Avvertimento:
questa storia ha per protagonisti persone vere e personaggi di pura
fantasia.
La storia non ha alcuna pretesa di verità o di
verosimiglianza; non si pretende
di dare una rappresentazione veritiera dei protagonisti della storia e
non vi è
alcun intento offensivo o rappresentativo dell’immagine degli
stessi. Nessun
diritto legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto
appartiene ai
rispettivi titolari.
“Teenage
Angst” è il titolo di una canzone dei Placebo,
tratta dall’album “Placebo”.
Ad
Erisachan, perché un dolce Natale a base di zucchero e
smancerie non fa per
lei, ma pieno di ragazzini sboccati… oooh, se fa per lei!
A
Neal C_, perché è un’autrice che adoro
e mi ha fatto venire voglia di scrivere
ancora ed ancora della mia band.
Ai
Placebo. Per Bologna, per la sera del 23 Novembre del 2013. Tra tutte
le altre
che ci sono state e tutte quelle che, spero, ci saranno. Un miliardo di
questi
concerti.
Teenage
Angst
Londra
23
Dicembre 1995
Fa freddo.
Robert formula quella considerazione tra
sé e sé mentre
osserva attentamente i propri anfibi. Dalla distanza che
c’è tra la cima del
suo naso, affacciato sopra le pieghe strette della sciarpa di lana
grossa, e la
punta rinforzata dello stivale, sembra proprio che la situazione sia
quella di
sempre: pelle un po’ consunta, impunture grossolane sul bordo
della suola a
carrarmato…eppure Rob è quasi certo che, in
realtà, ci sia una sottilissima
patina di infido ghiaccio che avvolge l’intera scarpa e che,
insinuandosi da
qualche apertura invisibile, arriva a gelargli le dita intirizzite ed
ormai
insensibili all’interno dei calzettoni doppi.
-Merda!- sbotta all’improvviso,
sollevando il viso e
spalancando la bocca per liberarla dall’ingombro della lana
senza dover sfilare
le mani dalle tasche del giubbotto.
Stefan si volta a guardarlo, sollevando scettico
le
sopracciglia in attesa di una spiegazione più esaustiva di
quell’unica
imprecazione.
-Dove cazzo è finito Brian?!- ringhia
Rob in replica
all’occhiata dell’altro.
-Starà arrivando.- è la
piana risposta dello spilungone.
-Sarò morto prima che quella checca
isterica si decida a
farsi vedere!- sbuffa ancora Robert, macerando stizza e trovando in
quello un
momentaneo rimedio dal freddo artico in cui la città sembra
piombata.
Stefan sposta il proprio, modesto, peso da una
gamba
all’altra, indifferente agli sbalzi di umore
dell’amico. Rob e Brian
condividono un carattere decisamente troppo sanguigno e virulento per i
suoi
gusti.
-E’ in ritardo!- è
l’inutile constatazione che segue pochi
minuti di pacifico silenzio.
-Brian è sempre in ritardo.
-Brian è una sgualdrina!
-…non vedo come le due cose siano in
correlazione…
-Non lo sono! Ma è uno stronzo e,
quando arriva, lo prendo a
calci in culo fino a scaldarmi i piedi!
Stefan sospira, paziente.
-Puoi piantarla, Rob? Mi stai facendo venire mal
di testa.-
osserva educatamente.
-Ma scusa! Ma ti sembra corretto da parte sua
darci un
appuntamento e, poi, essere in ritardo di…- esita, indeciso
se fare lo sforzo
di sfilare la mano dalla tasca per controllare l’ora o
lasciare perdere.
L’orologio a parete di una farmacia all’angolo
viene in suo provvidenziale
soccorso. Rob sgrana gli occhi rendendosi conto
dell’entità del disastro.- Mezz’ora?!-
sbotta sbalordito.-
Mezza-fottuta-ora?!
-Eccolo lì.
Stefan indica. Robert ruota su se stesso in tempo
per
individuare le due figurine imbacuccate che vengono loro incontro
dall’altro
lato della strada. Una delle due è strizzata in un
cappottino a quadri, un
cappellino di lana da cui esce una profusione di lunghi capelli,
biondissimi,
ed un paio di guantini di pelle con fiocchetto.
