Capitolo II- Cambiamenti
La strada era vuota, e il maggiolone sfrecciava innocuo sotto la nube
di gas della grande metropoli.
Il verde delle praterie di Cornell, così tenero e soave, era
una terribile minaccia agli occhi di Sabine.
Cercò di non pensarci, alla guida della macchina; suo padre
gliel’aveva ceduto, forse per i sensi di colpa per
aver ignorato il compleanno di una figlia per diciassette anni.
La scuola era un edificio rettangolare, alto e ricoperto di mattoni
chiari; il tetto era un piano rosso in obliquo, sopra a schiere
irregolari di finestre disastrate.
Sabine scese dalla macchina coprendosi col cappuccio, rimanendo attenta
a non far cadere la massa informe di libri che reggeva tra le braccia.
Il parcheggio era già pieno di macchine; le lezioni erano
iniziate da due ore, ma lei era autorizzata ad entrare in ritardo,
perché era la nuova arrivata.
Di fianco alla porta principale, una porta di metallo più
piccola recava il cartello “Segreteria”.
Sabine vi entrò cauta, guardandosi attorno.
Le orecchie risuonavano di un sottile sibilo, come un fischio in
lontananza. Scosse la testa, cercando di eliminarlo, ed
entrò dentro.
La segreteria non era certo come se l’era immaginata; era un
quadrato ricoperto di granito, un bancone giallo a dividere la stanza e
svariati avvisi colorati appesi alle pareti.
Una donna dall’aria vissuta, circa una cinquantina
d’anni, batteva un testo sul computer.
-Ehm...Salve!- disse Sabine.
La donna spostò gli occhi su di lei e le sorrise, cordiale.
-Ciao. Serve aiuto?- le domandò.
La ragazza avanzò verso il bancone.
-Sono la nuova ragazza, sono appena arrivata da Stonebury e non so
dove...- non terminò la frase, perché la donna la
interruppe.
-Ah sì! Tieni.- le diede un foglio pieno di numeri e
scritte, e una busta con la divisa scolastica.
-Questa la devi indossare ogni giorno, tranne nelle ore di educazione
fisica. Il professor Hanson te ne darà un’altra
per le sue ore. Invece questa- disse prendendole un altro foglio.
–E’ una mappa della scuola. Ci sono indicate tutte
le aule e il tuo armadietto, dovresti riuscire ad orientarti bene da
sola.-
Le sorrise, e Sabine cercò di risponderle col sorriso
più convincente che poté. Ma le uscì
solo una smorfia.
-Benvenuta alla Cornell High!- le disse la donna, prima di sparire
dietro a un paravento azzurro.
Sabine sospirò, rassegnata. Cosa ci trovava di bello, la
gente, in quell’insulso paese?
La risposta arrivò subito. Quello che lei non avrebbe
più potuto apprezzare.
Il vento, la natura, la libertà di una corsa tra
gli elementi con il mondo nelle orecchie.
Tutti elementi che la riportavano alla sua condanna.
Scosse la testa, cercando di scacciare le lacrime.
A passo svelto, uscì dalla segreteria e percorse le poche
scale che la separavano dall’ingresso della scuola.
Diede un’occhiata all’orario che aveva appena
ricevuto, e notò che la sua prima lezione era quella di
Letteratura Inglese. La sua materia preferita.
Sospirò, un po’ più sollevata. Poi
s’intrufolò nel bagno delle ragazze, per poter
indossare la nuova divisa.
Nel bagno , di fronte alla finestra, tre ragazze bionde molto poco
naturali ridevano e si scambiavano i cellulari per leggere dei messaggi.
Quando Sabine fece il suo ingresso, la più alta delle tre
–una di quelle svampite dei film adolescenziali- si
voltò e la squadrò da capo a piedi.
Alzò un sopracciglio, contrariata.
-E tu, chi saresti?- le chiese, acida, sotto i risolini delle altre due.
