Saltare
la lezione non è qualcosa che fanno abitualmente, ma quel
giorno la voglia di sedersi al banco e mettersi ad ascoltare sfugge
alla loro prospettiva di cose importanti da fare.
Quasi
di comune accordo, Haruka e Makoto rimangono nascosti sul tetto della
scuola, il vento che scompiglia i capelli di entrambi in brevi e
frequenti sbuffi.
Haruka
è irrequieto. C'è la competizione dietro l'angolo, con
la possibilità di vedere ancora Rin; c'è tutta la
pressione che sente provenire dagli altri membri della squadra
-eccitatissimi in vista di una possibile vittoria che per lui,
concettualmente, non ha mai significato molto- e si ritrova con ore
di sonno arretrato che lo rendono nervoso.
Fa
fatica ad accettare che tutti contino su di lui. Vorrebbe che quel
fatidico giorno arrivasse prima possibile e poi sparisse tra i
flutti, per poter riprendere a nuotare senza affannarsi, liberandosi,
nell'acqua, da ogni costrizione che la vita reale gli impone.
Makoto,
per contro, sembra molto rilassato, anche se internamente avrà
mille pensieri proprio come lui. Gli lancia un'occhiata e lo
sorprende a sorridere con il naso rivolto all'insù, la luce
tiepida del sole che filtra sporadicamente dalle nuvole e illumina i
capelli castani donandogli improbabili riflessi di un verde dorato.
Sembra
una creatura marina, con quei colori.
Non
è la prima volta che lo pensa e non è la prima
occasione in cui osservare così da vicino la bellezza semplice
e naturale del migliore amico gli porta via un po' di fiato. Guarda
per un lungo momento le labbra tese nel sorriso di benessere, le
palpebre abbassate, il movimento regolare delle spalle mentre prende
un nuovo respiro bello pieno.
Anche
se cerca di non soffermarcisi eccessivamente, spesso capita che,
fissandolo per troppi secondi, gli ritorni in mente l'istante di
paura fottuta in cui stava per rianimarlo in quella notte di
tempesta. Ha esitato, tra l'angoscia che gli struggeva il petto, il
terrore di perderlo se non avesse fatto qualcosa al più
presto, e la consapevolezza che l'unico modo era quello di premere le
labbra sulle sue.
Un
gesto normale, un gesto necessario, eppure, per qualche ragione, un
gesto su cui si è soffermato troppo a rimuginare, quando tutto
ciò che avrebbe dovuto fare era agire in fretta.
Non
si è reso conto del turbamento che ha provato -nascosto in un
cantuccio minuscolo, dietro la paura più pressante-, finché
non si è ritrovato solo, al riparo nella sua casa, a
riflettere su quegli istanti di panico. Una volta passato il
pericolo, con Makoto al sicuro e perfettamente in salute, ha
rianalizzato ogni istante con oggettività. E ha capito che
l'idea di avvicinarsi così tanto da superare un confine ben
delineato lo scuoteva dentro.
Ha
sempre fatto pensieri piuttosto strani, ma un pensiero come quello è
più che strano e forse dovrebbe semplicemente smetterla
e andare avanti, dato che di cose su cui rimuginare ne ha molte.
Scuote
la testa, si alza, fa qualche passo e sbircia di sotto, dominando con
un'occhiata il cortile deserto della scuola. Un movimento affrettato
attira la sua attenzione e scorge una camicia, il lembo di qualcosa
che potrebbe essere una gonna e... mani che si muovono frenetiche.
Makoto
lo affianca quasi subito, facendogli compagnia con la sua semplice
presenza solida e silenziosa. Entrambi fissano quel punto, poi
l'amico sussulta e volta la testa dalla parte opposta: è così
timido da non riuscire a sostenere la vista di due adolescenti che
pomiciano dietro un albero?
Haruka
lo osserva e gli rivolge un'occhiata mezza divertita, che muta in
fretta in qualcosa di diverso quando gli esce dalle labbra una
domanda che semplicemente decide di spararsi fuori da sola, senza
permesso dai piani alti.
«Tu
l'hai già fatto?»
Makoto
si rivolta lentamente nella sua direzione e ricambia la sua occhiata
piatta con occhi molto grandi, sorpresi, le sopracciglia così
inarcate da renderlo comico. Solleva un indice e si sfiora la guancia
più volte, cercando di contenere il palese imbarazzo.
«Amoreggiare?»
«Baciare.»
Si
rilassa solo un poco, liberando nel successivo soffio d'aria, più
potente in quel punto esposto, il respiro che stava trattenendo.
