Come
Quando Fuori Piove
Piove.
Lavi e Tyki si incontrano sulle scale
dell’albergo dove soggiornano e, impossibilitati a fare ritorno alle
proprie stanze – a causa dei loro compagni di camera –, decidono di
passare il tempo facendo una partita a carte.
Fanfiction partecipante alla Challenge
"Snack
Dolci" indetta dalla community Dieci&Lode
Fanfiction pubblicata per il "Lucky
Week 2013"
Fanfiction classificata 1° al contest "What a wonderful - SLASH - world!" indetto da My_Pride sul forum di EFP
[Yaoi - Tyki x Lavi, Link x Allen]
-Titolo della storia: Come
Quando Fuori Piove
-Autore: XShade-Shinra
-Fandom: D.Gray-man
-Pacchetto: Picche
• Numero della carta scelta:
Regina di Picche
• Oggetti di uso quotidiano:
Specchio
• Citazione: “Nella vita, come
nel gioco delle carte, è un grande vantaggio quello di essere i primi a
giocare, perché a carte uguali si vince.” [Baltasar Gracián]
-Prompt Dieci&Lode (tabella
Snack Dolci): #08 - Marmellata
-Rating: Arancione
-Genere: Commedia
-Tipologia: One Shot (6150
parole circa)
-Avvertimenti: Yaoi, WI/MM
-Disclaimer: Tutti i personaggi
di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono
esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati. Inoltre
questi personaggi non mi appartengono (purtroppo…), ma sono proprietà
dei relativi autori; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo
di lucro ma solo per puro divertimento.
-Note dell'autore: Il titolo è
un modo per ricordarsi i valori dei semi nelle scale giocando a poker:
Cuori, Quadri, Fiori, Picche.
Nella storia, però, non si giocherà a poker. Ho voluto utilizzare
questo titolo perché la FF è ambientata in un giorno di pioggia; quei
tipici giorni in cui fa piacere starsene in casa, a bere cioccolata
davanti al fuoco e, appunto, a giocare a carte.
Timeline: tra post-arca e saga
di Alma.
Come Quando
Fuori Piove
«Piove…», sussurrò Allen, poggiando la mano sinistra sulla
finestra gelida che mostrava una Monaco di Baviera dal cielo plumbeo e
piangente. Sembrava totalmente assorto nella contemplazione del triste
e cupo panorama, del quale era spettatore da quella camera tripla
d’albergo.
Link lo guardò con la coda dell’occhio, interrompendo per un attimo la
propria lettura serale.
«È abbastanza naturale in questa stagione, Walker», gli disse il
Sorvegliante, tornando poi a leggere.
«Mi ricorda la mia Londra…», sospirò Allen, aggiungendo un timido: «Mi
ricorda Mana». Aveva già avuto modo di parlare del patrigno davanti
alle ingorde orecchie di Link, sperimentando che si trattava di uno dei
migliori modi per sfogarsi dal patema d’animo che portava dentro.
«Se vuoi, possiamo uscire a fare una passeggiata. Ho un ombrello
abbastanza grande per due, Walker», gli propose inaspettatamente il
tedesco.
Allen rivolse i propri occhi color argento alla seria figura del
Sorvegliante, meravigliato.
«No, Link. Grazie lo stesso».
L’Esorcista maledetto sorrise, per poi tornare a guardare fuori dalla
finestra, immerso nei propri pensieri.
Pioveva anche quando Mana era stato investito da quella carrozza ed era
morto davanti agli occhi del ragazzo, che quasi avevano pianto sangue a
causa dell’atroce sofferenza. Non ricordava di aver mai più sofferto
così tanto, nemmeno quando non era riuscito a salvare Suman.
Allen sospirò appena, appannando per un attimo una zona del vetro.
Doveva pensare ad altro: non poteva permettere ai ricordi di prendere
il sopravvento.
Non dopo una missione che si era rivelata un assoluto flop e per la
quale Komui aveva mobilitato Lavi, Bookman, due Finder e lo stesso
Allen, accompagnato dall’Ispettore e dal Golem dorato del
Quattordicesimo.
«Link?», Allen chiamò il Corvo, stringendosi nelle spalle. «In queste
giornate si sta bene dentro casa, al calduccio… magari sotto le coperte
a bere cioccolata», sorrise con aria sognante.
Le guance dell’Ispettore si tinsero di un leggero rosa a quella frase
che trasudava dolcezza.
«Sono desolato, Walker… ma al momento ho solo un vasetto superstite di
marmellata», disse, chiudendo il libro. Aveva capito che non sarebbe
riuscito a finire il capitolo.
«Allora perché non mangiamo quello, mentre facciamo qualcosa?», gli
propose l’Esorcista, girandosi verso di lui.
Link rimase incollato alla sedia, guardando Allen come un prete davanti
al Diavolo. Conosceva bene l’inglese, e sapeva che c’era qualcosa
nell’aria.
«Tipo?», domandò, sulla difensiva.
«Potremmo giocare a poker… magari a strip
poker…», sussurrò complice.
«Walker!», quasi urlò il biondo. «Ti sembrano cose da proporre?!».
«L’altra volta ti è piaciuto…», gli ricordò.
«L’altra volta, Walker, hai barato!», berciò l’altro.
«Sì, così ho potuto vederti nudo, e poi...», sorrise Allen, perdendosi
in ricordi decisamente più dolci e piccanti dei precedenti. Come
cioccolato al peperoncino.
Link arrossì a dismisura, ricordando la partita di qualche giorno
prima, quando le loro mani si erano sfiorate, la bocca di Allen era
scesa in mezzo alle sue gambe e quella di Link aveva prorotto in versi
osceni.
«Hai barato!», continuò a sostenere il tedesco, additandolo.
Allen sorrise. Una smorfia quasi paurosa agli occhi di Link.
