Telja, Narrare
I personaggi, i luoghi, e le
creature qui descritte non mi appartengono, ma sono un gentile prestito dell'Edda di Snorri,
eccezion fatta
per Blóta: questo testo é scritto secondo il mio
headcanon, per quanto la Creazione sia già stata
descritta, ho voluto
comunque dare una mia personale rivisitazione delle creature di cui si
parla nell'Edda.
Vi ringrazio e buona
lettura!
Telja
La storia che mi accingo a
narrare non parlerà di Astri o Firmamenti, eroi infanti o
amori rubati, avventure utopiche o
vicende
fantastiche,
poiché non
é questo che oggi mi preme e, a quanto pare, non lo sarà nemmeno domani.
Tutto
cominciò quando le
Stelle ancora non brillavano e i fiumi solcavano i cieli, quando il
Sole cavalcava le terre e la Notte
dei Tempi
era ancora
un lontano
sogno: in principio fu solo Luce e solo Buio, poiché l'uno
era
l'altro e il Tempo non valeva
più
di un
sospiro ghiacciato.
Fu il Sole
Re a
chiedere riposo e venia, e mai i suoi fratelli provarono tanto dolore
come quel giorno: le piaghe e le ferite
ch'egli
portava, dono
della terra e delle montagne che lo sfidavano, non lasciavano via
libera alle menti, ignare ancor oggi
del fatto
che quella
morsa gelata tutt'intorno al cuore fosse il peso delle loro colpe.
Riposo fu
concesso al
Sole, Re
della Luce e del Fuoco, ma egli mai mostrò la rabbia e l'ira
figlie della sofferenza: ancor oggi
quell'odio
é visibile sulla sua pelle, nera come pece e rossa come
fuoco e grande, solo come il dolore secolare sofferto.
Poi fu
delle Stelle il
turno: bolse e dolenti, il peso del Firmamento fu tale da dividerle e
scoraggiarle.
Fuscello
leggero e
verde di propositi, Yggdrasill
il Frassino aiutò gl'Astri e sorresse sulle sue possenti
radici compiti e
colpe e
fiumi e lande
desolate.
Fu utopica
la sua
impresa e prodigioso il suo valore, e per quanto a centinaia furono le
creature che lo lenivano, di queste
solo una ha
l'orrido
merito di essere rimembrata: occhi roventi come braci e freddi come il
suo cuore; zanne affilate come
acqua di
ruscello,
grandi come cime aguzze e tinte dello scarlatto e dell'animo dei suoi
stessi figli - che d'animo ebbero solo
il battito
del loro
cuore - e delle sue limpide intenzioni é offuscata la mente.
Fu ed
é la
guerra vera e
mera, la tipica nenia, la lotta tra giusti infami e crudeli infanti, la
battaglia cui vinti e vincitori sono
a pari
merito valorosi
scialacquatori di mendaci virtù e biechi ideali, e inetti
pianificatori di mire idiote e trappole guastate.
É
una
storia divertente della
quale nessuno ride mai, poiché nessun animo é in
grado di
provare orgoglio di fronte alla verità.
Solo dopo i
primi
dissidi anche il
Tempo fu scandito: l'infame Messaggero non capì mai come
accadde,
né gli occhi dell'Albero
conobbero
mai il
perché: si
seppe solamente che la vita cominciò ad affievolirsi ed una
mistica figura tanto morta quanto viva
si
presentò
al cospetto del Re chiamandolo Regina, ed inchinandosi disse con calda
voce il gelido nome: Hel.
Fu il
mostro di cui
prima narrai la
bellezza che sentì i primi sospiri della Morte sul suo
volto:
dilaniando rabbioso la prole, vide
la
verità e
la decadenza sgorgare dalle labbra rosse di fascino e viola di morte
della Dama senz'animo.
Hel non nacque per
profetizzare, ma si é mai visto figlio illegittimo ignorare
la sua vera natura?