L’altro è Brian. Il
giubbotto imbottito lo fa sembrare più
magro e piccolo del solito, ingolfandolo tra il cappuccio ornato di
pelliccia
sintetica ed un “salvagente” blu acceso, quasi
turchese, che fa un contrasto
violento con il pallore eccessivo del viso; i capelli neri sono
spettinati e
gonfi, come sempre quando l’umido di Londra li rende
indomabili hanno assunto
pieghe insolite, arricciandosi senza troppa convinzione e sfuggendo a
qualsiasi
possibilità di dargli una forma accettabile. In mezzo a quel
disastro, gli
occhi grigi risaltano di una sfumatura azzurrata, intensa come poche
volte,
brillando perfino alla distanza che li separa da loro.
-Ciao, ragazzi.- saluta, approdando al
marciapiede che
ospita Rob e Stef.
-Brian, avevamo appuntamento alle
tre…- inizia pacatamente
quest’ultimo.
-E, come al solito, te ne sei sbattuto alla
grande del fatto
che siamo rimasti mezz’ora a congelarci il culo!- termina
Robert, intervenendo
con un ringhio basso e cattivo.
-Ho avuto un contrattempo!- lo rintuzza
acidamente Brian.
-E’ colpa mia.- interviene prontamente
l’ultima presente,
fissando su di loro uno sguardo da cerbiatta contrito al punto giusto.-
Ho
chiesto a Brian di passare con me in Università per
recuperare gli appunti di
un’amica.
-Poco male, Christine.- le sorride Stefan,
piegandosi a
baciarle la guancia e facendole il solletico con il naso freddo.
-Tanto sarebbe stato in ritardo lo stesso.-
è lo stizzoso
borbottio di Rob mentre saluta a sua volta la ragazza.
E’ Stefan il primo a muovere,
allungando il passo in linea
retta e provocando lo spostamento simultaneo dell’intero
gruppetto. Christine
gli si affianca, le mani, ancora inguantate, contro la bocca, ci soffia
su per
riscaldarle ulteriormente. Brian e Rob vengono dietro, parlando tra di
loro nel
medesimo tono rancoroso con cui si sono apostrofati da subito.
-Hai portato le tab?
-Non posso credere che domani ci tocca davvero registrare.
-Se avessimo fatto un lavoro decente, domani non ci toccherebbe registrare.
Brian allunga la mano e Robert gli passa un
gruppo di fogli
piegati e ripiegati per farli entrare nella tasca interna del
giubbotto. Il
bruno li spiega tra le dita.
-Come va con Adam?
Stefan abbassa il viso ad incontrare lo sguardo
attento di
Christine mentre formula quella domanda.
-Non saprei.- risponde, stringendosi nelle
spalle.- Giovedì
siamo usciti e sembrava che andasse tutto bene…
-Questo giovedì?
-…no…la scorsa settimana.
Sì, la scorsa settimana. Comunque,
non mi ha richiamato. Ho provato a cercarlo io, ma pare che trovarlo a
casa sia
impossibile.
-Che peccato…- Pausa – Mi
sembravi abbastanza preso.
-Non è possibile! Rob!
-Che c’è? Che
c’è,
adesso?!
-Ti avevo detto di riarrangiare il ritornello,
non tutta la
fottuta canzone! Il cazzo di ritornello!
-Faceva schifo anche il resto.
-Stronzate!
Stefan sospira e guarda dritto davanti a
sé. Christine,
invece, si volta per assicurarsi che Robert e Brian non arrivino alle
mani.
Vede Brian agitare i fogli, dardeggiando contro l’altro con
aria inferocita.
-Beh, Adam mi piace abbastanza.- arriva la
risposta fiacca
di Stef, intanto.
-Magari dovresti insistere. Perché non
lo inviti da James,
domani sera?- suggerisce lei, voltandosi nuovamente nella sua direzione.
-Domani dobbiamo registrare e tu riarrangi
l’intero pezzo
senza che nemmeno lo abbiamo provato! E poi mi fai anche la predica
perché ci tocca
andare in studio la vigilia di Natale!- ringhia Brian alle loro spalle.
Rob risponde con quella che suona molto come
un’imprecazione
in svedese. Stefan drizza per un istante le orecchie, poi decide di
lasciar
perdere.