«Allora, stavolta, decidi tu», lo invitò.
Link non ebbe nemmeno bisogno di pensarci:
«Una partita a scacchi, Walker!», decise con impeto, alzandosi in
piedi.
«Ma io non so giocare a scacchi…», uggiolò l’albino, avvicinandosi
all’altro. «Link… E se mangiassimo solo un po’ di marmellata, sotto le
coperte?», lo provocò, iniziando a sbottonarsi la camicia e lasciando
che gli occhi chiari dell’Ispettore vagassero sul suo petto candido.
Dopo la loro partita a carte aveva capito di avere un discreto
ascendente sul Sorvegliante.
«Perché proprio sotto le coperte, Walker?», gli chiese lui, che cercava
di non fantasticare troppo, anche se parte della sua mente era già
partita per un viaggio piuttosto erotico.
Gli piaceva Allen, era innegabile, e, dopo ciò che avevano fatto,
avrebbe voluto riposare le labbra sulle sue, per poi affogare in lui,
mentre le loro mani scorrevano sul corpo l’uno dell’altro.
«Perché fa freddo senza vestiti, altrimenti», gli rispose leggermente
malizioso, e non gli diede il tempo di replicare, ché allacciò le
braccia al suo collo e lo baciò con foga.
Le loro lingue, dapprima incerte, si accarezzarono con passione in
crescendo, fino a danzare, battagliare. Gli occhi chiusi, le braccia a
cingere l’altro.
«Link…», sussurrò Allen, una volta terminato il bacio. «Facciamo
l’amore…». Non era una domanda, ma una gentile richiesta, mentre il
volto dell’Esorcista diventava purpureo.
«Ma… Bookman Junior?», chiese Link, preoccupato.
Lavi divideva la camera con loro ed era uscito, dicendo di non
preoccuparsi se avesse tardato.
«Sarà andato con Bookman in biblioteca o all’archivio diocesano… Non
tornerà prima di notte fonda… Link…», Allen lo pregò con gli occhi.
Desiderava da troppo tempo quell’unione, per poter tornare indietro.
«Walker…», rispose l’altro, perdendosi nelle sue pozze argentate,
grandi e pure, esitando appena.
«Ho chiuso la porta a chiave dopo che è uscito… Link, perché mi scacci
con queste scuse?», gli chiese, sentendosi ferito dal suo vacillare, ma
nessuna risposta giunse alle sue orecchie, perché le labbra del ragazzo
dai capelli biondi andarono nuovamente a adagiarsi sulle sue, mentre lo
conduceva gentilmente a letto.
Anche Link si era innamorato di lui, però non lo avrebbe mai ammesso
finché il Sovrintendente Lvellie non lo avesse assolto dal suo compito
di Sorvegliante, e aveva sperato fino all’ultimo che quella notte
potesse veramente essere scaldata dal fuoco che ardeva in loro.
Allen sorrise, spogliando il Corvo e rotolando con lui nel letto di
Lavi, quello davanti alla porta, arrivando all’estasi grazie alle
amorevoli attenzioni di Link, con il quale consumò più e più volte,
insaziabile.
*
«Yahun… che stanchezza…». Lavi si stiracchiò, mentre saliva le scale,
diretto alla propria camera. Erano ormai le due di notte, e aveva molto
sonno a causa della caterva di documenti che aveva dovuto memorizzare
insieme al vecchio panda. «Ora mi butto a letto… Per fortuna che mi
sono fatto la doccia prima di uscire…», borbottò tra uno sbadiglio e
l’altro.
Posò la mano sulla maniglia della porta e l’abbassò, ma non riuscì ad
aprire l’uscio. A quell’insolito fatto, Lavi mise in allerta i suoi
sensi di Bookman. Sentiva che dalla stanza provenivano degli strani
rumori…
“Akuma?!”, pensò lui, prendendo il suo fidato Oodzuchi Kodzuchi1
dalla fascia alla coscia dove lo portava.
Per una volta, però, la proverbiale sfortuna di Allen venne meno,
perché il Bookman, prima di buttare giù la porta con un colpo di
martello, volle dare un’occhiata dal buco della serratura per
constatare l’entità del pericolo.
Sentiva distintamente Link e Allen lamentarsi in maniera soffocata, ma
avvertiva come la sensazione che gli stesse sfuggendo qualcosa; e ciò
era insopportabile, dal suo punto di vista.
Così si abbassò e sbirciò dalla toppa, rimanendoci di… sale.
Vide Allen e Link, sporchi di marmellata, che ansimavano e gemevano di
piacere, mentre l’albino si muoveva con movimenti sinuosi sopra il
bacino dell’altro, facendo cigolare le molle del letto. La faccia
dell’Investigatore era devastata dalla goduria, mentre Allen, che dava
le spalle a Lavi, sembrava scosso da mille brividi ogni volta che
accoglieva in sé il membro del compagno.
Il Bookman raddrizzò la schiena, rimanendo lì in piedi come un baccalà,
dando un senso a tutti quei rumori e a quelle mezze parole sussurrate o
uggiolate.
Tra cui un “Ohw, Howard… I love you!”,
pronunciato dall’albino, che gli
fece gelare il sangue nelle vene.
“Non ci credo… Allen è così carino, simpatico, gentile… e ama un tipo
come Due Nei?!”, si chiese, fortemente traumatizzato. “Non c’è logica!
Allen potrebbe avere bei tipi ai suoi piedi e si spreca con lui?! E poi
perché ha scelto proprio Due Nei?! Io non sono forse molto più bello e
solare?!”.
Lavi non capiva come l’amico potesse aver fatto una scelta tanto
ardita… senza nemmeno chiedergli consiglio, per giunta! Eppure sapeva
benissimo quanto Lavi odiasse essere all’oscuro di qualcosa, per
deformazione professionale. Era un ficcanaso nato, più chiacchierone di
una vecchia comare.
