Lucky
Florio. Reduce da una vittoria. Spegne il cercapersone, il turno
è finito.
L’obitorio si è ormai chiuso alle sue spalle. O
almeno per oggi.
Solleva la mano verso l’usciere e gli regala un breve saluto.
Si è fatta di
quell’uomo un’impressione come quella di una brava
persona, e soprattutto una
persona rispettosa di un lavoro così strano e delicato
insieme. Così gli affida
Viola, la sua collega piccola anche se soltanto di un anno, ma prima le
strapazza i capelli mentre le rovescia in braccio i quaderni delle
consegne.
Siccome lei è l’unica entrata del suo anno la
chiamano collega unica. Ed un po’
le dispiace, che Viola non abbia un suo Mimi con cui scherzare.
Il caso delle gemelle è stato relativamente semplice da
svolgere, mancano
ancora le conferme del laboratorio di tossicologia, ma la perizia
è quasi
fatta. Lucky è serena, soddisfatta di quel che è
riuscita ad ottenere senza
doversi appellare all’aiuto di nessuno.
Ha avuto modo di lavorare al caso, di metterci mano come si dice nel
gergo,
durante i due giorni precedenti. Manca solo il parere di Elsker.
Gli amici delle gemelle Hobbs hanno raccontato di una festa con set
fotografico
e di una dose eccessiva di sballo. Troppo, troppo semplice.
Alcuni dei presenti sono ancora ricoverati sotto shock alla psico e
saranno
presto convocati dalla polizia in quanto testimoni oculari del dramma.
Resta soltanto ad aleggiare nell’aria il perché di
quella droga così
concentrata, quella stessa droga che ben tagliata e venduta sarebbe
bastata per
un altro centinaio di feste. E il perché Harmony e Dawn ne
abbiano presa così
tanta ed insieme.
C’è il velo della parola più vietata da
qualsiasi storia medica. Così
intirizzita da non poterla neanche pronunciare come ipotesi.
La madre delle ragazze nega con tutta la sua forza che le sue piccole
stelle
non abbiano amato che la vita e la vita soltanto, e non avrebbero mai
pensato
di togliersela. In quel modo poi, a distanza di solo una settimana dal
concorso
scolastico che le avrebbe lanciate vittoriosamente verso una carriera
nel mondo
della moda. Avrebbero trovato lì la loro strada, di sicuro,
in quell’apparire
spudorato offerto dalle riviste patinate.
Lucky Florio ha la sua cartelletta da completare ed i suoi appunti
presi
ordinatamente con una scrittura minuta e fitta.
Ha costretto i suoi ricci in una acconciatura ordinata che le si posa
sul capo
grazie ad un intricato sistema di forcine di cui si è
però stufano in fretta
sino ad infilarvi anche le matite mezze mangiucchiate e le bacchette
del
ristorante cinese che è il suo take away preferito.
Si è separata dalle sue mollettone tutte allineate lungo le
tempie e dalle immancabili
occhiaie per un filo di trucco, prima di uscire.
Ombretto color pesca ed un lucidalabbra degno di una adolescente al
primo
appuntamento. Non sa perché lo ha fatto.
E’ diretta al padiglione distaccato, lì dove il
nome “ospedale” non è neanche
indicato nell’insegna a favore del più laconico
“Casa di cura - Brothers Bright
– Emergenze, Lungodegenza ”.
Si chiede se suo padre sarebbe orgoglioso di vedere il suo nome, e
finalmente
da solo, dato alle stampe locali come segno di successo accanto a
quello della
più famosa famiglia della zona seppure in una occasione
funesta.
I giornalisti la intervisteranno presto e lei si chiede se
riuscirà a strappare
a quel genitore eccellente in tutto almeno un sorriso di approvazione,
ed il
perdono per non aver seguito le sue tracce.
I cadaveri erano il suo sogno fin da quando ne aveva visto uno per la
prima
volta, da bambina, immacolato nel suo aspetto di cera e per nulla
inquietante,
nello stesso museo dove ora è di casa. Era ricoperto di
farfalle blu come
un’opera d’arte.
Ci avrebbe impiegato anni a capire che era soltanto una dimostrazione
simbolica
di quella che si chiama entomologia legale. Tanatologia.
Dopo aver conseguito il diploma superiore con risultati eccellenti
avrebbe
potuto scegliere qualsiasi facoltà ma lei si è
gettata con diligenza contro quelle
materie che le venivano imposte e che si interponevano fra lei e la sua
ambizione.
Lontana da casa si è impegnata ad inanellare una prova
impeccabile dietro
l’altra. E’ stata umile con i suoi responsabili,
dedicandosi alle cose più
infime anche quando poteva dedicarsi soltanto a se stessa. Ha
rimboccato
coperte, ascoltato vecchietti, rincorso cuori battenti di bambini.
