Steve l'idiota

di Yvaine0
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Visto l'argomento è un po' assurdo, ma vorrei che questa OS fosse il mio regalo di Natale per
alcune delle adorabili ragazze che ho conosciuto qui sul web.
Prima di tutto per Mary, Flamel, Martowl, Merope (Molly Lestrange),
Breezy, Ellie, Federica Von Sexron (che non so come si chiami su efp, shame on me),
poi Aibaf (se per caso passa di qui ♥) e tutte le ragazze del gruppo Facebook.
Buone feste, ragazze, di tutto cuore! ♥



 
 
Steve l’idiota
Ovvero quando il proprio - profetico - pessimismo cronico augura un buon Natale
 
 
Steve Tanner era un ragazzo come molti; sicuramente unico nel suo genere, ma anche assolutamente normale. Frequentava un prestigioso college e aveva una bellissima ragazza.
Una bellissima ex ragazza, più precisamente: in quel momento la stava osservando pomiciare allegramente con un biondino esageratamente alto e dinoccolato su un divanetto giallo, proprio di fronte a dove era seduto lui. A separarli c’era un tavolino di vetro ricoperto di bicchieri di carta mezzi vuoti (vi ho mai parlato del pessimismo cronico di Steve?), un tempo contenenti svariati alcolici mescolati alla bell’e meglio in cocktail devastanti.
La sua ragazza, ovviamente, era totalmente sobria. Era forse l’unica ragazza astemia di tutto il college, ma era anche estremamente arrabbiata con lui e decisa a fargliela pagare per la scarsità di attenzioni che le dimostrava nell’ultimo periodo.
Era il 23 Dicembre ed era stato invitato – come tutti gli altri studenti, senza distinzioni, niente di così speciale - alla grande festa natalizia di Ramona Fienning, una ragazza dell’ultimo anno. Una tipa tosta e popolare, la cui attenzione interessava a tutti.
A tutti meno che a lui. Steve era andato a quella stupida festa solo per far felice May, la suddetta ex ragazza, che ultimamente non faceva che rimproverarlo e sbattergli le labbra sugli incisivi per farsi perdonare. La stessa che ora si stava lasciando palpare da un ragazzo più piccolo, proprio davanti a lui, nella speranza di scatenare una scenata di gelosia.
Steve era perfettamente conscio delle intenzioni di May, ma non riusciva a provare alcunché di fronte a quella scena. Era come vedere un normale coppia, un po’ troppo appassionata forse, pomiciare sul divanetto di un locale all’ultimo grido. Niente di così sconvolgente, niente che lo tangesse.
Una parte della sua mente, mentre la mano del biondo scendeva sul sedere di May, gli diceva che in fondo la sua ragazza – ex ragazza – aveva ragione. Si stava comportando da perfetto stronzo – incredibile pensare che lo stronzo fosse lui, in quel momento, ma era così. Erano mesi che tra loro non c’era più niente di speciale, Steve se ne era reso conto. Non lo aveva mai ammesso apertamente con lei e tanto meno con se stesso, ma ne era inconsciamente consapevole.
La verità era che avrebbe voluto che le cose fossero diverse. Avrebbe voluto amare alla follia May, sognarla, fremere al solo pensiero di sfiorarla.
Ma non era così.
Non lo era perché Steve era stato un totale idiota, qualche mese prima, e si era rovinato la vita con le proprie mani. Aveva sempre avuto una certa inconsapevole tendenza all’autolesionismo, ma durante l’estate aveva superato ogni limite. Dopo una festa aveva fatto l’amore con la ragazza che cercava di levarsi dalla testa da anni, finendo con l’innamorarsene ancora di più. Il danno sarebbe stato relativo, se non fosse che la ragazza in questione era totalmente ubriaca. Steve a volte – ok, quasi ogni giorno - si chiedeva come avesse potuto essere così sciocco. Era sempre stato un tipo razionale e piuttosto pessimista, ma quella sera si era lasciato andare, abbandonandosi a sciocche speranze che lo avevano portato a complicare un bel po’ le cose. Cose che lo stavano portando all’autodistruzione.
Non passava giorno senza che Steve pensasse a Mariah, senza che controllasse la casella di posta nella vana speranza di trovare suoi messaggi. Non c’era una sola volta che baciando May non si illudesse di baciare Mariah. Ogni volta che la toccava, la guardava, ogni volta che facevano l’amore nella testa di Steve c’era solo Mariah Thompson.
Era uno sfigato, si disse. Solo lui poteva cacciarsi in una guaio simile.
Distolse lo sguardo da May e dal suo nuovo amico e si alzò, battendo distrattamente le mani sui jeans scoloriti che indossava quella sera. Infilò le mani nelle tasche, pensando che Mariah gli aveva regalato un paio di pantaloni dello stesso colore per il suo diciannovesimo compleanno.