«Non
é il Tempo a distruggerti, vile idiota. É la
cadenza degli eventi ad essere effimera.»
E fu dopo
queste
parole vittoriose che Niðhǫggr
smise di tradire il suo stesso sangue: se non poteva recidere lui
l'ultimo filo
vitale del
vecchio
Fuscello, allora
sarebbero stati i posteri a pagare le colpe del Tempo e a concludere la
pazzia voluta dal male.
La rabbia
regna
sovrana, caso sia che la paura si insinui; e il cuore della Bestia ne
fu colmo a tal punto da renderlo cieco di
fronte alla
luce
più chiara:
mai capì la Fiera che, se le radici fossero state
divorate,
pesi di colpe e di vite e di morti lo
avrebbero
schiacciato,
uccidendolo prima nel capo e poi nel corpo.
Il Tempo
era ancora in
fasce, reo del solo atto di non comprendere l'immenso potere a lui dato.
Rideva il
Bimbo senza
Futuro delle morti inaspettate di quelle piccole e fragili creature che
pullulavano nel Profondo e
che,
risalendo la
corteccia e le Stelle, sentivano le loro membra staccarsi dalle ossa e
le loro carni lacerate dall'aquila
angelica,
guardiana
innominabile
del pigro e acuto falchetto e dell'infame gallo e dei quattro
egoisti e della capra che sfama.
Ma chi
nutrì mai Heiðhrún la capra,
che di latte materno ne diede fin troppo e di lezioni paterne solo
l'ombra?
L'eccesso della sua bontà
cadde sino
alle radici, sfamando sia il Divino Fuscello che l'orrida Fiera
digrignante: il logoro divenne forza,
l'odio
follia, e
ciò che del cuore rimaneva pietra.
Dei Nove
Frutti solo
sette sbocciarono in vita e per questo il Saggio senza volto divenne
invece grato: fu la speranza
delle sue
lacrime a
dare vita e mortalità ai rimasti, la sua gloria a far
schioccare loro le lingue e muovere gli arti.
L'amarezza
prese forma
negl'occhi del Secondo, l'Uomo che mai si era voltato e né
camminava: a lui andavano gli errori e la
vergogna di
gesta e
volontà mortali.
Capitò tuttavia,
libera
fatalità,
che furono quattro le fanciulle che rubarono la giovinezza,
poiché
della bellezza eran già dee: dolci e
innocenti
come poche,
di tutte le meraviglie loro ne erano la perfezione.
La
più
vecchia, Blóta,
saggia e forte, dalla chioma scarlatta come il sacrificio e il sangue,
dorata come il Re Lucente e fiera
della
stessa vita come
della natura, che dal veder lontano trasse virtù e forza.
Ancora
più
bella fu la seconda, Skuld,
forgiata dalla neve e dal buio, timida come i boccioli d'inverno e
desiderosa d'innocenza
e tempo
passato.
Fu erede di
montagne e
oceani Verðandi,
dai castani capelli, dalla chioma d'onde d'oceano, dalle chiare efelidi
sulle guance,
dagl'occhi
di spuma e
dalla pelle figlia della sabbia.
Più
giovane
e dolce, Urð,
dal sorriso radioso, rosea come la Primavera, bionda più del
grano, correre e ridere sono la sua vita,
il futuro
la sua
volontà.
Fu un
battito di
troppo per le piccole tre sorelle.
Un respiro
mancato per
i fratelli.
Delle
quattro fu la
scarlatta a
piangere preghiere e gridare suppliche, giacché della morte
di
una di loro sognò la venuta,
ma a nulla
valsero i
suoi tentativi.
Il Tempo si
innamorò di
loro, mai verità fu più vera, ma la
superiorità li
portò a pensare e a rinunciare.
«E
se
fossero mere mal'intenzioni? Vi invito, miei fratelli, a rammendare che
loro immuni saranno ai nostri poteri.»
