentre il corpo si
proietta in avanti sotto la potente spinta dei polpacci. Il vento gli
sferza il volto, costringendolo a strizzare gli occhi come di fronte a
una luce abbagliante. Correre non è esattamente come nuotare,
eppure gli sa donare allo stesso modo una certa sensazione di
libertà: può andare dove vuole e anche piuttosto
velocemente. I problemi, i vincoli, le strette convenzioni sembrano non
reggere il suo passo per il momento.
Sfreccia sulla strada, seguendo la ringhiera che dà sulla
spiaggia grigia bagnata dall’oceano. Un akita bianco passeggia
sul bagnasciuga annusando alcuni rifiuti abbandonati dalla corrente.
Non c’è molta gente per il paese: qualche anziano davanti
all’uscio di un negozio, dei signori con giacche pesanti che
camminano lungo il marciapiede, nessun bambino e l’entrata del
tempio scintoista è desolata.
“Corri, corri come se non ci fosse un domani!”
Se lo ripete forte nella testa, aumentando la sua determinazione.
Inspira profondamente, a lungo, immagina l’ossigeno entrare nei
polmoni, unirsi al sangue e arrivare ai muscoli che lavorano
tenacemente.
Espira schiudendo appena la bocca,
attraversa la strada e svolta l’angolo. Pensa a ogni singolo
muscolo delle gambe, focalizzandosi poi su articolazioni e legamenti;
l’anatomia lo rilassa, può dimenticarsi del resto.
"Anche se sei il più ipocrita di noi quattro”
Serra le palpebre. Ma che diavolo vuol dire?! E poi, ipocrita? Ipocrita
perché? Ipocrita ha così poco senso che stona pure sulle
labbra di Rin. Haruka si chiede se almeno sappia cosa significa, anche
se… Rin è fondamentalmente un romantico, se ne esce con
stronzate folgoranti come piscine colme di petali di ciliegio, e se ne
può benissimo uscire con un termine così tendenzioso come
ipocrisia.
Non ha mai mentito a nessuno, anzi, si è sempre ben guardato dall’aprire bocca più del necessario.
Come è anche vero che non si è mai ascoltato più
di tanto, nemmeno una volta è riuscito a essere sincero
abbastanza con se stesso da scuotersi. È molto meglio lasciarsi
trasportare dagli altri, da quella bassa marea che è Makoto e
che lo fa galleggiare, silenziosamente, nella vita. Rin al contrario
l’approfonda come una mano pigiata sul petto, dovrebbe tagliarlo
via, senza remore. Eppure il solo pensare a un’eventualità
del genere gli fa sgranare gli occhi.
Questa sera forse lo perderà,
non sa se fisicamente come la volta scorsa o in altro modo, ma qualcosa
s’incrinerà irrimediabilmente se non
l’asseconderà in tutto — non ne ha intenzione
—.
Il cielo è tinto di un turchese scuro, le stelle come la luna
sono già visibili, ricoperte da una patina opaca che le rende
simili a immagini residue.
Si ferma davanti al passaggio a
livello chiuso. Socchiude gli occhi, contraendo il viso in
un’impercettibile smorfia. E comincia a correre sul posto; le
scarpe gialle da ginnastica iper-leggere si flettono sull’asfalto
una dopo l’altra a ritmo sostenuto. Una signora in bici con il
carico della spesa lo guarda incuriosita; mentre aspetta che il treno
passi, Haruka è la cosa più attraente su cui posare
l’attenzione.
Nanase le getta una breve occhiata,
dovrebbe salutarla in fondo ci sono solo loro due lì davanti, ci
resteranno anche per qualche minuto. Sarebbe buona educazione farlo,
ciononostante torna a fissare dritto davanti a sé.
"Potrei passare sotto le sbarre e arrivare dall’altra parte in pochi attimi”
C’è una salita tosta dopo, detesta fermarsi.
Sembra che
tutti gli altri abbiano così tanto da fare, cose da realizzare,
l’impazienza addosso di arrivare sempre in un altro posto
rispetto a dove si trovano, lui queste cose non ce le ha.
È imbustato nella sua calma da strapazzo, trascinato negli
impegni degli altri, nervoso e apatico dentro un circolo infinito. La
fretta se la può anche creare, far finta di avercela, aver cose
da cosare di grande importanza per il futuro, obiettivi da conseguire.