Si sentì un’idiota subito dopo averlo pensato. Sfilò un bicchiere pieno di liquido verde dalle mani di una ragazza di passaggio e ne ingurgitò il contenuto senza fermarsi a riflettere; non aveva bisogno di riflettere, aveva bisogno di svuotare la mente.
Si avviò verso l’uscita del locale, senza ricordarsi di prendere la giacca.
Uscì nell’aria fredda di dicembre in jeans e camicia. Superò il buttafuori, un paio di ragazze infreddolite, che, stringendosi nei cappotti, attendevano che qualcuno le andasse a prendere, e andò a sedersi sul cofano della propria automobile.
Era un idiota. Non faceva che ripeterselo, ma era certo che la sua mente non avrebbe mai recepito del tutto il messaggio. Un Idiota con la ‘i’ maiuscola.
Non era ancora abbastanza. Aveva bisogno di sentirselo dire da qualcun altro.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò un numero a memoria. Aveva sempre avuto una passione per i numeri, gli risultava facile ricordarli, non usava quasi mai la rubrica. I numeri registrati sul suo telefono era pochi, generalmente quelli di persone di cui non gli importava nulla. Era quasi doloroso per lui ricordarsi che sotto la lettera ‘M’, sul suo cellulare, spiccava il nome di May, ma non quello di Mariah.
Il ripetitivo suono metallico smise di farsi sentire e qualcuno grugnì stancamente dall’altra parte della cornetta.
Steve socchiuse gli occhi e volse il viso al cielo. «Sono un idiota» disse.
Silenzio. Dall’altra parte proveniva solo silenzio.
Riaprì gli occhi e sbuffò. «Matt?»
«No, sei uno stronzo. Sai che ore sono?»
«Mezzanotte?» azzardò Steve, a cui davvero non importava niente di che ora fosse. Il giorno dopo sarebbe tornato a casa per trascorrere le vacanze con i suoi genitori. Inevitabilmente l’avrebbe vista. Lo disse all’amico.
«Steve, io domani lavoro. Non puoi telefonarmi alle tre di notte per dirmi che sei un idiota e che, oh, ci vediamo domani. Anche perché è lampante visto che mi chiami a quest’ora!»
«Mi sono innamorato, Matt» continuò imperterrito Steve. Era stranamente tranquillo. Forse scolarsi quell’ennesimo bicchiere di liquido fluorescente non era stata una grande idea. Normalmente a quel punto sarebbe stato irritato, molto. Sarebbe stato incredibilmente sarcastico e saccente e la sua voce avrebbe raggiunto insolite tonalità per via del nervosismo.
Ripensandoci, bere quella roba era stata un’idea meravigliosa.
«Sei ubriaco, vero?»
Steve scosse il capo. «No, sono lucido. Lucidissimo. Lucido come non sono mai stato». Senza sapere bene il perché scoppiò a ridere. Quella situazione era assurda. Aveva perso la testa per una ragazza ed era rimasto a pensare a lei mentre la sua fidanzata pomiciava con un marpione che le metteva le mani ovunque. Ridicolo!
«Steve, che cavolo stai dicendo? Va’ a dormire» gli consigliò Matt.
Senza accorgersene doveva aver pronunciato ad alta voce i propri pensieri. Rise di nuovo; che strano dire ad alta voce ciò che si pensa per sbaglio!
«Amico, sul serio. Ci vediamo domani e ne parliamo, va bene? Ora chiama qualcuno e fatti portare a casa. Dov’è May? Fatti riaccompagnare a casa.»
Steve sospirò beato. «Hai notato quanto è bello il cielo?» domandò, cercando di distinguere qualche costellazione. La geografia non era mai stata il suo forte, quella astronomica anche meno, per quanto lo incuriosisse. Pensò che se il cielo fosse stato un’equazione, invece, l’avrebbe risolta in una manciata di minuti, senza faticare troppo. Probabilmente il suo strano rapporto con Mariah Thompson era una disequazione fratta, esponenziale, radicale e logaritmica. Un incubo da risolvere*, ma con un po’ di buona volontà ce l’avrebbe fatta. Questo significava che c’era ancora speranza per lui?
No, non c’era. Era matematicamente impossibile che tra loro nascesse qualcosa di più e la matematica non sbagliava mai. La soluzione della loro disequazione concerneva una “Ɇ”. Non esiste x appartenente a R.
«No che non l’ho notato, stavo dormendo fino a un minuto fa! Steve, dov’è May?»