-Stef, questo coglione ha cambiato tutta la
canzone! Non gli
dici un cazzo?!
-Fammi vedere.- si arrende voltandosi a prendere
le tab che
Brian gli sta porgendo.
-Se non la pianti di parlarmi a questo modo, ti
prendo a
calci nel sedere!
-Provaci, testa di cazzo!
-Secondo me è meglio così.-
afferma quieta la voce di
Stefan, ignorando entrambi.
Brian strabuzza gli occhi.
Christine ridacchia e si sposta prudenzialmente
per portarsi
oltre il limite costituito dal terzetto ancora in movimento.
-Non posso crederci!- sfiata Brian.
-Te lo avevo detto!- esulta Rob.
-E’ la nostra cazzo di canzone! Non
puoi cambiarla come ti
pare senza parlarne con noi!- protesta Brian, aggredendolo nuovamente.
-Ok, allora…Stef, tu quale
preferisci?- indaga Robert.
-Questa versione secondo me è meglio.-
insiste lo svedese.
-Non l’hai manco sentita!
-Neppure tu, Brian, quindi smettila di fare lo
stronzo.- lo
rimbrotta Rob.- Due a uno, comunque. Teniamo questa.
-Col cazzo!- scocca Brian, strappando i fogli di
mano a
Stefan.
Christine spinge la porta a vetri del pub in
quello stesso
momento, un tintinnio piacevole si diffonde all’interno,
mentre l’odore di
legno e fumo li avvolge sulla soglia.
-James!- chiama la ragazza, scendendo per prima i
due
gradini all’ingresso.
-Sono sul retro!- le risponde una voce soffocata.
-Sei sempre sul retro, Jamie. Comincio a credere
che ci
tieni la tua riserva di erba, sul retro.- replica Brian, avanzando nel
locale
vuoto.
Si libera del giubbotto ingombrante lanciandolo
su una sedia
in un angolo e balza a sedere sul bancone, allungando il busto per
spiare la
porta aperta da cui si accede al magazzino e dalla quale proviene il
rumore di
bottiglie di vetro e oggetti pesanti spostati strisciando sul pavimento
di
assi.
Christine volta attorno lo sguardo, valutando
criticamente i
pochi addobbi natalizi che pendono tristemente dalle colonne e dal
soffitto.
Intorno a lei, Stefan e Robert si spogliano, rispettivamente, di
montgomery e
piumino, che abbandonano sulla sedia assieme a quello di Brian.
Christine
scioglie i bottoni del cappotto e sfila via la cuffia di lana.
Dalla porta sul retro James arriva caracollando
sotto il
peso di una paio di casse piene di lattine di birra. Robert doppia il
capo del
bancone e va ad aiutarlo.
-Grazie.- borbotta il ragazzo, asciugandosi la
fronte madida
di sudore.
-Jamie, potevate impegnarvi un po’ di
più…- mormora
Christine, delusa, additando i festoni spennacchiati.
-Ah, andiamo! Domani sera la gente
sarà talmente ubriaca e
fatta che nemmeno si accorgerà che è Natale!- la
rintuzza lui, prendendo a
sistemare le lattine nel frigorifero sotto il bancone.
-Vero.- concorda Brian brevemente. Cava dalla
tasca dei
jeans il pacchetto di sigarette solo per rendersi conto di averle
finite.-
Cazzo!- sfiata.- James, dammi le tue.- ordina spingendo la mano nella
sua
direzione ed accennando perentorio con le dita.
-Brian…anzitutto, scendi da
lì. E poi, sant’Iddio! sei la
troia più esigente che io conosca!
-Sono anche la troia più brava che tu
conosca. Sgancia una
sigaretta e falla meno complicata.
Un sospiro. James si tira dritto, asciugandosi le
mani sui
pantaloni in un gesto più abitudinario che realmente
necessario, recupera il
pacchetto appoggiato sulla mensola dei liquori e glielo lancia.
-Brian, lo sai che la gente, normalmente, si
offende a
sentirsi dare della troia. Mica ringrazia.- osserva Robert, seduto ad
uno dei
tavolini di fronte al bar, gambe distese davanti a sé e posa
da guerriero
stanco.