“Domani avrà da spiegarmi parecchie cose… E non posso nemmeno entrare
in camera, ora…”. Lavi sbuffò, rendendosi conto della propria
situazione.
Mise a posto il martellino e fece a ritroso le scale, scendendo ai
piani bassi.
Sarebbe rimasto a riposare un po’ nella hall e sarebbe tornato verso
l’alba, sperando che i due avessero finito, ma non sapeva che i suoi
piani avrebbero subito un piacevole cambiamento, a causa di un incontro
del tutto inaspettato.
Infatti, arrivato al primo piano, Lavi fece per scendere l’ultima rampa
di scale che lo separava dalla hall, quando una persona gli finì
addosso, mandandolo a terra.
«Ehi!», Lavi sbottò infastidito, pestando le sue regali terga sul
parquet dell’hotel, mentre l’uomo correva a rotta di collo giù per le
scale.
«Onorevole Noah, la prego, non se la prenda con me! Ho cercato di
avvisarla!», urlò, prima di sparire dalla vista del Bookman.
“Onorevole Noah?”, si chiese Lavi, trasalendo.
Con un colpo di reni si alzò di scatto, capendo che quella furia non
era altro che un Broken – perché se si fosse trattato di un Akuma,
Allen lo avrebbe intercettato grazie al suo occhio sinistro e sarebbe
intervenuto.
Fece quindi per correre nella direzione del Broken, quando gli venne un
dubbio, mentre sentiva dei passi veloci scendere le scale.
“Un momento! Se stava parlando con un Noah, allora il mio vero nemico
starà arrivando!”, intuì l’Esorcista, girandosi per affrontare il
rivale.
Prese la propria Innocence e la ingigantì con un comando appena
bisbigliato, poi la afferrò saldamente in mano, pronto a dare il
benvenuto al Noah che probabilmente stava scendendo le scale.
Aveva già in mente una plausibile scusa se quella persona non fosse
stata un membro della famiglia Noah, ma le intuizioni di Lavi si
rivelarono giuste, perché colui che arrivò sul pianerottolo fu
esattamente uno di loro: il Piacere, Sir Tyki Mikk. Lavi capì che il
Conte doveva essere riuscito a salvarlo dopo che Allen, nell’Arca,
aveva tentato di esorcizzarlo.
«Maledetto Broken da quattro soldi! Avresti dovuto essere più
convincente prima!», ruggì il portoghese, credendo che Lavi fosse
l’uomo che gli era sfuggito.
«Più convincente per cosa, signor Neo?», domandò Lavi con un sorriso
divertito, facendo vibrare il proprio martello a pochi centimetri dal
bel viso del nemico.
Tyki fece un passo indietro, guardando il rosso a occhi sgranati.
«Guercino?», lo chiamò stupito. «Cosa ci fai qui?».
Lavi notò immediatamente che il Noah era piuttosto stupito di vederlo,
ma soprattutto scorse chiaramente l’espressione di puro schifo nei suoi
occhi e nel labbro superiore stirato in maniera innaturale.
«Tsk, secondo te?», chiese Lavi con aria di sfida.
Tyki ignorò quella domanda retorica, chiedendogli, invece, se avesse
visto un uomo correre per le scale.
Il Bookman sbuffò e indicò semplicemente la gradinata con un movimento
del martello. Il Noah seguì la direzione con lo sguardo, e vide dal
portone principale – ancora spalancato – che la pioggia non aveva
accennato a smettere.
«Dovrà tornare, prima o poi…», borbottò, prendendo una sigaretta e
l’accendino dalla tasca della giacca elegante che indossava.
Lavi sollevò un fine sopracciglio, dubbioso.
«Non noti che ti sto puntando un’arma contro?», gli chiese, sentendo
puzza di trappola.
«Non penso che tu voglia ridurre in polvere e calcinacci questo
albergo, quindi posso anche fregarmene», rispose il portoghese,
accendendosi la sua amata paglia. In quel momento aveva decisamente
bisogno di rilassarsi, e non di combattere contro un Esorcista.
Lavi continuò a guardarlo attentamente.
Non si fidava di quell’uomo, ma notava che Tyki sembrava essere con la
testa tra le nuvole e che ogni tanto faceva una smorfia disgustata.
Dopo pochi secondi, il moro degnò Lavi della giusta attenzione e gli
chiese:
«Che ne dici di farmi un po’ di compagnia, Guercino? Tanto in camera
non ci posso tornare…».
«Sono nella tua stessa condizione… Non posso andare in stanza e non
posso chiedere asilo al vecchio panda o smaschererei un “amico”»,
rispose Lavi, facendo una faccia buffa nel dire l’ultima parola.
«Oh, potrei dire la stessa cosa… solo che si tratta di mio fratello…»,
borbottò il Noah.
«Perché? Che problema c’è?», domandò Lavi, curioso come una scimmia.
Tyki non riuscì a stare zitto: doveva sfogarsi con qualcuno o sarebbe
scoppiato.
«Road, la mia amata nipotina, si sta facendo mio fratello, ovvero suo
patrigno, e Trisha – la moglie di Cheryl – non è al corrente della loro
relazione… Ergo, non posso andare da lei a dormire o mi chiederebbe
spiegazioni, e non posso nemmeno andare in camera, perché
l’incesto2 non fa proprio per me: c’è un limite alla
depravazione,
anche se non si hanno legami di sangue con una persona», rispose Tyki,
con faccia schifata nel ricordare i continui tentativi di Cheryl di
baciarlo quando lo vedeva.