Sabine cercò di mantenere un comportamento decente,
sorridendo e porgendole la mano.
-Piacere, io sono Sabine e mi sono appena trasferita...-
La ragazza la fissò come si fissa un malato di mente, le
sopracciglia inarcuate e la bocca contratta in una smorfia di
disapprovazione.
Si avviò verso l’uscita, ignorando la mano della
ragazza e strattonandola, mentre le altre due bionde le riservavano lo
stesso trattamento.
Sabine rimase a bocca aperta. Incredibile. Era solo alla prima ora di
un intero anno, e già sentiva di odiare qualcuno.
Sbuffò, e si chiuse in una delle cabine per cambiarsi.
La divisa era il capo d’abbigliamento più anonimo
che potesse mai essere stato creato: una maglia a collo alto bianca, un
golfino azzurro con la zip, e una gonnellina blu a pieghe.
Sabine sbuffò ancora, mentre indossava il completo.
Quando uscì, i corridoi erano pieni di ragazzi che si
recavano alle lezioni della terza ora.
Lei si recò spedita verso l’aula che portava la
targhetta “Mr. Pretton – Letteratura
Inglese”.
L’aula era quasi piena; il professore stava sistemando dei
libri sulla cattedra, ma quando la ragazza mise piede nella stanza,
alzò subito lo sguardo.
Sabine sorrise, e si presentò a bassa voce.
-Ehm...salve, sono Sabine Marshall...-mormorò.
Il professore le sorrise e le si avvicinò.
-Benvenuta Sabine. Preferisci che ti presenti alla classe?- le
domandò.
Lei scosse subito la testa. –No, grazie.-
-Bene. In tal caso, puoi sederti qui.- disse, indicando uno dei primi
banchi, poggiati alla parete.
La ragazza obbedì senza fare un fiato; per sua fortuna il
banco era ancora vuoto.
Il professore si spostò davanti alla lavagna, una macchia
sovrappeso sul nero della parete;
-Bene ragazzi.- annunciò. –Oggi si parla
di poesia-
-Shakespeare! Senza dubbio il più famoso poeta nella storia
della Letteratura. Anche se più che poeta, stiamo parlando
di drammaturgo...chi non conosce le sue opere? Romeo e Giulietta, Re
Lear, Otello...chi non ha mai recitato la frase
“Essere o non essere, questo è il
dilemma”?-
Il professore declamava il proprio discorso a gran voce,
accompagnandolo con larghi gesti e sguardi appassionati.
La classe era per lo più distratta, alcuni guardavano fuori
dalla finestra, altri si scambiavano bigliettini sottobanco.
Solo Sabine seguiva i gesti del professore con sguardo ammirato,
pendendo dalle sue labbra; aveva seguito miliardi di volte quei
discorsi, nella sua mente, ma ogni volta si emozionava come la prima.
Adorava la poesia. Adorava quell’armonica combinazione di
suoni e sillabe insensate, che combinate insieme rendevano splendido
ogni suono.
Adorava vibrare di piacere mentre recitava i suoi canti preferiti, e
non si vergognava degli sguardi sprezzanti che le giungevano ogni volta
che dichiarava la sua passione.
Semplicemente li ignorava, ignorava i commenti sarcastici mentre
decantava i suoi versi preferiti dei poeti latini, rinchiusa nel suo
piccolo mondo personale, che era così diverso dalla
realtà...la poesia, insieme alla musica, era uno dei pochi
appigli a cui si era potuta aggrappare per una vita; quando le voci si
facevano più insistenti e fastidiose, la sua cura era una
poesia sussurrata a mezza voce, o una canzone intonata tra
sé e sé.
-Signorina Marshall?- disse il professore, picchiettando le dita sul
banco della ragazza.
Lei sussultò, presa alla sprovvista.
–Sì?-
-Qual è il suo poeta preferito?- le chiese, curioso.