«Sta limonando con un tizio del primo anno dentro il Fifth Road su un divanetto giallo piscio» rispose candidamente Steve, passandosi una mano tra i capelli rossicci. Fece per grattarsi la barba sul mento, ma si rese conto che non c’era più. «Mi sono fatto la barba questa mattina. Sembro più piccolo così» bofonchiò, poggiando poi anche la schiena sul cofano dell’auto.
Matt, dall’altra parte del telefono, respirò a fondo. «L’hai piantata, vero?»
«Piantare la barba? Non so, non l’ho mai fatto. Come funziona, devi ingoiare dei semi particolari? Quelli di barbabietola, magari – rise sguaiatamente. – Barbabietola! L’hai capita, Matt?»
«Ma che ca-... Parlo di May! Pensavo fossi solo un po’ brillo, invece sei completamente andato!»
«Completamente andata sarà tua sorella» rispose Steve, profondamente divertito. Scoppiò a ridere di gusto, ignorando le istruzioni che l’amico cercava di dargli.
Non era ubriaco, era solo confuso. Aveva bevuto un po’ – un po’ tanto –, era vero, ma ciò che gli stava dando alla testa era l’amore, non l’alcool.
«Farò finta di non aver sentito, perché sei fuori come un balcone. Ora ascoltami bene...»
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulla verità che da sempre echeggiava dentro la sua testa: «Io la amo, Matt».
«Allora va’ là dentro e prendi a pugni il nano, Steve! Poi chiedi a May di accompagnarti a casa perché...»
«Ma non c’è nessun nano! Sono un idiota, il problema sono solo io». Steve sapeva che l’amico aveva capito benissimo a chi si riferiva. Entrambi sapevano che non sarebbe mai riuscito ad innamorarsi davvero di un’altra ragazza. Nella sua testa c’era solo Mariah. Era Mariah che lui vedeva in ogni ragazza, era Mariah a cui pensava ogni volta che si sentiva estremamente felice o triste.
«Steve, davvero, hai bisogno di andare a casa. Ci sono ancora gli autobus a quest’ora?»
«Dovrei buttarmici sotto, secondo te?»
«No, idiota, dovresti salirci e andare a casa!»
«Dovrei buttarmici sotto. Sono un idiota. Io la amo e...»
«Smettila di pensare a Mariah e ascoltami! Non posso venire a prenderti io, per cui bisogna che qualcuno ti accompagni a casa. Oppure puoi prendere una stanza in albergo, c’è un albergo nei paraggi?»
«Potrei dormire da Mariah, no? Era così bella la sera del suo compleanno...» Era meravigliosa. Era sempre stata meravigliosa, ma quella sera lo era più del solito. Era rimasto a lungo a guardarle le gambe quella sera. Si era sentito un maniaco ad un certo punto, ma probabilmente lei non ci aveva fatto caso. Era troppo ubriaca. Troppo schifosamente ubriaca.
Aveva voglia di piangere.
«Steve!»
«Ho fatto un casino. Ora crederà che io mi sia approfittato di lei. Nemmeno vorrà guardarmi in faccia e...»
«Steve!!»
«Sono un idiota».
«Bene: Idiota, allora! Idiota, devi andare a casa, capisci?»
«Domani torno a casa».
«Sarebbe bene che lo facessi adesso» sbuffò Matt, arrendendosi. Ragionare con l’amico era impossibile quella sera. Era già difficile quando Steve era lucido, ma quella sera sembrava essere impazzito del tutto. Ultimamente lo aveva chiamato spesso, in preda ai fumi dell’alcool, ma le altre volte era riuscito a convincerlo a tornare a casa e dormire, perché non c’era niente di meglio che potesse fare.
Ma non quella volta. Quella volta non ci sarebbe riuscito perché Steve stava pensando a Mariah e non gli importava che May stesse pomiciando con un altro né che lo stesse facendo solo per attirare la sua attenzione. Steve era dannatamente innamorato e assolutamente certo che la sua Mariah non potesse ricambiare i suoi sentimenti. E il giorno dopo l’avrebbe incontrata. Non aveva speranze. Aveva sempre pensato di non averne, ma dopo quell’estate quel pensiero si era fatto certezza.
«Se mi tingessi i capelli e cambiassi nome?» propose Steve profondamente sconsolato.
«Cosa?»
«Avrei qualche speranza?»
Matt sospirò. «E va bene, ho capito. – Seguì un grugnito, che annunciò che il ragazzo si era alzato a fatica dal letto su cui giaceva. – Mi cambio e vengo a prenderti. Mi faccio centosettantasei chilometri alle due di notte e ti vengo a prendere, cazzo. Dovrai un regalo di Natale coi fiocchi, almeno per ripagarmi la benzina!»