Custodendo fra le dita la fialetta calda del sangue di qualcuno ha
pensato così
tante volte al miracolo.
L’attenzione per qualsiasi materia, in esami in cui non
è mai stata zitta
neanche davanti alla domanda più ostica (un'unica eccezione:
pediatria) le sono
valse il voto più alto, la menzione e l’applauso
scrosciante. Ma non le
congratulazioni di un padre perfetto.
Forse dovrebbe parlarne con Elsker, raccontargli qualcosa di come a
volte si
sente.
In fondo è questo che immagina facciano gli strizzacervelli:
custodiscono
quello che noi ci impuntiamo di non voler vedere.
Nel suo tragitto sceglie di passare dalla Chirurgia.
C’è un intervento in
corso. Vuole vedere come si salva una vita. E’ una questione
di tecnica.
Preme il viso contro il vetro che la divide dalla sala operatoria e
solleva una
mano a fare un gesto di saluto alla ferrista che sta appesa alla
lampada come
una scimmia tropicale.
I chirurghi nelle loro divise verdi, tutti uguali con gli occhi ad
emergere dal
bordo bianco della mascherina, l’hanno sempre affascinata.
Il fatto che non riescano a far nulla da soli, neanche a vestirsi o
affibbiarsi
gli infidi fiocchettini che bloccano la stoffa sulla schiena, la
commuove.
Devono per forza sostenersi nel passarsi i ferri, nel tenere aperta la
loro
ferita – il genere di ferita che sanguina ancora di rosso
vivo- ed aiutarsi a
vicenda. Quando l’ultimo arrivato arriva nei pressi del
tavolo di lavoro con le
mani rivolte verso l’alto (serve a che l’eventuale
sporco residuato dal
quadruplo lavaggio scivoli verso i gomiti) sembra che stia pregando.
L’infermiera lo soccorre porgendogli i guanti impolverati ed
incartati
singolarmente che ha aperto soltanto con la punta delle dita, e china
un po’ la
testa coperta dalla cuffia, come un cavaliere che si inchini ad una
scintilla
di divino. Nell’aria oscilla una sonata di Chopin.
Anche Lucky mette su dei dischi, quando lavora a qualche corpo, ma
preferisce
gli ultimi successi del rock alla musica classica.
E tuttavia Chopin le sembra molto appropriato per quella sala
operatoria e per
quel male oscuro che quei colleghi si stanno affrettando a rimuovere.
Oltrepassa gli altri reparti, leggendo tutte le targhe ed oscillando
sul
fermarsi o no a salutare questo o quel conoscente.
La psichiatria è barricata dietro una porta sigillata, unica
eccezione al
Brothers Bright dove per poter entrare occorre avere un permesso
scritto, anche
se sei un impiegato dello stesso ospedale.
Il tempo che passa fra il momento in cui suona il campanello
sgangherato e
l’attimo in cui il pesante battente si apre sembra essere
infinito.
Il personale di servizio è stanco e stralunato come tutti
gli altri lì dentro,
una sorta di pattumiera dove vengono confinati i lavoratori troppo
usurati,
malati o vecchi per poter continuare a sorridere ai prestigiosi
pazienti del BBH.
Non ci sono finestre che si possano aprire, e la poca aria che passa
nella zona
comunitaria è confinata in una fitta rete di sbarre.
Corridoi lunghi dove si aprono numerose porte, ed una seggiola alla
fine, per
poter tenere d’occhio tutti quanti. Ecco lo scarno quadretto.
E’ il dipartimento dei fantasmi, quello, e certe notti li si
sente piangere ed
urlare nel buio. Altre volte ci sono risa troppo sguaiate.
Quei pazienti si muovono al confine più lontano delle
esistenze, così come
l’uomo che piega la testa sulle braccia nel grande disegno di
tinte fosche che
qualcuno particolarmente ironico ha voluto tracciare sulla parete che
da subito
sulla sinistra.
Una riproduzione di una famosa stampa del pittore spagnolo Goya, non
proprio
riuscita per l’infantilità del tratto con cui
è stata tracciata.
La scritta che campeggia in un angolo, insediata da uccelli e
pipistrelli, è
però la stessa.
El sueno della razòn produce monstruos.
- Immagino che sia qui per il dottor Elsker
Ingiunge un infermiere pesantemente strabico, distogliendola dai suoi
pensieri.
Non ha il tempo di annuire che è già partito.
- Prego, si accomodi, le faccio strada
Lucky si deve mettere a trottare per stargli dietro, da una porta
socchiusa
emergono due donne in pigiama; sono avanti con gli anni ma sembrano
bambine per
come si tengono per mano e portano le trecce sui capelli grigi. Le
sorridono di
un sorriso dolcissimo.
Più avanti c’è un’altra donna
che si dondola incessantemente su un letto
grigio, abbracciandosi tutto il corpo scheletrito.