Anche Lavi fece una faccia altamente sdegnata e ne approfittò per
raccontare la propria disavventura:
«Io, invece, sono tornato da poco con il vecchio dalla biblioteca e
quando sono arrivato in camera ho scoperto che Allen e il caro Due Nei
mi hanno chiuso fuori e ci stanno tutt’ora dando dentro, nel vero senso
della parola», disse, vedendo l’espressione di Tyki mutare.
«Come?! Il mio ragazzino… con uno? Chi è questo qui3?»,
domandò Tyki,
sconvolto. A lui piaceva Allen, l’aveva ammesso davanti a tutti senza
pudore.
«Un pastore tedesco stitico», spiegò Lavi, telegrafico.
Tyki scosse il capo, capendo che se Allen aveva scelto uno così, allora
lui non aveva più nessuna speranza di riuscire ad averlo per sé.
Lavi sospirò, dandogli una pacca sulla spalla.
«Anche io ci sono rimasto male, cosa credi?», chiese, per poi
aggiungere: «E comunque è Cheryl che si sta facendo Road, al massimo…».
Tyki si depresse ancora di più.
«No, è proprio lei che si sta facendo lui. Mai sentito parlare di
pegging4? Sei stato fortunato ad aver trovato la porta
chiusa: io,
invece, sono entrato in camera e li ho visti in tutto il loro
“splendore”…», borbottò il Piacere. Sicuramente il Broken aveva cercato
di trattenerlo fuori e non ci era riuscito, ecco il perché della sua
furia contro quell’uomo.
E fu in quel momento di comprensione reciproca che i due misero da
parte le armi e i rancori.
Tyki era uno tra i Noah più forti, e Lavi era stanco e solo. Non
avrebbe potuto sostenere un combattimento contro di lui, e
probabilmente solo il vecchio panda e i due Finder sarebbero giunti in
suo soccorso, poiché Link e Allen sarebbero stati troppo impegnati tra
di loro per accorgersene.
Inoltre, Tyki non era minimamente obbligato a ucciderlo, poiché non era
lì in veste di Noah, ma in quella di Sir Tyki Mikk, venuto a Monaco di
Baviera con la famiglia del fratello, per accompagnare quest’ultimo a
un ballo – conclusosi poco prima.
«Vieni…», gli disse Lavi. «Andiamo a giocare un po’ a carte nella hall…
Ci rilasseremo».
Tyki annuì e scese le scale con il Bookman, sospirando.
Sì, forse giocare a carte lo avrebbe distratto e avrebbe così smesso di
pensare a quella scena da incubo di cui era stato testimone.
*
«Piove ancora…», soffiò Lavi, seduto su un comodo divano in pelle,
guardando la pioggia che cadeva dal cielo come se gli angeli la
stessero buttando a secchiate. Aveva il naso per aria e i piedi
poggiati su un basso tavolino d’ebano. Aveva ormai ritirato il proprio
martello, capendo che Tyki, quella sera, non avrebbe rappresentato un
pericolo.
«Penso che non smetterà fino a domattina», disse il portoghese, che,
seduto su un divano in tinta con la poltrona, mischiava un mazzo di
carte francesi.
Il receptionist aveva lasciato loro le carte da gioco e li aveva
invitati ad accomodarsi appunto nella sala d’aspetto attigua alla
reception. Era ormai notte fonda, e, da come si stavano mettendo le
cose, i due erano certi che avrebbero passato la notte in bianco,
lontani da un bel letto comodo.
«A cosa vuoi giocare?», domandò Tyki a Lavi, il quale increspò le
labbra in un sorriso complice e furbetto.
«Non mi freghi, Marcantonio», rise. «Niente poker: so bene che sei
secondo solo ad Allen in quello, grazie alle tue strategie da baro».
«E allora cosa mi proponi?», sorrise lui. «A seconda del gioco devo
togliere o aggiungere carte».
Il Bookman rimase un po’ a pensarci, poi sorrise:
«Che ne dici di Scala 40?».
«Troppo complesso a quest’ora…».
«Pinnacolo?».
«Idem con patate…».
«Tarocchi?».
«Servono i tarocchi, non le carte francesi».
«Uff…», sbuffò il rosso, iniziando a dire tutti i giochi di carte che
gli venivano in mente: «Bridge, asino, sette e mezzo, primiera, ramino,
diavoletto, canasta, briscola, rubamazzetto…».
«Perché non scopiamo, invece?», gli propose Tyki, interrompendolo dopo
aver sentito “rubamazzetto”.
«Eh?!», esclamò Lavi, alzandosi di scatto dalla poltrona, con il
rischio di ricadere a terra.
«Sì,» annuì il Noah, «perché non farci una bella partita a scopa?»,
chiese retorico, sorridendo in maniera lussuriosa.
Lavi sollevò l’indice, pronto a controbattere, ma capì che, vista la
sua reazione, era caduto nel trabocchetto postogli dal Piacere per
metterlo in imbarazzo, e preferì dunque risedersi a braccia incrociate
sulla poltrona e fare silenzio.
Tyki sorrise ancora e scorse il mazzo per togliere le carte extra che
non servivano ai fini del gioco.
«Lo predo per un sì», disse al Bookman, mettendo da parte le carte
dall’otto al dieci e i due jolly. «È un vero peccato essere solo in
due… ci si diverte di più a giocare a scopa quando si è in quattro…».
Lavi ignorò il doppio senso della frase, che sembrava un “mi piacciono
le orge, non sei d’accordo?”, e gli chiese esattamente a quale delle
tante varianti di scopa volesse giocare.
«Scopa classica. Sai, sono uno che ama provare tutto, ma alla fine
rimane sempre vecchio stile…», Tyki ammiccò, continuando a spiegare,
mentre mescolava le quaranta carte che avrebbero formato il loro mazzo.