Ma il
Saggio
desisté,
«Rimembrate la virtù della maggiore: furono due
quarti di
luna passati, e la notte la torse nel suo
abbraccio.
Di quale Hel
bacerà la fronte?»
«Di
furbizia
si veste la cagna ladra! E copre le sorelle sue con la stessa
avidità della dolce
Skuld! Desistete al pericolo,
alla
tentazione! Mirate
Niðhǫggr:
chi fu mai altrettanto capace di sottomettere al volere i figli suo
sangue?»
Unanimi nel
silenzio,
decisero di mettere alla prova cuore e mente delle fanciulle: finsero
la morte; ad essa avrebbero
potuto
trovare rimedio
solo col sacrificio da parte delle tre.
A Skuld fu posto il
dilemma e la risposta non destò sorpresa: la vita
dell'amante per la sua vecchiaia; per il cuore, avrebbe
donato il
suo futuro.
Indignato,
il Tempo si
avvicinò a lei e la baciò: dal Saggio Skuld
ereditò per forma nove vite passate, e a lei fu donato
l'obbligo
di
strisciare nel
fango delle radici come i figli della Fiera.
Della
più
giovane non si
può certo invidiare la fine: promise il suo passato e la
giovane
bellezza di cui vestiva affinché
l'animo
dell'uomo
amato potesse starle vicino sino alla venuta di Hel l'Immonda.
Di lei non
si fecero
beffe,
poiché della Primavera e dell'innocenza ella era macchiata:
una
dolce carezza confuse la giovane,
e quando
vide nel suo
riflesso la
sé stessa di sei inverni addietro non represse lo sguardo
sdegno
e scagliò una pietra contro
l'amato,
dannandolo
sotto le fauci della stolta Bestia.
Iracondo,
il Tempo la
tramutò in cigno: relegandola lontana dalla sorella, la
sfidò a lasciare quel dirupo di morte e distruzione;
quando le
radici di Yggdrasill
tentarono
di mostrarle invano la via di fuga, poiché d'amore e rimorso
fu dettato il gesto,
l'infame
Fiera non
resistette al
canto dell'opportunità e ad ella vietò la
salvezza: ai
figli fu ordinato di mordere il candido
manto della
nera Urð
qualora
gl'occhi, nascosti nel buio, avessero desiderato le fronde del Frassino
e la fine della sua origine.
Fu
più furba
Verðandi; o
fu forse la verità ad essere data come risposta?
Per l'amato
recise i
capelli e
sfregiò il viso, donò gl'occhi e la vita stessa:
mai il
Tempo provò tanto dolore, né Hel tanto sdegno.
Ma la Dama
non si
dette per vinta: scuoiò i fratelli, si vestì
delle loro membra, appese
ossa e frattaglie alle volte del suo
castello e
tramutò le loro carni in squallidi corvi e fameliche carogne.
Il Tempo fu
restituito
al Divino Albero ma, bisognosa di anime, la Morte fece visita a Blóta: la
più vecchia delle fanciulle
non aveva
perso la
bellezza e il
tono fiero, ma gl'occhi rossi e gonfi e il viso stanco e solcato da
graffi parlarono al suo posto.
Le poche
parole di Hel
furono invitanti
e portatrici d'immensa gioia per la sopravvissuta, che
accettò il patto pagando con
la vita:
come le fu indicato, Blóta
scese Yggdrasill
e si addentrò in luoghi e lande proibite, in steppe e selve
mistiche,
viaggiando
fino alle
radici.
Fu qui che
la spada
recise il cuore, che l'animo di Blóta
l'Assopita si donò al corpo di Verðandi la
Donna, che
Skuld la Vecchia
maledì tutti coloro che di felicità e fortuna ne
ebbero molta; fu qui che Urð
la Giovane pregò
il Frassino
loro padre
e tramutò la sorella dai rossi capelli in pietra, la sue
ossa in legno e la sua bellezza in acqua,
fonte
d'immortalità.