-Se ti offendi, non fai che fomentare certi
stronzi.-
ribatte lui, facendo spallucce. Quando soffia fuori il primo sbuffo di
fumo, lo
fa in modo volutamente provocatorio. Rob storce il naso e sposta lo
sguardo,
Brian ride.- Comunque,- esordisce bruscamente, voltandosi verso James
nuovamente intento a sistemare la birra.- stavamo pensando di fare
qualcosa a
Capodanno. Olsdal ha casa dei suoi libera.
-No, ehi! un attimo!- sbotta Stefan, spalancando
lo sguardo
su di lui.- Brian, l’ultima volta mio padre mi voleva
ammazzare dopo il casino
che avete combinato! Non vi ci porto a casa dei miei!
-Secondo me è una buona idea.
-Non me ne fotte un cazzo se la trovi una buona
idea, Rob,
non ci venite a casa dei miei!
-Insomma, quando Olsdal la pianta di rompere,
pensiamo di
organizzare qualcosa dai suoi.- prosegue tranquillamente Brian, non
facendo
cenno di volersi interessare all’opinione di Stefan.
-Io vado fuori con Maggie a Capodanno. La porto a
sciare in
Francia.- sorride James. Chiude con un colpo brusco l’anta
del frigorifero e si
rimette in piedi.
-Che carino!- è il commento entusiasta
di Christine mentre
Brian, non visto, accenna ad un conato di vomito.
Rob ride del gesto di Brian e Stefan gli lancia
un’occhiata
di riprovazione che Brian fatica a stabilire se dipenda
dall’autoinvito a casa
Olsdal Senior o dalla reazione alle dichiarazioni appassionate di James.
-Piuttosto. Domani sera è confermato,
vero? Ci siete?-
s’interessa il barista, prendendo a lucidare una fila
interminabile di boccali
vuoti appoggiati sul piano del bancone, di fianco alla figura
striminzita di
Brian.
-Sicuro che ci siamo.- risponde
quest’ultimo.
-Siamo incastrati qui.- circostanzia Robert con
uno sbuffo.-
Domani ci tocca lavorare.
-Certo, se qualche stronzo non riarrangiasse
intere canzoni
il giorno prima di una registrazione, non dovremmo lavorare anche la
Vigilia di
Natale…- scocca velenosamente Brian, arricciando le labbra
in un ghigno
malevolo in direzione dell’altro.
-Piantala! La sessione di registrazione
l’avevi fissata tu
molto prima di leggere le tab!- ribatte Robert, allungando inutilmente
un
calcio nella sua direzione e mancandolo di un buon mezzo metro.
James ride, ignorando tanto il battibecco quanto
l’aria
afflitta e genuinamente stanca con cui Stefan reagisce.
-Ok, chi mi dà una mano? Ho lasciato
lo spumante nel
furgone, nel vicolo.
-Ci vado io, così finisco di fumare.-
salta giù dal bancone
Brian.- Stef, mi accompagni?
-‘k.
Arrivano giusto fuori dal locale, chiudendosi
dietro la
porta posteriore, poi Brian si volta verso di lui, a tre metri dal
furgone
sgangherato di James, sigaretta tra le labbra. Rabbrividisce appena al
freddo
pungente dell’esterno, dopo aver deciso – stupidamente
– di non infilare il giubbotto prima di uscire.
Stefan lo fissa interrogativamente. Brian finisce
la
sigaretta e butta a terra il mozzicone.
-Ma tu davvero sei d’accordo che Rob
faccia così?- lo
interroga aspro.
Lo sguardo dell’altro si allarga.
-Cos…?- prova a chiedere.
Brian non lo lascia finire.
-Porca puttana, Stefan! Siamo una fottuta band e
lui non può
permettersi di cambiare le canzoni come cazzo gli tira e rifilarcele
quando non
c’è manco il tempo di discutere la cosa!
-Posso anche essere d’accordo che la
tempistica non sia
stata delle migliori ma…
- “Ma” il cazzo!
-Brian. Sai anche tu che
l’arrangiamento funziona meglio
così che prima. Gli hai chiesto tu di dargli
un’occhiata perché non ti
convinceva e perché Rob è quello che ci prende di
più con queste cose.
Un nuovo brivido. Stefan fa fatica a capire se
Brian abbia
freddo davvero o se stia tremando di rabbia.