«Tre carte a ciascuno, quattro carte scoperte sul tavolo. Facciamo a
turno il mazziere e l’altro taglia. Vince chi arriva per primo a undici
punti. E a ogni partita i punti saranno: uno per chi colleziona più
carte, uno per chi ha il settebello , uno per chi fa danari, uno per la
primiera e, ovviamente, uno per ogni mia azione preferita: la scopa».
«Sei forse la Befana, signor
Neo?», ironizzò Lavi, guardandolo serio.
Tyki ci rimase male a quella battuta, e gli tirò un cuscino sulla
faccia, dandogli del mentecatto.
Senza indugiare oltre, i due iniziarono a giocare.
Lavi fece il mazziere e quindi il portoghese fu il primo a giocare le
proprie carte per collezionare quelle che c’erano sul tavolo.
Dopo che Tyki posò il tre di danari, Lavi scelse il fante di picche
dalla propria mano, ben deciso a prendere il cinque di cuori e la carta
appena giocata dal Piacere, ma, prima che potesse prenderli, Tyki si
intromise.
«Ti va se facciamo una scommessa, Coniglietto?», gli domandò,
sorridendo.
Lavi quasi arricciò il naso a quell’appellativo, più per il
voltastomaco che per altro, e lo guardò in tralice.
«Questo ♪ non è ♬ un gioco ♩ d’azzardo ♪», gli ricordò cantilenante.
«Lo so, infatti non c’è quel pizzico di pepe che mi attizza ogni
volta», spiegò l’altro, nascondendo il sorriso con quel poco folto
ventaglio di due sole carte che aveva in mano.
Junior lo guardò diffidente.
«Che cosa vuoi scommettere?», domandò.
Il portoghese si accese una sigaretta in modo lento e cerimonioso,
soffiando via il fumo bianco e creando dei pregiati arabeschi
nell’aria.
«Teniamo a mente le scope che facciamo… Chi vince, dopo aver raggiunto
gli undici punti, potrà rivendicarle».
«Rivendicarle? In che senso?», domandò Lavi, sperando di aver capito
male.
«Oh, indovina…». Il sorriso di Tyki fece capire all’Esorcista di aver
capito bene fin dall’inizio i suoi vaneggiamenti.
«Ma non ti vergogni? Sono un tuo nemico!», sbottò Lavi.
«Minimamente», rispose Tyki, fumando rilassato. «Forse sei tu che ti
vergogni?».
«Non hai pensato al fatto che magari mi piacciano solo le donne?»,
chiese Lavi di rimando, ignorando la sua domanda.
«No…», ridacchiò Tyki. «Altrimenti non saresti stato tanto sconvolto
per Allen, giusto?».
Lavi strinse la mano libera a pugno. Non c’era proprio verso; quando si
trattava di Allen palesava apertamente i propri sentimenti, non
riuscendo a trattenerli nella maschera da Bookman.
«E quindi? Allen è un amico, mi dà solo fastidio che abbia scelto Due
Nei!».
«Perché avresti voluto che scegliesse te…», capì Tyki.
«No, con me non sarebbe mai stato felice…».
«Oh, ma per una bottarella e via sì…».
«Lui non è quel tipo di persona», si infiammo Lavi. «Lui non va con uno
solo per sesso: non ci riuscirebbe mai. Non è mica come…», ma si fermò,
non riuscendo a concludere la frase.
«Come te e me, volevi dire?», domandò serafico il Noah.
Lavi abbassò lo sguardo. Colpito e affondato.
«Quindi non c’è problema per te se facciamo solo sesso, no?»,
insistette Tyki.
L’erede di Bookman ci pensò sopra. Alla fine non sarebbe cambiato nulla
tra loro e il suo cuore difficilmente avrebbe reagito ai tocchi di Tyki
– per quanto esperti, perché Noah del Piacere.
«Va bene, signor Neo… Quindi, se vinco io, tutte le scope mi varranno
dal vivo?».
«Esatto, anche dilazionate nel tempo, se sono troppe per queste poche
ore che ci dividono dall’alba. Ma tu farai sempre il passivo,
Coniglietto», mise in chiaro il Noah.
«Eh?! Perché?!», ruggì il rosso, alzandosi nuovamente in piedi e
notando una cosa dietro di
sé, con la coda dell’occhio.
«Perché non sia mai che Sir Tyki Mikk faccia il passivo con un ragazzo
così carino», ammiccò, facendogli cenno di sedersi.
Lavi si imbronciò e le sue gote si colorarono in tinta con i capelli.
«Bah…», sbuffò, prendendo le carte che aveva adocchiato sul tavolo e
ponendole in un mazzetto coperto accanto a lui, insieme alla carta che
aveva in mano e che aveva usato.
Lo scopo del gioco della scopa era di guadagnare più punti possibile.
C’erano diversi metodi per guadagnarli, e i più sicuri erano prendere
il settebello e fare scopa, ovvero raccogliere tutte le carte scoperte
sul tavolo, pulendolo. Le altre possibilità non davano la certezza di
guadagnare il punto, perché a carte pari tale punto non veniva dato;
regola valida anche per la primiera, ovvero il maggior punteggio
ottenuto con quattro carte.
Per il suddetto motivo, fare scopa era una cosa ambita. Le regole erano
semplici: si giocava una carta dalla propria mano e si prendeva quella
dello stesso valore numerico presente sul tavolino o, in alternativa,
si prendevano le carte che, sommate, davano come risultato il numero
della carta giocata, tenendo conto che il Fante, la Regina e il Re
valevano rispettivamente come otto, nove e dieci.
Nel proprio turno si poteva decidere anche di mettere una carta
in più sul tavolo dalla propria mano. Era tutta una questione di
strategia.
«Bravo, Coniglietto. Ma non abbastanza», sorrise il Noah, mettendo un
Re di fiori a terra in aggiunta alle altre tre carte rimanenti. Ora
fare scopa sarebbe stato più difficile.