 
***
 
La famiglia Tanner aveva un ristorantino in una stradina secondaria del centro città. Era un luogo tranquillo e confortevole, popolato per lo più da amici di famiglia dei proprietari e coppiette di turisti con una predilezione per il low cost.
Era una famiglia di lavoratori, si spaccava la schiena e manteneva i prezzi piuttosto bassi per garantirsi delle buone entrate ogni mese. Era una famiglia di lavoratori e teneva aperto il ristorante la vigilia di Natale, costringendo anche i figli a indossare un grembiule e rendersi utili.
Era un modo per fare qualcosa di produttivo tutti insieme, diceva sempre la signora Tanner.
Era un modo per garantire servizio efficiente e gratuito, rispondeva Cassidy, sentendosi sfruttata. Si era laureata in psicologia qualche mese prima e si lamentava di non aver ancora trovato uno straccio di lavoro. Si era aspettata di ricevere centinaia di proposte appena finita l’università, per qualche strano motivo. Sognava di sposarsi con un uomo ricco, avere due figli biondi, sorridenti e con gli occhi verdi – azzurri, al limite –, una villa con una piscina e un labrador scodinzolante. Steve aveva sempre pensato che sua sorella fosse troppo ambiziosa e non potesse che finire schiacciata dalla frustrazione di tutti i suoi sogni non avverati.
Quel giorno Steve sfoggiava due profonde occhiaie violacee e un’espressione vacua mentre stava in piedi dietro al bancone, intento a preparare caffè per i pochi fortunati che avevano già pranzato, ingurgitandone una tazzina ogni tanto quando nessuno lo vedeva. Avrebbe preferito di gran lunga essere a casa a dormire, ma sua madre aveva deciso che le dieci e mezza era un orario più che adatto per svegliarsi perfettamente riposati.
Steve aveva lanciato un’occhiata stanca al proprio letto prima di lasciare la stanza per recarsi al ristorante con il resto della famiglia. Le dieci erano un orario perfetto per svegliarsi perfettamente riposati quando si andava a dormire al massimo alle undici. Quando si facevano le sei del mattino cantando a squarciagola canzoni rock sull’autostrada con il proprio migliore amico dopo essersi bevuti qualche litro di miscele alcoliche spacca-fegato, invece, l’orario perfetto per svegliarsi erano le dieci di due giorni dopo.
«Hai l’aria stravolta – buttò lì Cassidy, lottando con il laccio annodato del proprio grembiule. – Stai bene?»
Steve si strinse nelle spalle. «Ieri ho bevuto un po’ troppo» si limitò a rispondere.
La sorella rise forte. «Anche il piccolo nerd si dà alla pazza gioia, allora!»
Pazza gioia. Steve l’avrebbe definita di più ‘pazza autocommiserazione’. «Lascia perdere. Dove stai andando?»
«Cerco di fuggire. – sussurrò con aria cospiratoria, chinandosi in avanti. - No, non è vero: scherzavo. – precisò poi, raddrizzandosi e parlando a voce alta. – Sono arrivati i Thompson, voglio chiedere se hanno un posto di lavoro da offrirmi. Il signor Thompson è medico, no? Magari può raccomandarmi qualcuno.»
Ma Steve aveva smesso di ascoltarla non appena aveva sentito il nome dei nuovi venuti. «I Thompson?» domandò incredulo. Era perseguitato dalla sfiga! Aveva promesso a Matt che non avrebbe pensato a Mariah nemmeno una volta durante le vacanze, che si sarebbe davvero impegnato a dimenticarla – perché, anche se oramai sapeva di non poterla avere per sé e si stava mettendo il cuore in pace, il suo fegato rischiava di rimanerci secco mentre beveva per dimenticare il mondo.
Glielo aveva promesso senza pensarci troppo, sperando che almeno una promessa potesse essere un appiglio abbastanza solido a cui aggrapparsi per tirarsi fuori da quel mare in tempesta in cui stava affogando. Ma era ovvio che le cose non sarebbero andate secondo i piani – quando mai era successo, d’altra parte?
«Sì, proprio loro. La ragazzina pazzoide è tua amica, no?» Cassidy tolse il grembiule e lo porse al fratello che, ad occhi sgranati, lo appese al gancio dietro il bancone. Occhi sgranati, vacui, mente iperattiva, nel disperato tentativo di trovare un modo per evitare Mariah, mentre una parte di lui non vedeva l’ora di correre in sala per poterla finalmente vedere. Si diede dell’idiota mentalmente, mantenendo quell’espressione inquietante. Non aveva speranze nemmeno di dimenticarla.
Cassidy lo osservò un po' fissare il vuoto a quel modo, poi gli diede uno schiaffo.