Sabine sorrise. –Ehm...William Blake, signore. Ed Emily
Brontë.-
Lo sguardo dell’uomo si accese. –Ah, senza dubbio
due ottimi poeti. Gradirebbe recitarci una poesia?-
La ragazza avvampò. Sorrise, timida, sperando che il
professore si rimangiasse le parole.
Ma lui accennò un sorriso, e la sollecitò:
-Suvvia, qui tutti fremiamo per sentirla recitare una poesia.-
Lei si guardò attorno; non si poteva certo dire una classe
di estimatori della poesia.
Tanto che ho da perdere? Pensò.
Prese un grosso sospiro, e cominciò:
Mese per mese, anno dopo anno,
la mia arpa ha versato un canto triste;
ora una nota vivace la rallegra
e il piacere intona le sue corde.
Che importa se le stelle e il bel chiaro di luna
Si estinguono nel grigio del mattino?
Sono soltanto emblemi della notte,
e questo, anima mia, è il giorno.
Il professore sorrise, entusiasta.
-Splendida poesia. Ottima scelta.- Commentò.
Sabine sorrise imbarazzata, senza badare ai commenti dei nuovi
compagni, dietro di lei.
Qualche fila più in fondo, notò una delle tre
biondine che l’avevano derisa nel bagno.
La campanella suonò, e gran parte degli alunni cominciarono
ad alzarsi e a correre fuori dall’aula.
Il signor Pretton richiamò l’attenzione della
classe alzando il tono di voce: -Per venerdì voglio un
saggio breve sul vostro poeta preferito. E se non ce l’avete,
trovatelo.-
Detto questo, si dileguò fuori dalla porta, mentre Sabine
stava ancora cercando di raccogliere i libri caduti a terra.
-Ehm..scusa?- Una voce dolce e squillante la chiamò da sopra
la sua spalla.
La ragazza alzò lo sguardo, e si trovò davanti
una ragazzina bassa e minuta, un morbido caschetto castano attorno al
viso roseo, e un sorriso brillante stampato sul volto.
-Ciao! Mi chiamo Lily...volevo dirti che ho trovato fantastico il modo
in cui hai recitato la poesia, è bellissimo, sei stata
bravissima!- parlò a raffica, con l’entusiasmo di
una bambina, mentre Sabine avvampava di rossore.
-Beh...grazie, ma non è niente di speciale...-
-Oh, ti sbagli...-
-Sabine.- le disse la ragazza. –Mi chiamo Sabine.-
L’altra sorrise, e riprese a parlare. –Sai, sembri
simpatica. Posso accompagnarti alla prossima lezione? Io ho tedesco, ma
posso accompagnarti alla tua aula...-
Sabine sorrise. –Certo. Io ho Chimica.-
Le due ragazze si avviarono fuori dall’aula, percorrendo il
corridoio pieno di ragazzi e ragazze, in un’unica macchia
bianca e blu.
Sabine si trovò a pensare che Lily era davvero una persona
simpatica, seppur petulante come tante altre, ma era una delle rare
persone che oltre a parlare, sanno ascoltare.
Di fronte all’ aula di chimica, le due si salutarono con la
promessa di rivedersi a pranzo.
La ragazza entrò nell’aula discreta e silenziosa
come nell’ora prima, parlando con il professore a bassa voce
e andando a sedersi al solito primo banco.
Trascorse la lezione a guardare distrattamente la lavagna, prendendo
qualche appunto e continuando a scarabocchiare sui margini del libro.
Due occhi, affilati, un viso minuto ed appuntito, un corpo snello e due
grandi ali affusolate. Quando si rese conto di cosa aveva disegnato,
sobbalzò.
Cancellò la fata con il correttore, cercando di concentrarsi
sulla lezione.
Ma il professore si alzò e a tradimento andò a
spalancare la finestra, un quadrato di vetro che si affacciava proprio
sul punto più verde del cortile.