Lavi si stiracchiò, sedendosi scomposto, quasi sdraiato sulla
poltroncina, e ciò non fece piacere a Tyki, che sembrò fortemente
scontento.
«Che c’è, signor Neo?», chiese Lavi, mostrandogli la lingua.
«Nulla», borbottò lui, attendendo che giocasse.
Nonostante la faccia da poker, Tyki non era riuscito a celare il suo
malcontento a causa della nuova posizione di Lavi.
“Crede forse che io sia tonto? Sono un Bookman, era ovvio che vedessi
lo specchio appeso alla parete alle mie spalle!”, pensò, ridendo sotto
i baffi.
Tyki non si smentiva mai: anche se non stava giocando a poker ricorreva
comunque ai trucchetti da baro.
Lavi calò un sei di fiori, prendendo la stessa carta ma di un seme
diverso dal tavolo e aggiungendo la presa al mucchietto. Il vantaggio
di carte all’inizio era una cosa da nulla, ma gli avrebbe comunque
fatto comodo.
«A te, Marcantonio», lo invitò, già pregustando la propria vittoria.
Tyki non poteva saperlo, ma aveva scelto il gioco più semplice dal
punto di vista di un Bookman, persona dotata di grandissima memoria. E
se ne sarebbe accorto a proprie spese.
*
«Scopa…», ghignò Lavi, pulendo per l’ennesima volta il piano di gioco.
Tyki vide nuovamente il tavolino in ebano lindo e spoglio.
Titubante, mise giù l’ultima carta dalla propria mano – una Regina di
fiori – e Lavi, con un sorriso, la prese in cambio della Regina di
cuori.
«Grazie… scopa!», rise ancora il rosso, senza pudore.
Si stava divertendo come non mai in vita sua.
Erano solo alla prima partita e aveva già fatto carte, danari, preso il
settebello e, sicuramente, collezionato una primiera dal valore
altissimo. Inoltre, aveva fatto per ben sei volte scopa – che
risaltavano dal suo mazzetto.
Il totale del suo punteggio era quindi, nientemeno che dieci punti.
Tyki non poteva crederci.
Più volte aveva tenuto sott’occhio le mani del Bookman, credendo che
stesse barando, e aveva anche controllato alle proprie spalle, sicuro
di avere dietro di sé uno specchio come quello che c’era dietro il
Bookman ma che quest’ultimo aveva reso del tutto inoffensivo assumendo
le posizioni più strane e stravaccate.
Non c’era trucco, non c’era inganno, eppure Lavi stava vincendo con
facilità spaventosa.
“Che sta succedendo?!”, si chiese Tyki, guardando il tralice il suo
misero mazzetto. “A quest’ora dovrei avere io la supremazia del gioco”.
Ma Lavi stava là a sorridere tranquillo, mentre dava le carte per un
altro turno.
Era sereno e rilassato. E anche divertito, a giudicare dalla sua
espressione nel guardare il posacenere ormai colmo dove Tyki infilzava
i mozziconi di sigaretta fumati fino al filtro, per il nervoso.
La risposta era quasi scontata; Tyki non aveva pensato a una cosa
semplice e banale. Una regola della scopa che avrebbe ben dovuto tenere
a mente: è vietato in ogni modo prendere appunti sulle carte scoperte
durante il gioco.
Una regola ovvia, che se solo gli fosse venuta in mente lo avrebbe
fatto desistere dal giocare a scopa contro Lavi.
Lui era un Bookman, una persona senza sentimenti che come unico scopo
nella vita aveva quello di registrare la storia. E per fare ciò era
munito di una memoria formidabile, capace di imprimere nella mente
anche il più miniscolo e insignificante dettaglio.
Questa sua peculiare caratteristica era un’arma vincente a scopa, gioco
dove a fare la differenza era proprio il ricordare quali carte erano
già uscite, così da rendere più difficile all’avversario la possibilità
di fare scopa e facilitare il proprio compito per una mano successiva.
«Come fai?», chiese Tyki, mentre prendeva le carte che gli dava Lavi.
«Come faccio a fare cosa?», chiese lui, guardando cosa gli aveva
riserbato il destino in quelle tre carte.
«A vincere in continuazione…», borbottò Tyki. «C’è qualcosa sotto…».
«Non siamo tutti dei bari come te e Allen». Lavi scoccò la sua
frecciatina. «Ci sono anche persone che giocano e vincono basandosi
unicamente sulle loro capacità, oltre che a un pizzico di fortuna!».
Tyki sbuffò e calò il due di fiori.
Lavi non smise di sorridere entusiasta, mettendo a terra un cinque di
fiori. I sette erano già tutti usciti, quindi non ebbe il timore di una
scopa da parte di Tyki, il quale calò un asso di picche. Aveva in mano
un sei di cuori, e voleva prendere asso e cinque al turno successivo.
Peccato che la dea della fortuna avesse baciato Lavi, offrendogli in
mano una carta molto più utile.
«Scopa!», esulto felice, spazzando via tutte le carte con una Regina di
picche. «Sai, nel linguaggio delle carte, la Regina di picche
rappresenta appunto una donna, magari una rivale in affari o la donna
che ami… ma se è vicino all’asso di picche, indica una vedova…
Probabilmente ammazzerai tuo fratello e farai rimanere vedova la povera
Trisha…», sogghignò Lavi, mettendo la scopa nel proprio mazzetto.
A quel punto Tyki si alzò in piedi, additandolo.
«Stai barando!».
«Assolutamente no…», disse calmo Lavi.
«Era già uscita la Regina di picche!».
«No, erano quelle di cuori e di fiori, signor Neo…», gli ricordò Lavi,
senza fare una piega.
Tyki però, che non aveva ricevuto da madre natura il dono della
pazienza, perse completamente le staffe, a causa inoltre dello stress
accumulato per aver visto i propri famigliari alle prese con le loro
porcate.