Fu qui, al
pozzo di Urð:
ancora
affamata, la Dama senz'animo diede loro un'ultima punizione: portatrici
del Passato,
del
Presente e del
Futuro.
Su Urð la
Giovane cadde la prima scelta; le altre sorelle capirono, e Verðandi la
Donna la si conobbe solo come il
Presente,
Futuro fu il nome dato a Skuld
la Vecchia.
Ma come
avrete
certamente imparato, le colpe e le disgrazie subite troveranno sempre
la via del ritorno; queste
non furono
da meno.
Persi la
bellezza, il
calore di una famiglia, l'amore e persino la pace, la Donna non seppe
trattenersi e sfidò colma
d'ira e di
follia la
Morte e Ratatoskr,
l'infame Messaggero: da esso nacque il Tempo, ed Hel fu l'artefice di
tanta malignità.
Si
tramutò
in bestia, Verðdandi:
un ragno rosso e visibile solo alle sorelle sue care, che ancora
oggi tesse le sue
mire e i
suoi
propositi verso gli unici che vissero senza colpe: i mortali.
La Donna
tesse le fila
d'ognuno, Urð
le sfilaccia con zampe e becco, e la Vecchia Skuld le taglia con
le sue possenti
fauci:
tuttavia non
tutte le anime vengono gettate tra le vesti della Morte.
Coloro cui
le colpe
manchino o vengano perdonate seguiranno Heiðhrún
ed Eikþyrnir
suo cervo
compare: le
loro corna
apriranno ai giusti le porte del Valhǫll,
e spingeranno negli Inferi di Hel
le creature che
di
meritevole ebbero
poco, se non la condanna.
Ed
é qui
che il mio canto potrebbe finire, se non per il fatto che il Messaggero
corre sempre più veloce, le tre
sorelle Nornir hanno smesso
di tessere e sfilacciare e tagliare, i quattro cervi egoisti balzano
timorosi da un
ramo
all'altro del
Frassino, Hel
grida con ancor più fervore la sua rabbia, Niðhǫggr
vomita le carcasse dei
suoi figli,
e Veðrfǫlnir
il falchetto becca l'infame gallo affinché non canti: se
ciò accadesse, il Ragnarǫk
farebbe
di Niðhǫggr il
Re e di Hel
la Regina.
L'acqua
seccherebbe e
la neve brucierebbe; le donne diverrebbero madri di cadaveri putrefatti
e sfilacciati,
le
infezioni
diverrebbero cancro e le lacrime sangue, i nascituri sopravvissuti
storpi e usurpatori e assassini,
gli
aguzzini vittime,
i guerrieri traditori del loro re.
Yggdrasill si
sfalderebbe pezzo per pezzo, il sangue ormai marcio infetterebbe le
foglie e le creature diverrebbero
folli
ammassi di manto
e ossa.
Mangiandosi
e
mordendosi a vicenda , i cervi e il falchetto e l'aquila e lo
scoiattolo sanerebbero le ferite della Bestia
con le loro
stesse
frattaglie e la loro morte.
Vorrei
poter narrare
di come Niðhǫggr
morì solo e inerme, di come la prole divorò
gl'occhi e la mente della Fiera,
di come Urð si
librò alta sino alle fronde e in che modo Verðandi
rinunciò alla losca vendetta.
Ma non
posso.
Sarà
questo
ciò che narrerò, mentre esalo il mio ultimo
respiro...
Lo sentii.
Lo sentimmo
tutti.
In una mite
giornata
d'autunno, quando ancora ne puoi ammirare le vivaci foglie secche e il
fresco splendore,
una
stridente carogna
mozzò la testa al falchetto.
Maligna Hel rise.
E il gallo
cantò.
Suvvia,
non siate rattristati: io vi
avevo avvisato.