«No,
non ancora.»
Haruka
allenta la stretta delle mani. Incredibilmente, quella risposta lo fa
stare bene, lo tranquillizza in una maniera quasi irreale.
Non
ha mai pensato troppo alle esperienze amorose di Makoto, non si è
mai chiesto se abbia avuto una o più ragazze, a che punto si
sia spinto o se sia stato tanto innamorato da non chiudere occhio la
notte.
È
un interesse recente, il suo, e nemmeno spiegabile come semplice
curiosità. In effetti, non capisce bene nemmeno lui, ma sa che
il momento in cui lo ha quasi rianimato non è la risposta. Ha
solo contribuito ad aprire i suoi occhi su qualcosa che c'è
sempre stato, in sordina, inascoltato, accelerando un processo di
presa di coscienza inevitabile.
«E
tu?»
Haruka
socchiude le palpebre e fa spallucce, tornando a sbirciare brevemente
la coppia nascosta e poi mettendosi a osservare lo spostamento -molto
più affascinante- delle nuvole sospinte dal vento.
«Non
mi interessa.»
Makoto
ridacchia e si appoggia al muretto bianco con i gomiti, congiungendo
i palmi e inclinando la testa sulla spalla.
«Non
mi sorprende, Haru. Le cose terrene non ti sono mai interessate
troppo.»
Lo
guarda di sbieco, di nuovo quel sorriso calmo e gentile stampato in
volto.
«Succederà,
prima o poi.»
Haruka
non vuole che arrivi il momento di avere una ragazza. Non gli importa
niente di appuntamenti e cose del genere, sta bene così.
Non
vuole che qualcuno sia così vicino da interferire con la sua
sfera intima, con le sue consolidate e buone abitudini, e finisca per
invadere lo spazio nel quale si muove.
A
parte Makoto.
«Vuoi
provare?»,
sussurra con labbra insensibili, lanciandogli un'occhiata solo
apparentemente disinteressata.
Makoto
indossa ancora un po' quel sorriso sereno, poi si rende conto del
significato di quella domanda e molto lentamente guarda Haruka dritto
in faccia, come se cercasse traccia di umorismo.
Haruka,
che non ne ha mai posseduto troppo, non batte ciglio.
L'amico
cerca di dire qualcosa, poi si appoggia più pesantemente al
muretto e scuote la testa ridacchiando. «Per
un attimo ti avevo creduto, Haru.»
Il
suo sguardo dolce si perde in lontananza, evitando accuratamente la
coppia che ogni tanto, nell'impeto amoroso, dimentica di nascondersi
in maniera appropriata. Quello sguardo accarezza i tetti degli altri
edifici intorno, le cime degli alberi scosse dal vento, ma non cerca
più Haruka, che invece lo fissa ancora.
A
quel punto, sentendosi ignorato, borbotta qualcosa e dirige
l'attenzione altrove.
Non
sa perché gli ha chiesto una cosa simile: non è che lui
stesso, per primo, abbia così tanta voglia di sperimentare un
bacio. Tranne se la bocca da baciare è quella di Makoto. In
quel caso -deve ammetterlo- l'interesse c'è ed è come
una spirale calda che vibra e si attorciglia in un punto ben preciso
del ventre, diffondendo un vago malessere.
Sente
la faccia riscaldarsi quasi all'improvviso e controlla, con il palmo,
di non avere la guancia in fiamme, preoccupato, quando ecco che la
mano di Makoto lo prende per l'avambraccio e lo allontana da quella
posizione esposta, riconducendolo presso la porta.
Lo
fa appoggiare contro il muro e gli tiene le mani sulle spalle, lo
sguardo basso che di tanto in tanto saetta ai suoi occhi blu,
indeciso.
«Dicevi
veramente? Eh, Haru?»
Haruka
deglutisce e avvicina le sopracciglia, quasi imbronciato. Parla poco
volentieri, cosa gli fa credere che perderebbe tempo a fare domande
per il piacere di sentire la propria voce?
«Come
sempre», risponde,
ignorando la nuova fitta al centro dello stomaco.
Makoto
ha le guance leggermente rosate e gli occhi più intensi del
solito, quasi languidi. Mentre Haruka ammira il verde brillante che
conosce da una vita, Makoto si avvicina e il tempo smette di avere
importanza.
Le
sue lunghe dita delicate gli si posano sugli zigomi e scivolano al
mento. Rimangono a fissarsi con intensità -troppa, secondo
Haruka-, finché non si sente tirare in avanti come fosse stato
pescato. Infila le dita tra i capelli castani dell'amico e lo
avvicina a sua volta, tendendosi fino a che i loro respiri diventano
uno soltanto, confuso e accelerato.