«Che cazzo fai?» scattò Steve, allontanandosi per uscire dalla portata della sorella. «Sei scema?»
Lei lo guardò con aria severa. «Ti sei fatto, vero?»
«Di cosa stai parlando?»
«Senti, Steve, – continuò lei imperterrita. – I casi sono due e entrambi mi portano a pensare che tu sia il più grande idiota sulla faccia della terra. – Come darle torto, si disse Steve, continuando tuttavia a non capire. Lei riprese: - O ti fai di qualcosa, e in questo caso, sappilo, ti faccio chiudere in un istituto perché so per certo che non puoi uscirne da solo. Oppure...»
«...Marijuana» rispose Steve, amaramente divertito, senza pensarci. Nella sua testa quella parola indicava soprannome dispregiativo affibbiato a Mariah Thompson. Non aveva altro significato. Proprio come le espressioni ‘occhi azzurri’ e ‘capelli neri’ si traducevano solo in ‘come quelli di Mariah’, così la marijuana non era più uno stupefacente comune: era il suo personale stupefacente, era Mariah.
A Cassidy morirono le parole in bocca. Guardava il fratello come se, per la prima volta, si fosse accorta delle tre teste e l’occhio in più in mezzo alla fronte. «Bene. Poteva andare peggio, ma sei comunque l’idiota più grande del mondo. Ti fai le canne prima di lavorare? Credi forse che quel segugio di mamma non se ne accorgerà?»
Steve scosse il capo. «Di cosa stai parlando?»
«Me l’hai già chiesto e mi hai anche già risposto. A te fa un effetto strano la marijuana, sai? Di solito la gente sorride come un ebete e vede cose strane. Tu invece azzeri il cervello. Be’, non è male, considerato che lì è pieno di numeri e nient’altro. Sai cosa ti servirebbe, Steve? Una donna. Trovati una donna».
Steve fissò la sorella con aria mesta per qualche istante. «Hai ragione – rispose, atono. La macchina del caffé manifestò la propria indignazione per essere stata abbandonata a se stessa e lui si affrettò a premere il pulsante per riempire una tazzina. – Ho da fare, adesso» la congedò freddamente.
Cassidy capì di aver detto qualcosa di sbagliato e le bastò entrare nella sala da pranzo e notare la giovane e bella Mariah, per capire quale fosse il problema. «Che idiota...» sussurrò, senza saper bene se riferirsi al fratello o a se stessa.
 
«Crede che mi faccia» fu la frase con cui Steve salutò Matt, a cui aveva appena telefonato, senza nemmeno prendersi una pausa dal lavoro.
Il ragazzo dall’altra parte sospirò. «Inizio a chiedermi se non sia così, sai?»
Steve sogghignò amaramente. «Forse dovrei iniziare. Dicono che i problemi non hanno più importanza appena hai fumato uno spinello».
«Non pensarci nemmeno, idiota! – lo interruppe Matt. – Tu sei già abbastanza dipendente dalla Marijuana, per quanto mi riguarda. L’ultima cosa che ti serve è un’altra qualità della stessa roba».
Sospirò. «Lo credo anche io» rispose, tenendo il cellulare con una mano. Aveva risolto equazioni di ogni tipo, anche le più difficili, ma non aveva mai capito come facesse sua sorella ad incastrare il telefono tra la spalla e l’orecchio.
«E poi pensa se ci stessero intercettando: mi prenderebbero per uno spacciatore!»
Steve non riuscì a trattenere una risata. «Ti nasconderò una lima in una torta».
«No, amico, tu mi pagherai la cauzione e spiegherai che sono dentro per colpa della tua mente contorta e la tua nuova ossessione per le metafore! Me lo devi dopo ieri sera».
«Almeno tu hai dormito, questa mattina!»
«Dormito? Ti ricordo che io ho un negozio, idiota!»
«Ok, va bene: pagherò la cauzione, ho capito».
«Quale cauzione?» si intromise una voce femminile. Steve sgranò gli occhi, mentre le sue viscere si attorcigliavano e quell’illuso traditore del suo cuore prendeva a galoppare come un cavallo selvaggio. «Disturbo?» Mariah Thompson era in piedi di fronte a lui e sorrideva timidamente.
Steve non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Si sentiva un maniaco, ma non riusciva a smettere di osservarla. Quegli occhi in cui si era tante volte perso, i capelli che aveva accarezzato, quel corpo che, almeno per una notte, era stato suo. La guardava come un topo guarda il gatto che lo ha appena intrappolato in un angolo senza vie di fuga; non poteva sfuggirle. Se in quel momento Mariah gli avesse chiesto di versarsi in testa del caffè bollente lui lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Avrebbe fatto la figura dell’idiota, l'idiota che sapeva di essere, ma non gli sarebbe importato, se almeno fosse bastato a farla ridere.