In una stanza più grande una figura completamente nuda,
raccolta in un ammasso
di lenzuola che la tiene prigioniera, geme.
- Non guardi nelle stanze, se le da fastidio
La avvisano. Ma è troppo tardi. Alcuni dei degenti si sono
già accorti della
sua presenza e si affacciano curiosi dalle loro stanze, alcuni le vanno
dietro
cercando di toccarle il camice o attirarne l’attenzione. Un
uomo con grossi
grumi di saliva sul mento si spinge fino a prenderle un bastoncino del
cinese
dai capelli facendole ricadere un ricciolo sul collo.
L’infermiere si volta, aggrotta le sopracciglia ed il degente
fa subito
ricadere il furtarello dalle mani. Il legno tintinna sul pavimento.
- Prendila! Restituisci quella cosa alla dottoressa
Lucky si china, raccoglie lei stessa la bacchetta e si sfila la gemella
dai
capelli per porgerla all’uomo che le afferra per scappare via.
- No, va bene, può tenerle
- Non dovresti viziarli, dottoressa Florio
Elsker è sulla soglia della sua stanza, ancor più
alto di quanto Lucky ricordi.
Dentro l’ambiente è accogliente, esplode di colori
così dissonanti rispetto ai
grigi ed agli azzurri del corridoio precedente.
C’è una scrivania con due ampie sedie davanti,
tende alle finestre e librerie
stracolme di volumi. Ci sono due poltrone gemelle, una davanti
all’altra nel
destino di guardarsi, ed infine il luogo comune immancabile a quelle
occasioni;
un divanetto coperto da una coperta patchwork.
Sembra completamente un altro luogo con quei quadri alle pareti e le
foto
incorniciate.
Una di esse mostra un ragazzo ed una ragazza separati soltanto da una
colonna
ricoperta d’edera. C’è una dedica sotto,
iscritta in un cuore.
La foto è proprio davanti alla sedia dove si siede in fretta
per evitare il
pensiero di dover occupare una delle poltrone o addirittura il divano.
“Sta sempre attento al lupo. E torna da me.
Lèa”
Il ragazzo è indubbiamente un Elsker più giovane
e senza barba, con gli occhi
non più arrossati ma vividi. Sembra felice.
- E’ sua moglie?
Chiede Lucky.
Il dottore sembra contrariato da quella domanda.
- Lèa è mia sorella
Elsker si siede direttamente sulla scrivania incrociando le braccia
sotto lo
sterno. Alla caviglia sinistra l’orlo del pantalone stirato
con la riga si
solleva sino a rivelare uno scorcio di calzino rosso.
- Dunque?
Mugugna verso la ragazza.
Lucky tira fuori la sua carpetta e la liscia con entrambe le mani sulla
scrivania. Sorride al pensiero di quanto sia stata sciocca
quell’idea di
volergli parlare,e volergli parlare di qualcosa di personale. Ed ancor
più a
ripensare alle parole di Mimi.
Di certo potrà dirgli che la foto che lui si tiene accanto
è semplicemente di
sua sorella, e che c’è ancora speranza.
Guardandolo di sottecchi Lucky si accorge che in qualche modo, se solo
di
levasse di dosso quell’aria afflitta che oggi sembra
avvolgerlo, il dottor
Llewellyn Elsker potrebbe essere un tipo davvero interessante. Ma
adesso è
soltanto un uomo che le torreggia addosso, guardandola
dall’alto verso il
basso. Le porge dei fogli scritti in maniera assolutamente caotica su
fogli a
quadretti, con i buchi per infilarli in un raccoglitore.
- Questa è la mia relazione
Ingiunge porgendogli quel mucchio penoso come se potesse anche
minimamente
essere qualcosa di presentabile alla Prof o ad una autorità.
Eppure Mimi le ha detto che Elsker lavorava alla polizia giudiziaria,
forse ha dato
di matto per davvero.
Ma leggendo anche solo le prime righe è chiara la dovizia di
particolari e la
cura che è stata impiegata per compilare il dossier.
A Lucky si incrociano gli occhi nel guardare le parole così
allineate, eppure
non vuole andare via, riaffrontare i corridoi con tutta quella gente
che sembra
essere stata svuotata, o anche solo infilare una consulenza nella
cartelletta,
senza capirci niente.
Solleva gli occhi sul viso di Elsker, la pettinatura prima composta
ormai
parzialmente sfatta con i ricchi a sfuggire ovunque.
- Può … può spiegarmi?
Elsker annuisce, preme il bottone di un bollitore elettrico nei paraggi
ed
infine scivola a prendere due tazze – tazze vere di
porcellana e non bicchieri
di plastica – da uno stipetto.
Nell’avvicinarsi a Lucky le sorride sottilmente, con gli
angoli delle labbra
che si piegano fino a nascondersi nella folta barba.
- Earl Grey o Darjeerling?
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