“Guardi
signora, adesso scavalco le sbarre talmente ho fretta! Sono quel genere
di persona che ha troppi impegni e troppa voglia di portarli a termine
per perdere tempo in questo modo”
Il treno merci gli passa davanti agli occhi, vecchio e logoro, rumoroso
come non mai. Non va nemmeno molto veloce, fischia e sferraglia, sembra
stanco di tutto. E la luce rossa del semaforo è talmente
intensa. Riesce a leggerle chiaramente, le scritte bianche di un
graffito che occupa mezzo vagone: ‘Now or Never’ citano.
Non sa bene il motivo, ma ne era consapevole già ai tempi di un
Matsuoka in Australia, che non può fare a meno di lui. Se lo
perdesse cercherebbe per ogni dove qualcosa come Rin, nella foresta
amazzonica, in mezzo ai ghiacci, percorrendo il deserto, scavando nella
terra, ci sarà pur da qualche altra parte qualcosa del genere,
no?
“Queste sbarre ci impiegano sempre così tanto tempo ad
alzarsi, non trova?” Dice la signora rivolgendogli un sorriso
gentile.
Haruka la guarda ma non risponde.
Quale tempo? E perché sarebbe tanto? Come si fa a quantificarlo
quando non si ha alcuna fretta?
“Ho molto da fare.” Mormora lanciando uno sguardo verso l’alto, probabilmente scocciata.
Che fortuna.
Quando arriva davanti al porticato
della Samezuka che si affaccia sulla strada, Rin è già
lì. Sta appoggiato con la schiena al muro, sul volto
un’espressione un po’ cupa, un po’ annoiata. Indossa
una canottiera azzurra, i pantaloni della tuta larghi e ai piedi delle
infradito. Fa troppo freddo per quel genere d’abbigliamento, ma
lui sembra non risentirne minimamente. Anche Haruka è in
t-shirt, ma lui ha corso per lo meno, il suo termostato interiore non
dovrebbe essere alterato.
“Ehi.” Dice, inespressivo, dopo averlo osservato per un
tempo decisamente troppo lungo per non essere considerato imbarazzante.
“Ehi tu.” Ricambia
Matsuoka, accomodandosi meglio contro la parete. “Sai, non
credevo saresti venuto sul serio.”
“E allora perché sei sceso?”
“Oh, ma che vuoi!” Sbotta inarcando le sopracciglia e sfoderando i canini in un mezzo ghigno.
“Eh dai, non piangere Rin”
“Comunque stavo solo passando di qua.” Replica poi Haruka con tono piatto, distogliendo lo sguardo.
“Ma non dire cazzate!” Questa volta Rin ride, anche se un poco risentito.
“È il giro di corsa che
faccio tutti i giorni, tu non saresti neanche sceso. Questa sera
sarebbe stato molto più probabile non incontrarci affatto.”
“Ho troppi impegni, ho davvero fretta. Rin, non farmi perdere tempo”
Matsuoka contrae la mascella e aggrotta la fronte, contrariato. Lui
è il tipico ragazzo ‘che se ne va’, ti volta le
spalle ed esce di scena ogni qualvolta le cose non vadano come dice
lui, ogni volta che non dici qualcosa di abbastanza interessante da
farlo restare. La gente dovrebbe crogiolarsi nel tempo che le dedica
col contagocce. Anche Haruka è un tipo del genere, ma lo fa con
più naturalezza e senza tutto quell’orgoglio e presunzione.
Quindi adesso è davvero
difficile, perché se ora se ne va anche l’amico
farà lo stesso e non avrà ottenuto proprio un bel niente
di quello che desidera. Deve fare uno sforzo atroce.
“Avrei dovuto stare zitto. Sapevo benissimo che non te ne saresti
fatto niente delle mie parole, me ne sono pentito un secondo dopo del
resto.” Spara brusco, colpendo con forza la parete col palmo
aperto. “Almeno mi aspetto da parte tua la mia stessa
sincerità, no?!”
Haruka lo guarda scettico, forse per
capirsi loro due devono picchiarsi obbligatoriamente, piangersi
addosso, urlarsi a tre millimetri dal volto, altrimenti sembra che non
funzioni.
“Vuoi picchiarmi?” Glielo chiede quasi per cortesia.
Rin viene avanti e si piazza di fronte all’amico, flettendo il
collo con aria di sfida. “Volentieri.” Dice, ma non lo
farà.
Quando era in Australia o non era in
Australia, Rin gli mancava veramente tanto, la sua assenza era come vuoto
risucchiante, un buco all’altezza dello stomaco. Avrebbe voluto
cercarlo, chiedere sue notizie, o anche fare un semplice giro per il
paese con il solo intento di trovarlo, scorgerlo in qualche vicolo,
fare almeno quello che si farebbe per un animale domestico scomparso.
Tuttavia non si è mosso di un solo passo, perché a quanto
pare era molto più facile e importante cucinare sgombri in
grembiule e farsi accudire da Makoto.