«Steve? Mi senti?»
«Ah. – il ragazzo si riscosse udendo la voce dell’amico di sempre attraverso la cornetta. – Matt, devo andare. Ci sentiamo».
«Hai sentito quello che t-» stava dicendo, ma Steve aveva già riattaccato.
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, il telefono stretto in mano come unico appiglio. Ma cosa poteva un telefonino contro un mare in tempesta? Non poteva nemmeno appoggiarvisi per riprendere fiato.
Mariah. Era lì, di fronte a lui. E lui si stava comportando come un idiota. Un classico.
«Ciao» lo salutò lei, con un timido sorriso. Arrossì leggermente sotto il suo sguardo e Steve lo notò subito. Con quel po’ di colore in più sul viso pallido era ancora più bella. L’ultima volta che l’aveva vista arrossire e stata la mattina dopo la sua festa di compleanno.
«Ciao» ripeté lui con un filo di voce. Cosa avrebbe dovuto dirle? Tutto ciò a cui riusciva a pensare era quella notte che aveva trascorso insieme. Forse però non era lui a dover dire qualcosa, era stata lei a cercarlo.
Nascosto dietro questa piccola rassicurazione, posò il telefono sul mobile alle proprie spalle e afferrò uno straccio con cui pulire il bancone, tanto per fare qualcosa. Distogliere lo sguardo da lei fu un'impresa ardua e, anche ora che fissava la superficie in legno, continuava a cogliere con la coda dell'occhio ogni suo movimento: le mani che si torturavano l'un l'altra sul ventre, i capelli che svolazzavano mentre si guardava attorno in cerca di qualcosa da dirgli.
«Tutto bene?» le domandò, cercando di simulare una naturalezza almeno decente, ma fallendo miseramente.
«Si tira avanti» rispose lei; si strinse nelle spalle e lo osservò a lungo, prima di aggiungere: «Tu invece non hai una bella cera».
Touché. No, non aveva una bella sera. Non riusciva a smettere di pensare a lei, mai, nonostante fosse rassegnato al fatto che tra loro non ci potesse essere nulla; continuava a pensare a beveva come una spugna appena veniva lasciato da solo con se stesso, per evitare di distruggersi psicologicamente, anche se in verità era sempre stato uno straccio da quando era uscito dal letto di Mariah. «Brutta sbronza» disse solo a mo' di giustificazione, senza guardarla, in tono improvvisamente freddo.
La sua espressione colpevole e quel “Ho fatto un bel casino, eh?” sussurratogli la mattina appena sveglia riempivano tutta la sua mente, riportando a galla tutta la rabbia nei suoi e nei propri confronti. Era dura stabilire chi dei due fosse stato più stupido quella sera; certo era che lui si era tuffato nel mare in tempesta senza salvagente.
«Senti, Steve, c'è una cosa che devo dirti».
Non riuscì ad impedire al proprio cuore di fare una capriola udendo quelle parole, ma cercò di darsi un contegno; alzò quindi gli occhi ad incontrare i suoi, ora bassi e fissi verso il basso. Senza pensarci seguì il suo sguardo e notò nuovamente le mani incrociate sulla pancia... «Oh cazzo, non sarai incinta!» esclamò, sconvolto.
Mariah lo guardò sgranando gli occhi blu e, presa in contropiede, fece un passo indietro, sciogliendo l'intreccio delle proprie dita. «Cosa? No! Come ti viene in mente?» si difese, affannata.
«Ne sei sicura?» si assicurò lui, mentre una piccola parte del suo cervello stava facendo i conti per decidere se la causa di quella gravidanza potesse essere lui stesso. Quasi sei mesi. Probabilmente un pancione a quel punto sarebbe stato visibile, no? Non seppe se sentirsi sollevato o deluso: quindi il bambino era di qualcun altro?
La ragazza si portò i lunghi capelli su di una sola spalla, imbarazzata, e ridacchiò. «Sì, ne sono abbastanza sicura».
«Sicurasicurasicura?»
«Steve!»
«Cosa? Sei venuta a chiedermi di parlare tenendoti la pancia con le mani!»
«Steve!»
«Cosa?»
Lei arrossì e, «Ho le mie cose e un mal di pancia atroce», spiegò, per poi scoppiare in una risatina nervosa. «D'accordo? Sei più tranquillo ora?» aggiunse, la voce leggermente più acuta del solito.
«Oh». Quindi non c'era nessun bambino. Be', tanto meglio. Quindi forse lei non era andata a letto con nessun altro dopo di lui.