Sabine impallidì. In una frazione di secondo, le voci
tornarono, intense e beffarde, sovrastando la voce dell’uomo
e riempiendo le orecchie della ragazza, che non vedeva più
nemmeno davanti a sé.
Non rinunciavano, quelle maledette. Erano sempre impegnate a cercare di
corrompere la ragazza, a costringerla nel loro mondo, a convincerla ad
unirsi a loro per non avere più un nemico a piede libero.
Le sussurravano proposte allettanti ed insulti beffardi nelle orecchie,
sibilando le offese più aspre e svolazzandole attorno alla
mente.
Sabine poggiò la testa sul tavolo, ansimante.
Vieni con noi...unisciti a noi...
Scattò in piedi, senza ascoltare le proteste del professore.
Corse fuori dalla classe, in cerca di un luogo buio, completamente
buio. Da qualche mese, aveva scoperto che nei luoghi chiusi e senza
luce, non poteva più sentire le voci.
Il caso le diede una mano, perché davanti ai suoi occhi si
presentò una porta rossa con scritto
“Ripostiglio”.
Si augurò che fosse proprio come lo aveva visto nei film, e
vi entrò senza preoccuparsi di non essere vista.
Si richiuse la porta alle spalle, e si gettò a terra, di
schiena alla parete.
Ansimava e il sudore le aveva impregnato i capelli, come ogni volta.
Il buio l’avvolgeva, paradossalmente una protezione per lei.
Avrebbe mai avuto fine, quest’incubo?
La mensa era già affollata, quando Sabine entrò
nello stanzone.
Il vociare dei ragazzi rimbombava tra le pareti, e la ragazza
provò sollievo nel constatarlo. Per lo meno lì le
voci non si sarebbero fatte sentire.
Si avviò verso il bancone dei dolci, ignorando le altre
vetrine colme di prodotti da fast-food e sporcizie industriali.
Prese una fetta di torta alle fragole, tutta ricoperta di panna e
pezzetti di frutti rossi. Si avviò tranquilla verso il
tavolo dove l’aspettava Lily, ma quando camminò
affianco al tavolo delle tre biondine, una le lanciò uno
sguardo furbo ed allungò la gamba per farla inciampare.
Sabine cercò di attenuare la caduta, ma finì
inevitabilmente addosso a un ragazzo che era in coda per
pagare il pranzo, gettandogli tutta la panna della torta sulla giacca
di pelle nera.
Un boato di risate fragorose esplose, mentre il ragazzo si
girò con aria stizzita.
Sabine non lo vide, troppo impegnata a guardare le tre arpie con astio.
Quando poi si voltò per chiedere scusa alla sua
‘vittima’, si trovò di fronte il ragazzo
più bello che avesse mai visto: pelle chiarissima, alto, le
sopracciglia contratte in un’espressione confusa, una macchia
di capelli neri che coprivano due occhi di una sfumatura cristallina di
verde.
Rimase a bocca aperta, incapace di proferir parola. Quando si rese
conto dell’espressione da ebete che le si era dipinta in
faccia, scosse la testa e balbettò qualche parola spiacente.
–Scusa...io...sono caduta...-
Lui rispose con un gesto noncurante della mano, togliendosi la giacca e
passandosi una mano tra i capelli.
-Capita...- disse, semplicemente. Poi si girò
dall’altra parte, diede i soldi alla commessa del bancone e
si diresse verso l’angolo più remoto della stanza.
Sabine restò ad osservare la scena, stranita. Quando una
mano le toccò la spalla, sussultò.
-Ehi, Sabine, stai bene? Dai, non è successo
niente...- la voce di Lily la ridestò, e lei si
ritrovò ad arrossire fino alla punta dei capelli.
-Sì, sì...andiamo a sederci, per favore...-
rispose, andando verso il tavolo che prima occupava l’amica.