-Non è questo il punto!- sbotta.
-…beh, magari no. Però
è questo il risultato.- stringe le
spalle Stefan.- Senti, lo hai detto tu: siamo una band, abbiamo votato
e sei in
minoranza. Facciamo la canzone così come l’ha
buttata giù Rob. E poi, Brian,
sarebbe ora che voi due la smetteste di beccarvi come due ragazzine che
si
contendono lo stesso maschio. Siete insopportabili e non fa bene al
lavoro.
Per tutta risposta l’altro lo fissa ad
occhi sgranati.
-…ma sei scemo?! Guarda che
è lui che mi mette sempre in
discussione! Non gli sta bene un cazzo di quello che faccio…
-Perché invece a te di quello che fa
lui…!- ironizza Stefan,
mani in tasca.
-Oh, io non lo so cosa accidenti vi è
preso, ma non rompete
i coglioni a me! – sbotta Brian, rabbioso -L’hai
sentito?! Ha iniziato da
subito a lamentarsi perché domani ci tocca registrare! Come
se gliene fottesse
qualcosa di questo cazzo di Natale! Nemmeno ci crede al
Natale!
-Magari voleva andare a casa dai suoi e, invece,
è bloccato
a Londra.
-Magari anche io volevo andare a casa dai miei,
ma sono qui
e non rompo le palle al prossimo!
-Non farmi ridere, Molko, tu hai voglia di
tornare in
Lussemburgo quanta io ne ho di andare con la prima che mi si struscia
addosso
durante i concerti.
-Insomma, alla fine sono sempre io il cattivo!-
sbuffa Brian
con un sorrisetto nervoso.
-Non ho detto questo. Non sto parteggiando per
nessuno. Sto
solo cercando di trovare un punto di equilibrio nel delirio che tirate
in piedi
ogni cazzo di volta che dovete rapportarvi tra di voi!
-E allora fatti una paccata e mezza di cazzi
tuoi, Olsdal!
Nessuno te lo ha chiesto!
-Brian, senti. Mi sono rotto le palle di fare da
paciere. -
annuncia pacatamente l’altro - Se volete picchiarvi,
c’è tutta Londra disponibile,
abbiate la cortesia di farlo lontano dal pub di James ché,
se no, gli tocca
pulire il sangue. Detto questo, non sono cazzi miei, concordo!
-Vaffanculo, Stefan!- è il ringhio
rabbioso di Brian.
-Bene. Non mancherò.- è la
replica secca che riceve in
risposta.
Si conclude con uno scatto da parte di Brian. Si
allunga
come una bestia ferita in direzione della porta chiusa del pub,
ignorando
completamente il motivo per cui sono usciti e raggiungendo la maniglia
molto
prima che Stefan riesca a ricordarglielo. Vede la figura spigolosa
infilarsi in
uno spiraglio così stretto che sembra dovercisi incastrare
dentro.
Lascia perdere la cosa scrollando le spalle, si
avvicina al
furgone ed apre il portellone posteriore, salendo all’interno.
-Brian, ma lo spum…- inizia James nel
vederlo riapparire nel
salone.
-Ci pensa Stef.- scocca lui, senza rivolgersi a
nessuno in
particolare e puntando direttamente alla sedia per recuperare il
proprio
giaccone.- Io me ne vado a casa.
-Ah, ok…- borbotta James perplesso,
scambiando con Rob
un’occhiata ugualmente stupefatta.- Senti, pensavo che magari
domani sera
potreste suonare un paio di pezzi, se vi va.
-Sì, è ok. –
acconsente rapido, accostandosi all’uscita
senza neppure prendersi la briga di chiudere la cerniera del giubbotto
–Ci
vediamo.- saluta rapidamente, uscendo in strada prima che gli altri
possano
rispondergli.
-Ma che cazzo gli è preso?!- sbotta
sbalordito James.
-Quello è tutto scemo…-
borbotta Rob, picchiettandosi un
dito sulla tempia in un gesto esaustivo.
Stefan rientra con lo scatolone pieno di
bottiglie tra le
braccia.
-Brian è appena andato via.- annuncia
James, aiutandolo a
mettere a terra lo spumante.- Ma avete litigato?
-No, perché?