Scosse il capo, dandosi per l'ennesima volta dell'idiota. Perché doveva pensare certe cose? La vita sessuale di Mariah non era di certo affar suo e sperare che gli fosse in qualche modo rimasta fedele pur non essendoci nulla tra loro era davvero stupida da parte sua.
«Oh» ripeté impacciato. «Quindi... di cosa volevi parlarmi?» andò dritto al punto, distogliendo nuovamente lo sguardo da lei.
«Be', ecco...» Mariah sospirò e poi calò il silenzio. Per alcuni istanti non si udì altro se non il chiacchiericcio dei clienti in sala e lo spadellare proveniente dalla cucina, poi la ragazza si decise a parlare: «Ti ricordi... Ti ricordi quel che è successo dopo la mia festa di compleanno?».
Steve si immobilizzò. Se se lo ricordava? La inchiodò con un'occhiata eloquente, cercando di trasmetterle tutti i ricordi di quella serata gelosamente custoditi e rievocati ogni volta che qualcosa non andava per il verso giusto e la sua razionalità andava a farsi friggere.
Lei lo resse solo pochi istanti, poi socchiuse gli occhi e tornò a guardarsi le mani, il volto arrossato a renderla ancora più bella.
«Come dimenticarlo» si lasciò sfuggire Steve in un sussurro e Mariah trattenne il fiato.
Non aveva più alcun senso fingersi distaccati e noncuranti; perché? Perché fingere che non gli importasse, non averci pensato ogni notte da quando era successo, sentendosi anche un po' un maniaco? Non avrebbe detto di aver dimenticato tutto, non avrebbe finto di star bene e di essersi pentito di quell'incidente di percorso, perché tornando indietro, idiota com'era, l'avrebbe fatto di nuovo.
«Ecco. Ecco io... ti ho mentito».
Se anche Steve fosse stato in grado di ipotizzare ciò che Mariah aveva intenzione di dirgli, non avrebbe indovinato quella rivelazione. Rivelazione che, poi, non era nemmeno certo di aver capito. La guardò interrogativo, senza dire niente.
«Ho avuto paura. Eri... sei il mio migliore amico e io ho fatto un casino. Pensavo di complicare tutto, ma adesso non faccio che...» Nascose il volto tra le mani e emise un leggero gemito di frustrazione, per poi spostare le mani e tirarsi i capelli all'indietro. «Non ero ubriaca» ammise infine, guardandolo dritto negli occhi.
«Ah». Questo che voleva dire? Sentiva il cuore battergli all'impazzata, ma non aveva idea di cosa stesse succedendo.
«Io... ho avuto paura e ti ho mentito».
Steve annuì distrattamente, mentre ancora cercava di far ordine nella propria mente; tutto ciò cosa significava? Mariah era sobria e sapeva cosa stava facendo, quando erano finiti in camera sua, era consapevole di tutto. Era accondiscendente, aveva voluto che succedesse almeno quanto lui. «Anche io ti ho mentito» si sentì in dovere di chiarire; probabilmente le cose tra loro non sarebbero cambiate, ma ormai avevano preso la strada della sincerità, quindi tanto valeva provare il tutto per tutto. «Non avevo nessuna ragazza. Non c'è nessun altra ragazza nella mia vita. A parte Cassidy, - aggiunse, per sdrammatizzare; - ma credo che lei sia un caso a parte».
Mariah ridacchiò, stringendosi nelle proprie braccia, come ad abbracciarsi da sola.
Si prese un attimo per osservare la tenerezza di quella scena, poi riprese a parlare: «Non c'è mai stata nessun altra ragazza. La notte scorse la tizia con cui sono uscito per un po' stava pomiciando con un altro davanti a me e io...»
«Tu...?»
«Non mi ha fatto né caldo né freddo; io pensavo a te. Lo... lo faccio sempre», dicendolo non ebbe il coraggio di controllare la reazione di lei, che era arrossita e si stava ora mordendo il labbro inferiore. «Visto che siamo in vena di confessioni, ho pensato fosse giusto dirtelo» aggiunse a mo' di giustificazione, tornando a strofinare distrattamente il bancone con un panno umido.
Quando non ricevette alcuna risposta, ridacchiò tra sé, per riempire il silenzio. Razza di idiota, cosa si era aspettato? Una dichiarazione d'amore? No, a dire il vero non si aspettava proprio nulla; tutto sommato stava iniziando ad imparare ad accettare la realtà. Magra consolazione.
«Ti va di...» Mariah interruppe la frase pronunciata con voce fin troppo flebile per schiarirsi la voce. «Ti andrebbe di provarci, Steve?»