Mentre mangiavano la porzione di patatine di Lily, Sabine scorse le
occhiate beffarde dal tavolo delle sue nuove
‘amiche’.
-Chi sono quelle?- domandò alla compagna.
Lei rispose con una smorfia. –Courtney Catchmore, Carrie
Becks e Deede Michigan. Insieme al loro club di biondine assatanate.
Sono la crème de la crème della
società di Cornell.- disse, ironica.
Sabine annuì ed abbassò la testa. Poi le venne
un’altra domanda.
-E il ragazzo su cui sono caduta?-
Lily rise. –Il ragazzo su cui hai rovesciato una torta.-
precisò. –E’ Daniel Morgance. Il
più bello della scuola, ed il più solo. Mi
stupisco che ti abbia rivolto la parola.-
Lo sguardo di Sabine corse verso il tavolo a cui era seduto Daniel
Morgance.
Con una mano reggeva un libro, con l’altra agitava la
forchetta giocherellando con un hamburger. Aveva un che di
mistico, un qualcosa che lo rendeva diverso da tutti gli altri ragazzi
nella scuola.
Quanto meno, un ragazzo così bello sarebbe dovuto essere il
più popolare, circondato da cheer-leaders e macchine di
lusso.
Invece se ne stava in disparte, non cercava la compagnia
d’altri e ne tantomeno qualcuno gliela offriva.
-Sabine?- una mano si agitava di fronte ai suoi occhi. La ragazza si
ridestò all’istante, e si voltò verso
Lily.
-Come, il primo giorno di scuola e sei già stata folgorata?-
la prese in giro, lei avvampò e abbassò lo
sguardo sul tavolo.
La campanella suonò dopo qualche minuto.
-Bè io ho educazione fisica ora...sai la strada per la tua
aula? Devo accompagnarti?- le chiese cortesemente Lily.
-No, no, grazie...ho un’ora di buco, penso che
farò un giro per la scuola...- rispose sorridendo.
L’amica annuì e scomparve tra la folla. Sabine
rimase seduta finché non fu l’ultima nella mensa,
poi si avviò di malavoglia verso l’uscita.
Aspettò che le vie si svuotassero, e prese a girovagare per
i corridoi; scorreva le aule senza soffermarcisi tanto...Chimica,
Fisica, Biologia, Informatica, Palestra...Teatro.
Si arrestò di fronte ad una porta ricoperta di velluto
rosso, dove era appeso un avviso su un foglio bianco:
Il corso di canto del professor Dexter riprenderà
venerdì 24 marzo nell’Aula teatrale della scuola,
alle 14.30.
Sabine si fece un rapido calcolo mentale. Era venerdì. Ed
era il 24. Ma erano già le quindici.
Sbuffò, delusa. Fece per andarsene, ma si trattenne...non
poteva certo lasciarsi sfuggire quell’occasione, e aveva
ancora la scusante della nuova alunna...
Sospirò, e socchiuse la porta quel tanto che bastava per
vedere ciò che succedeva dentro. Sul palco, vari strumenti
musicali venivano strimpellati da ragazzi e ragazze di diversa
età, mentre alcune ragazze sedute in platea, ripetevano a
bassa voce il testo di una canzone.
Quando la porta si aprì, un professore si girò
verso l’entrata a guardare Sabine.
-Desidera?- le chiese in tono formale.
-Ehm...mi scusi, ho letto l’avviso sulla porta...spero di
essere ancora in tempo per il corso...-
Il sorriso dell’uomo si spalancò. Si
avvicinò, alto e magrolino, coi segni di un tempo non troppo
clemente portati orgogliosamente sul volto.
-Ma certo, venga, venga! E’ nuova della scuola?-
-Già...mi chiamo Sabine Marshall-
-Oh! La figlia di David?- le chiese lui, curioso.