Senza pensarci due volte attraversò il tavolino passandoci all’interno
con il suo potere Noah e afferrò Lavi per il bavero della giacca da
Esorcista.
«Non prenderti gioco di me…», sibilò, con gli occhi dorati carichi di
odio.
«Io non ti prendo in giro, Marcantonio», disse Lavi, prendendo la
propria Innocence nel caso ci fosse stato da menar le mani. «Anzi. Per
farti capire che sono un giocatore leale, al contrario di te, che
speravi di vincere utilizzando lo specchio dietro di me, ti metto
subito al corrente che, con la scopa appena fatta, sono arrivato a
undici punti tondi tondi…».
Tyki strinse i denti, irato, e il suo polso tremò talmente tanto da
scuotere perfino il corpo di Lavi.
«Tu…», soffiò, pronto a compiere una strage, ma le parole successive
del rosso lo placarono:
«La partita è finita, no? Quindi… devo riscuotere il mio premio…»,
miagolò Lavi con occhi maliziosi.
«Oh… credevo che non ti fosse piaciuta la mia proposta…», ridacchiò
baritonale il Noah.
Lavi sorrise, come una leggera tosse.
«Al contrario… Voglio rivendicare le sette scopate che mi devi…»,
rispose, allontanando gentilmente la mano del portoghese dal proprio
collo. «Aspettami un attimo…», sussurrò con voce suadente,
allontanandosi verso la reception.
Tyki non poté fare a meno di fissare il deretano del ragazzo,
perfettamente fasciato nel suo paio di pantaloni bianchi. Presto il
malumore gli sarebbe passato. Dopotutto aveva creato una scommessa
fatta in modo che, se avesse vinto o perso, avrebbe comunque
guadagnato.
Così rimase buono, in attesa, sicuro del fatto che Lavi stesse
chiedendo una camera extra al receptionist, immaginandosi il rosso
senza veli, perdendosi in ardite fantasie.
Lavi, però, tornò ben presto per infrangergliele.
«Tieni», gli disse il Bookman, deciso, mettendogli in mano un lungo
bastone liscio che terminava con uno sbuffo di faggina sapientemente
legato.
«Buona scopata, signor Neo.
Ti attendo all’Ordine tra una settimana,
così mi ramazzi la stanza»,
disse Lavi, girando sui tacchi, diretto
verso la scala.
Tyki guardò senza parole quella scopa, ma gli bastarono pochi secondi
per riprendersi dallo shock – ormai ne aveva viste di cotte e di crude
in quella piovosa notte – e spezzò il bastone con l’aiuto del
ginocchio, in un attacco d’ira.
Lanciati i due pezzi per la stanza, afferrò Lavi e se lo caricò a sacco
sulla spalla, mentre questi sbraitava e scalciava.
«Ehi! Cosa stai facendo?! Rimettimi giù! Dirò a Trisha ciò che hai
visto!», lo minacciò, muovendo gambe e braccia come un forsennato.
Tyki, però, lo ignorò e si sedette con lui sulla poltrona dove poco
prima sedeva Junior, facendolo scivolare fino a farlo sedere sul
proprio bacino.
«Taci, Coniglietto impudente!», ringhiò Tyki, afferrandolo per la nuca
e baciandolo appassionatamente. Doveva sfogarsi per tutte le prese in
giro che aveva incassato da parte di quel Bookman, a cominciare con la
battuta sulla Befana, che ancora non gli era andata giù.
Lavi spalancò gli occhi a quel contatto inatteso, e quel baciò, però,
dapprima irruento, pian piano si addolcì, fino a che Junior non si fu
abituato alla lingua del Noah dentro la propria bocca e fu in grado di
rispondere a quell’effusione.
Le loro labbra si separarono con uno schiocco bagnato, mentre
ansimavano.
«Bravo…», lo lodò Tyki, carezzandogli le cosce e afferrandogli
fugacemente il martellino, lanciandolo via.
«No!», esclamò Lavi, facendo per alzarsi, ma Tyki lo bloccò saldamente.
«Perdonami, ma non ci tengo a ricevere colpi da te», gli disse in
maniera oscenamente pericolosa.
«Cosa vuoi fare?», ringhiò appena Lavi, sentendosi completamente in
balia di quel Noah dagli atteggiamenti da pazzo.
«Nulla che tu non voglia…», gli rispose lui, abbassando il capo per
baciargli il collo.
«Smettila! Sei un pervertito!».
«E non mi dire che non ti piace…». Tyki fece le fusa contro il suo
collo, scendendo con le mani a palpargli i glutei.
«Ma tu non hai vinto!», lo rimbeccò. «Ero io a dover decidere cosa fare
in caso di scopa!».
«Però siamo identici: due
persone senza cuore, e nella vita, come nel
gioco delle carte, è un grande vantaggio quello di essere i primi a
giocare, perché a carte uguali si vince. E io ho iniziato per primo…»,
ridacchiò Tyki. «Non sottrarti a ciò che desideri…», gli sussurrò,
facendogli strusciare il bacino contro il proprio.
«Quella regola, che a carte uguali chi inizia per primo vince, vale
solo per la briscola, deficiente! Stavamo giocando a scopa!».
Il Noah era un bell’uomo e Lavi, nonostante si sentisse fin troppo
scoperto senza il proprio martello, capiva che Tyki non era interessato
a farlo fuori, ma solo a trastullarsi un po’ con lui; cosa che non gli
avrebbe fatto alcun dispiacere, in realtà.
«Ci vedranno, qui!», gli fece notare Lavi, abbassando i toni.
«Come sei ingenuo…», rise Tyki, usando il suo potere Noah per
attraversare facilmente la stoffa della divisa da Esorcista e palpare i
suoi sodi glutei. Pelle contro pelle.