“Vieni su da me.” Dovrebbe essere una domanda.
In teoria, se ci pensa bene, sarebbe questa la cosa più naturale da farsi.
Arretra di un passo e si volta, pronto a riprendere la corsa.
“Hai forse paura?” Rin lo dice con tono annoiato, perché la gente paurosa lo tedia molto in un certo senso.
“No.”
Matsuoka guarda altrove e scalcia un
po’ di ghiaia con l’infradito. “Eppure sei scappato
la volta scorsa, o sbaglio?” Glielo rinfaccia senza troppi
problemi, lo trova anche piuttosto divertente — metterlo in
difficoltà —.
Haruka rimane in silenzio, non sa che dire e comunque sia non gli va di sprecar fiato in giustificazioni idiote.
Rin infila le mani in tasca e
socchiude gli occhi, visibilmente deluso. La sua spavalderia sembra
spegnersi, anche se solo per un momento.
“Non funzionerà, abbiamo entrambi un pessimo carattere e
sarebbe insensato anche solo pensare di provarci.” Spiega
schiettamente. “Restiamo amici e basta.”
La voce di Haruka è dura, cala
giù come un pugno fatto di pietra. Sembra voler dire che le cose
stanno così, al di là di quanto ci si sforzi non si
possono cambiare.
“Sta’ zitto! Come diavolo fai a dirlo?! Parli sempre come
un cazzo di stronzo so-tutto-io!” Sbraita con
l’eleganza di un cane preso a calci in culo.
“Non
sai farne buon uso, per quanto possano essere utili i miei sentimenti
resta inteso, li stai allegramente calpestando” o almeno
è questo che pensa Rin con una certa rabbia. E non importa se
anche lui è bravo nel fare altrettanto o se si sta calando come
al solito con troppa enfasi nel ruolo di vittima.
“È una cosa stupida.” Ribatte Haruka poco coinvolto.
Si riferisce a tutta questa conversazione, all’essere arrivati
inconsapevolmente fin qui.
Elargire i propri sentimenti alla
persona che si ama è davvero una pessima idea. Significa
soffrire al cubo, regalare la tua parte più vulnerabile a chi
può colpirla con più forza. Bisogna ammettere che
però è coerente con ciò che un Rin Matsuoka
autodistruttivo rappresenta.
“Cosa?” Domanda confuso, mentre i lineamenti del viso si
rilassano. Haruka ha detto: “è”, ora adesso
“è”, nel senso che è appurato che lo sia
“una cosa stupida”, è come se l’avesse
già accettato. Non ha detto: “sarebbe una cosa
stupida”, ma che lo è ora, perché ci stanno
già dentro, lo stanno già facendo.
Nanase lo guarda con sufficienza. Non vuole perderlo, ma nemmeno
spostare l’asse del corpo in un’altra direzione, vivere e
muoversi in avanti. È difficile oltre che assurdamente faticoso,
meglio
allora assopire le urla, mentire, chiudersi a riccio.
Fa per andarsene, ma Rin lo blocca afferrandolo con forza per un braccio.
“Lasciami.” Basta poco, un altro sguardo
d’indifferenza, uno strattone deciso e Rin crollerà
mandandolo al diavolo.
Tira Haruka verso di sé. “Hanno lasciato la piscina aperta.”
Magari è una balla —
quella dell’ultimo minuto —, Haruka lo sa e allo stesso
tempo no, perché con Rin così vicino che potrebbe
mordergli le labbra da un momento all’altro si sente solo molto
confuso.
Si scansa in malo modo,
indietreggiando poi di qualche passo. La voglia di correre via
imperante. Ma deve resistere, ancorarsi al terreno con tutti e due i
piedi. Volta soltanto il capo, guardando la strada perdersi in
lontananza.
Finiranno per disgregarsi insieme, insultarsi pesantemente, sbattersi a
terra, ignorarsi allo stremo. È inevitabile in un modo che lo
esaspera al solo pensarci.
Però Rin ha appena pronunciato la parola “piscina”,
bisogna valutarlo. Non si può prendere l’acqua senza
metterla nell’acqua, questo si sa.
Guarda l’amico con la coda dell’occhio, nell’iride un bagliore violento da: “perché non me l’hai detto prima?”
Note autore:
Ringrazio di
cuore Ay Nini per aver indetto questo bellissimo contest. Mi sono
davvero divertita a scrivere su Free! e se non fosse stato per il
concorso che mi ha ispirato non credo che sarei mai riuscita a
cimentarmi in un nuovo fandom ^-^
Un grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno! :3
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