Angolo dell'autrice:
A voi che
siete arrivati fin quaggiù grazie per aver letto!
Telja, se non ho
sbagliato le mie ricerche, significa appunto narrare.
Come ho detto prima é una rivisitazione nata dal mio
headcanon, e spero vi sia piaciuto: e per questa ispirazione devo
ringraziare un mio caro amico, senza il qualche non avrei scritto
nemmeno un "ciao".
Ho letto solo stamattina la creazione dell'Edda. Quindi se vi sono
somiglianze a cui non ho fatto modifica, perdonatemi.
Bé, che dire?
-Per la nascita
del Tempo, ho pensato al mio caro scoiattolino che, per percorrere
l'intero albero, ne farà di miglia all'ora, no?
Così mi
sono detta: e se fosse la velocità la vera madre del tempo?
Dopotutto senza di quella noi non ci muoveremmo, e nessuna sveglia
dovrebbe suonare per sbaglio la domenica.
Così ho immaginato la rivelazione di qualcosa a cui nessuno
sa dare spiegazione,
qualcosa
che capita anche oggi nell'ambito della scienza: i cosidetti grandi Perché?.
-Essendo Hel la
morte, la definisco una figlia del tempo; la frase in cui mi riferisco
a lei come figlia illegittima é un tributo al Loki
shakspeariano di Sir Hiddleston, di Thor.
Chi non ama questo villain?
Il fatto che la Morte non profetizzi non vuol dire, inevece, che non
possa
sapere.
-Ho immaghinato Niðhǫggr un mostro senza cuore, pronto
a tutto per ottenere ciò che brama: quindi mi pare naturale
che uccida i suoi figli.
-Il Bimbo,
l'Uomo e il Saggio sono figure inerenti al Passato, al Presente e al
Futuro: il fatto che s'innamorano di mortali indica
l'umanità e
i sentimenti che dopotutto vi sono anche negli dei e nelle altre
entità divine.
-Blóta
é stato una manna dal cielo, a mio avviso: senza di quella
non
avrei potuto dare una motivazione al nome del Pozzo, Urð
giustappunto, che ha trasformato la sorella più vecchia in
qualcosa di perpetuo. In poche parole, la fine della storia e la sua
pubblicazione é dovuta anche a questa illuminazione.
-Le
figure della
serpe, del cigno e del ragno sono proprio i corrispondenti animali
delle Norne;
così come la colpa/debito di Skuld, che eredita la
vecchiaia;
l'origine cioè la nascita di Yggdrasill che Urð
dovrebbe
dannare proprio per l'esser relegata laggiù; e infine
Verðandi che rappresenta il Presente ed é l'unica a
rimanere
tale, se non per l'orrido aspetto che ha. Da qui il collegamento al suo
nome "ciò che diviene".
Blóta
é colei che vede, ma non ha particolari poteri come quelli
della
moglie di Óðinn (Odino), né possiede il
Seiðr: é
solo una figura-ponte, a cui mi sono appigliata per la creazione del
Pozzo Urð e della sua acqua dai poteri magici.
-Infine, ho dato
una mia personificazione del Ragnarǫk, immaginando cosa potesse
accadere
senza dover rifarmi alle vera venuta della Fine nell'Edda.
Il fatto che
tutti muoiano (perché, muoiono tutti, nessuno escluso) lo
devo
ad una mia amica: quando mi chiese come l'avrei fatta finire e se
l'avrei fatta finire, mi disse scherzando che li avrei uccisi tutti.
E io l'ho abbracciata per aver trovato soluzione al mio dilemma!
Adesso prometto che smetto di parlare, ma prima un'ultima cosa:
ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno letto e spero che vogliate
perdere qualche minuto per dirmi cosa ne pensate.
E ultima cosa: se potete, ditemi se ho fatto o mi
sono sfuggiti errori di grammatica e/o ortografia: ve ne
sarò immensamente grata!
Bacioni,
Harley_s
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