Il ragazzo trasalì a quelle mani calde – a dispetto della fredda
temperatura della stanza –, mugolando.
«Ahn, Tyki…», si lamentò il Bookman, sospirando piano perché nessuno li
sentisse.
«Ti piace?», gli chiese l’altro, attraversando il suo corpo per far
giungere i polpastrelli alla bocca, posandoli sulle sue labbra. «Vedrai
quanto ti piacerà dopo…».
Lavi arrossì appena a quel gesto, schiudendo le labbra per dare il
libero accesso alle falangi di Tyki, il quale le mosse all’interno
della sua bocca, simulando un rapporto orale, facendo così eccitare i
due.
«Sei vergine, ragazzo?», chiese Tyki, già pregustando un lauto
banchetto.
«Stupido, sono un Bookman: ho già sperimentato queste esperienze
omosessuali», disse Lavi, liberandosi la bocca dall’intrusione del
compagno.
«Ahn, che giornataccia…», borbottò l’altro, facendo scorrere le dita
fino a riportarle alle natiche del ragazzo e usando l’altra mano per
prendere un polso di Lavi e portargli la mano alla propria erezione,
alla quale il Noah aveva fatto fare capolino dai pantaloni.
Da quel momento, Lavi si ordinò mentale di non urlare, anche se fu ben
più difficile del previsto: il Noah era veramente abile a far provare
piacere alle persone – molto più di quanto il Bookman si aspettasse –,
e il fatto di aver un rapporto sessuale con lui tenendo indosso tutti i
vestiti, facendo così in modo che chiunque li vedesse non capisse cosa
stesse accadendo, rendeva il tutto più sporco ed eccitante.
Tyki lo aveva portato in un vortice di piacere grazie alle proprie mani
e a quei suoi baci che bruciavano sulla pelle come tizzoni ardenti.
Senza contare le sue abbondanti misure che portarono Lavi all’estasi
più sublime. Junior, seduto sul suo bacino, era aiutato da Tyki, che lo
guidava tenendolo per le anche, e da quella posizione l’Esorcista
poteva vedere il proprio volto contorto dal piacere sulla superficie
riflettente dello specchio, trovando il tutto terribilmente
imbarazzante. E, intanto, anche il cervello – sempre troppo preso a
registrare tutto, senza lasciare mai spazio né al divagare, né alla
fantasia – quella volta aveva deciso di non pensare più a nulla e non
registrare niente, se non quelle splendide sensazioni che si sarebbe
portato dentro per sempre.
*
«Allora, Lovely?», domandò Tyki, mentre fumava una sigaretta,
stravaccato sul divano.
Avevano finito di consumare da pochi minuti, ed erano stremati. Era
stato passionale e intenso.
«Mah… non male…», boccheggiò Lavi, senza fiato, seduto al contrario
sulla poltrona – con i piedi dalla parte del poggiatesta, il busto sul
cuscino e la testa a ciondoloni. Era a pezzi.
«Ceeerto… E le altre sei scopate?», gli domandò il Noah, sorridendo
malizioso.
Lavi si lamentò per la stanchezza, facendogli capire che non aveva
voglia di pensarci in quelle condizioni.
I due continuarono a stare in silenzio, ascoltando la pioggia che
seguitava imperterrita a cadere, senza tuoni né fulmini, quando, a un
tratto, un leggero vociare, seguito dal rumore di stivali, giunse alle
loro orecchie.
«Walker… mi spieghi come ha fatto a venirti fame proprio ora?». Era
Link. E pareva parecchio infastidito.
«Abbiamo consumato un sacco di energie, Link…», borbottò l’Esorcista
maledetto, leccando i rimasugli di marmellata dal barattolo. «Dopotutto
potevi anche non accompagnarmi alla sala colazioni per vedere se c’è
già q ualcosa di pronto…».
«Smettila di dire cose imbarazzanti! E poi ti ricordo, Walker, che ho
l’ordine di sorvegliarti!», lo sgridò l’Ispettore, entrando nella sala
d’aspetto – unico punto di collegamento per l’accesso alle cucine.
Proprio in quel momento, i due appena arrivati videro Lavi e Tyki,
insieme, e le carte buttate alla bell’e meglio sul tavolino nero, e si
fermarono.
«Lavi… Cosa ci fai… Ty—?!», esclamò Allen, senza finire di pronunciare
il nome del portoghese a causa della presenza di Link, sorpreso di
vedere il Noah del Piacere ancora in vita, sorridendo appena. Non si
sarebbe mai dato pace se quell’uomo fosse morto a causa sua.
Lavi sorrise e salutò i due, grattandosi la nuca con aria nervosa.
«Junior… che ci fai qui?», domandò Link, per poi rivolgersi all’amato.
«Lo conosci, Walker?», chiese, riferendosi a Tyki.
Allen non voleva scatenare un putiferio, vista soprattutto la presenza
di Lavi insieme al nemico, e fu Tyki a tirare tutti fuori dai guai:
«Sì, sono un conoscente di Allen… ci siamo incontrati su un treno, una
volta, e abbiamo giocato a carte», spiegò il portoghese, per poi
modellare le labbra in un sorriso che sapeva di pura libidine. «Non vi
andrebbe una partita a scopone? Io sto in squadra con Lavi…».
§Fine§
XShade-Shinra
Note:
1 Nome dell'innocence di Lavi
2 In realtà nella Cheryl/Road (o Road/Cheryl, in questo
caso) non ci sono legami di sangue, come specifica anche Tyki.
3 Ricordo che Tyki non aveva mai conosciuto Link tra il
post-arca e la saga di Alma.
4 Il pegging è una tecnica sessuale dove è la donna a fare
la parte dell’attivo, grazie a uno strap-on dildo (un fallo fissato a
una cintura).
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