-Sì, è mio padre...-
-Oh, ho sentito molto parlare di te. David è un caro amico
di famiglia...ma vieni, lascia che ti presenti al gruppo.-
La trascinò ai piedi del palco, rossa dalla testa ai piedi,
mentre tutti la scrutavano con diffidenza.
-Ragazzi, questa è Sabine.- decretò. Il pubblico
non si scaldò pi ù di tanto, rimase a guardare
impassibile e riprese a suonare i propri strumenti, o a ripassare la
parte.
-Stiamo organizzando un musical...sei arrivata proprio al punto giusto,
stavamo per allestire le audizioni dei vari personaggi. Hai lezione
nelle prossime ore?-
Sabine scosse la testa, felice. Finalmente le si presentava la sua
occasione.
-Perfetto. Ti farò cantare una canzone, dopo, e vedremo che
personaggio potremmo affidarti.-
La ragazza sorrise, entusiasta, e si gettò su una delle
poltroncine della platea.
Su una sedia non poco lontana da lei, v’era un Block notes
tutto scarabocchiato e pieno di appunti.
Si guardò attorno, circospetta, e sbirciò le
scritte. Erano molto disordinate, perciò riuscì a
comprendere molto poco.
Quello che capì, però, la elettrizzò.
Le parole <>,
<>, <> spiccavano tra le altre.
Sabine si sentì morire di gioia. Il musical riguardava uno
dei suoi miti preferiti, quello di Eco e Narciso, forse uno dei
più tristi e dolorosi che avesse mai letto.
-Bene. Possiamo partire con le audizioni.- la voce tonante del
professore risuonò nella sala.
Le ragazze nella platea scattarono in piedi.
Una avanzò fino a salire sul palco, consegnò un
foglio ad un ragazzo al pianoforte e cominciò a cantare.
Aveva una voce forte e bellissima, e lei non era da meno. Una cascata
di riccioli castani ed un abbigliamento da far invidia alle migliori
modelle.
In più era molto sicura di sé. Passeggiava sul
palco come se fosse nata lì, agitando le mani per
enfatizzare i suoni.
Tutti i presenti la guardavano ammirati, tranne uno. Il professore la
scrutava con diffidenza, quasi volesse negare le sue
capacità.
La ragazza finì la sua esibizione con un acuto, e
lasciò tutti a bocca aperta.
-Bene, Trisha, ti faremo sapere.- fu il laconico commento del
professore.
Le altre ragazze si divisero il palco, chi tra atroci stecche ed altre
con voci d’usignolo.
Poi il sig. Dexter si voltò verso Sabine e le sorrise.
-Bene, Sabine. Vuoi provare?-
Lei si guardò attorno, spaesata. Non aveva capito che doveva
fare il provino quel giorno.
-Ehm...bè, non ho una canzone...-
-Non preoccuparti. Conosci “Sittin’ on the dock of
the bay”?-
Annuì. Il padre gliel’aveva fatta ascoltare fino
alla nausea.
Salì sul palco, mentre la ragazza si spostava dallo sgabello
del pianoforte a una sedia imbottita, prendendo la chitarra.
Sabine sospirò e cominciò a cantare.
Cantò, ma non per quel pubblico ristretto che doveva
stabilire se era brava o no.
Cantò per sé stessa, per scacciare via le paure,
per dimenticare anche un solo minuto quella condanna che le gravava
sulla testa come una spada di Damocle.
Cantò per sentirsi libera.
E mentre cantava la scuola scomparve, insieme alle paure e alle
ansietà, lasciando il posto a oceani sconfinati e mondi dove
sarebbe stata finalmente ciò che voleva.
La chitarra suonò le ultime note. Sabine tornò
alla vita reale, sospirando.
Attorno al professore, una decina di studenti era radunata per
decretare il vincitore di quella sorta di gara.
-Bene.- annunciò infine l’insegnante.
–Penso proprio che abbiamo la nostra Eco.-
|