Sfiora
le sue labbra per primo e crede di morire, perché lo stomaco
si ribalta e fa capriole inverse che provocano vero dolore fisico,
che con il lieve malessere portato da semplici pensieri poco ha da
spartire.
Si
ferma, stordito dalla sensazione quasi nauseante, ma Makoto non sa
aspettare che si riprenda un po' di stabilità e annulla la
minima distanza inclinando il viso. Procede con lentezza per dargli
il tempo di sottrarsi, ma ad Haruka non passa minimamente per il
cervello.
Le
labbra si trovano completamente ed è la cosa più dolce
e rassicurante che abbia mai provato. Il dolore raggiunge nuove
vette, ma ora gli sembra di volergli andare incontro
intenzionalmente, perché c'è anche piacere in quella
particolare forma di sofferenza.
Quel
contatto lo isola come fosse sott'acqua, ma allo stesso tempo lo
costringe ad affrontare una tempesta di emozioni nuove e
affascinanti.
Anche
se non sa come comportarsi non ha il tempo di crucciarsene, perché
Makoto lo avvicina sempre di più infilando le dita dietro il
suo collo, tremando, e non può che essere conquistato dalla
sua dolcezza, riuscendo a lasciarsi andare.
Si
ritrova bloccato tra il muro bianco dell'edificio e il corpo del
migliore amico, che preme su di lui ma solo per sentirlo vicino,
senza imporsi con violenza. Le mani vagano tra i capelli di Makoto,
dopo una prima immobilità iniziale, e senza rendersene conto è
proprio lui che prova ad approfondire il bacio con un gemito di gola.
Dura
così tanto, quel viaggio magnifico, che nemmeno il vociare dei
compagni che irrompe dal basso del cortile riesce a distrarlo. È
completamente immerso in Makoto e nelle sue labbra.
Quel
primo bacio non è imbarazzante né goffo, è
naturale come un tuffo, è morbido come l'abbraccio dell'acqua
pulita, è caldo come una fiamma che sembra bruciare con sempre
maggior intensità nei suoi polmoni, consumando aria troppo
velocemente nonostante vadano pianissimo.
Non
si preoccupa di come il loro rapporto evolverà e cambierà,
perché sa di non essere stato l'unico a volerlo: lui ha
chiesto ma Makoto ha iniziato, è un atto consapevole tra due
ragazzi che sanno quello che fanno. Avere paura, inoltre,
appiattirebbe quello che sta provando e non ha alcuna intenzione di
sentirsi meno vivo, perdendo tempo a preoccuparsi.
Si
stringe a lui; la felicità è strana e misteriosa, nel
suo cuore, ma l'affronta con coraggio lasciandosi dominare,
imponendosi quando ne ha voglia e ne sente il bisogno. Non vuole
seguire schemi, come in tutta la sua vita, vuole solamente obbedire a
quell'emozione, godersi la sensazione della bocca di Makoto in
armonia con la propria, le labbra che vengono esplorate e sfiorate
con la punta dei denti e a tratti la lingua.
Smette
di sentire, smette di pensare, smette di esistere, quasi.
C'è
solo Makoto, con il profumo leggero della sua pelle, le sue ciocche
intrappolate tra le dita chiuse, il respiro caldo sulla guancia e le
mani dietro la schiena, mai completamente ferme.
Niente
fino a quel momento ha mai avuto un sapore più dolce.
Quando
Makoto si allontana dalle sue labbra per riprendere a respirare, si
accorge di essere finito disteso sul pavimento e che una delle sue
mani, quelle mani grandi che possono accarezzare un gattino e farlo
sparire alla vista, è sotto la sua nuca per proteggerla.
Ti
voglio bene, Makoto, pensa. Non lasciarmi indietro, mai.
L'amico
sorride, ma è un sorriso diverso dai soliti, già
bellissimi di loro. È un po' più bello, pieno di
emozioni com'è. Lo fa splendere più del solito, quel
sorriso.
«Ti
voglio bene anch'io, Haru.»
Sembra
voler aggiungere altro, ma l'imbarazzo e quel lentissimo bacio da
capogiro sembrano averlo distrutto, così rimedia stringendolo
tra le braccia e sparendo con il viso addosso a lui.
Haruka
rimane fermo, gli occhi piantati nel cielo che li sovrasta.
Non
ha detto niente, ma Makoto l'ha sentito lo stesso.
Non
è sorpreso.
|