Quando alzò il capo ad occhi sgranati trovò immediatamente lo sguardo speranzoso di Mariah già alla ricerca cerca del suo. Batté le palpebre un paio di volte, cercando di capire cosa lei gli stesse proponendo, prima che la sua mente prendesse il volo senza un reale motivo – non voleva illudersi per l'ennesima volta. Lei sorrise della sua espressione confusa e rincarò la dose: «Facendo le cose con ordine, questa volta. Sempre che tu non abbia deciso di pensare a qualche altra ragazza dopo ieri sera...». Gli sorrise.
Le cose stavano prendendo una piega strana. Steve maledì il proprio fisico per le reazioni che stava avendo – mani sudate, respiro accelerato, rossore in volto, cuore che batteva all'impazzata; l'unico a non star reagendo affatto sembrava il suo stupido cervello nerd. Che cosa stava succedendo? «Mary, fermati un attimo» prese tempo, mostrandole i palmi delle mani. «Cosa mi stai chiedendo?» Da un momento all'altro, lo sapeva, si sarebbe reso conto di aver frainteso tutto e si sarebbe rovinato quanto meno le vacanze di Natale, in perfetto stile Peldicarota Steve.
«Ti sto chiedendo di... di uscire insieme, di permettermi di dimostrarti che non sono solo una ragazzina».
Parlava seriamente? «Non sei mai stata solo una ragazzina». Voleva... uscire con lui? Come una coppia? O come quel qualcosa che potrebbe diventare una coppia? Il suo stomacò di riempì di una soffice agitazione che riconobbe come le famose farfalle. Senza sapere bene il perché scoppiò a ridere, rilasciando così tutta la tensione e le preoccupazioni avute fino a quel momento. Una risata un po' isterica, forse, ma che contagiò anche Mariah.
«Vieni qui, dai» la invitò allora Steve, dopo essersi calmato, sporgendosi sul bancone e allungando un braccio perché lei si avvicinasse.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e, attraverso il mobile, in maniera un po' scomoda e idiota, si abbracciarono.
Steve le posò un bacio sulla fronte, ascoltandola ridere, poi: «Ti porto a mangiare staser-» le stava proponendo, quando qualcuno fece il suo ingresso di gran carriera e, senza badare a chi ci fosse, strillò: «Quello stronzo di Thompson dice che non può infilarmi da nessuna parte! Ma io dico, a che serve avere conoscenze se non...» La voce si Cassidy andò affievolendosi sempre di più, quando si rese conto chi stesse facendo compagnia a suo fratello. Sgranò gli occhi, vergognosa, e arrossì violentemente. «Thompson McDonald è proprio un deficiente, non trovi? Lo conoscete? È un mio... Torno in cucina» tentò di salvarsi in corner, per poi scuotere il capo e rifugiarsi nella stanza accanto.
«Sì, Cassidy è decisamente un caso a parte. Un caso umano» commentò Steve in riferimento alle battute che si erano scambiati poco prima. E risero, risero un sacco, insieme, senza nemmeno riuscire a concepire che, sì, una volta tanto erano davvero insieme e, se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbero rimasti assieme a lungo.
«Ah, Mariah?»
«Sì?»
«Sei il più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto».
«Oh».
«Troppo sdolcinato, eh?»
«Un pochino».
Sei un idiota, Steve.
 
 
*Nella mia ingenuità qualche anno fa pensavo che non ci fosse nulla di più di complicato di un'equazione del genere, poi ho visto il quaderno di algebra della mia amica che studia Chimica e mi sono ricreduta. (y)

Buonasera a tutti. Probabilmente vi sarete addormentati tutti prima che io sia riuscita a postare (evviva i crash di EFP! ♥), quindi sarebbe meglio darvi il buongiorno, ma comunque... ciao! :)
Va detto, prima di tutto, che ho iniziato questa storia più di un anno fa e l'ho conclusa solo oggi pomeriggio - e penso che si veda, soprattutto sul finale che ew
In secondo luogo, questo vuol essere il mio - scrauso - regalo di Natale per voi tutti, in particolare per le ragazze che ho nominato in cima. Mi sono decisa a finirla, una buona volta, e... ecco qui il secondo Missing Moment si Cows and jeans su Mariah e Steve. Avevo un debole per questi due e ancora ce l'ho, anche se probabilmente non sono più nelle mie corde come un tempo. Spero che comunque la storia si regga in piedi e non sia "scoordinata" come sembra a me. E spero soprattutto che vi sia piaciuta almeno un po'. :)
Ricordo, in caso qualche nuovo lettore fosse capitato qui, che il prequel di questa OS è Peldicarota Steve.
 Non siete alcun modo obbligati a passare, ma se lo faceste mi farebbe piacere. :) E... niente. Grazie per essere arrivati fino a qua, un abbraccio a tutti e tantissimi auguri di buone feste! ♥
 




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