-Era isterico…
-Sono giorni che Brian è isterico.-
considera ad alta voce
Christine, lasciandosi andare ad un sospiro pesante, mano contro il
piano di
legno del tavolo a cui siede e visino appoggiato sul palmo aperto.
-Sarà la tensione per
l’album.- mente Stefan stringendosi
nelle spalle.
-Sarà che è una checca del
cazzo ed un egocentrico di
merda.- ribatte Rob, stizzoso.
-Robert, però se tu non lo provocassi
ogni cazzo di volta…!-
esclama Stefan, esasperato.
-Adesso che c’entro io?!
-Dovevi per forza cambiare tutto
l’arrangiamento di quella
cazzo di canzone, vero?
-Me l’ha chiesto lui!
-Ti aveva chiesto di rivedere il ritornello, non
tutta la
canzone.
-Ma lo hai detto anche tu che va meglio
così!
-Il che non significa che tu abbia fatto bene a
cambiare
tutto il giorno prima di doverla incidere. Come diavolo ti è
saltato per testa,
Rob?!
-Adesso finisce che ho sbagliato io se Sua
Maestà ha il
mestruo continuo, 365 giorni l’anno!
-Piantala d’insultarlo!
-Piantala tu di difenderlo quando fa lo stronzo!-
ribatte
Robert, per poi aggiungere ironico.- Cioè, sempre.
Stefan gira attorno al bancone, piazzandoglisi di
fronte a
braccia conserte e gambe larghe.
-Rob, me la spieghi una cosa?- domanda sforzando
un tono
tranquillo ma deciso.- Mi spieghi perché cazzo suoni con lui
se non lo
sopporti?
-…non ho mai detto che non
lo…
-Non lo avrai detto, ma credimi, è
quello che appare a chi
vi guarda da fuori!
-E’ vero, Rob, contesti Brian ogni
volta che ne hai
l’occasione.- concorda Christine.
-Non fa nemmeno troppo bene in una band
emergente, per
giunta…- rincara James, appoggiandosi al mobile dei liquori
ed accendendosi una
sigaretta.
-Questo modo di fare finirà per
bruciarci prima ancora di
aver iniziato.- annuisce Stefan.- E onestamente, non lo capisco nemmeno.
-Non è colpa mia se lui preferiva il
vostro vecchio
batterista!- scatta Rob, indicando la porta da cui Brian è
uscito.
-Magari non è colpa tua, ma non fai un
cazzo per fargli
cambiare idea.- conviene Stefan.
***
Brian pensa che è un mucchio di tempo
che non riesce più a
stare con Stef e Rob senza che qualcuno urli. La parte peggiore
è in sala,
perché lì diventa tutto un casino e finisce che,
per fare una cosa, ci vuole il
doppio del tempo che avevi programmato, viene sempre uno schifo e ti
ritrovi a
dover lavorare anche la vigilia di Natale.
Che poi a lui del Natale non fotte un cazzo.
Manco ci crede nel Natale.
…però non era tutto
inventato che sarebbe voluto andare a
casa. Magari non proprio che vuole tornare dai suoi, però
gli va di vedere suo
fratello. Ma tanto Barry quest’anno non è a casa,
per Natale. E’ fuori con
quella tipa francese che ha deciso di sposarsi l’estate
prossima; vanno a
conoscere i genitori di lei e poi in Svizzera per passare Capodanno
sulle
piste.
Sbuffa. Vorrebbe fumare, ma quando allunga la
mano alla
tasca posteriore dei jeans ricorda che ha finito le sigarette e non
è stato
abbastanza sveglio da rubare a James le sue. Merda.
Fa veramente freddo, si trova a considerare
all’improvviso,
annoiato. Si accorge di non essersi allacciato il giubbotto e provvede.
Ci manca solo che si prenda un raffreddore,
così salta anche la sessione di domani. Davanti il
portone di casa sfila le
chiavi dalla tasca e cerca quella giusta, le mani gelate. Deve
decidersi ad
utilizzare dei guanti…
Qualcosa di pesante gli si abbatte sulle spalle e
sul collo,
facendogli perdere pericolosamente l’equilibrio. Ha appena il
tempo di
afferrare il corrimano che costeggia i pochi scalini fino al portoncino
per
evitare di cadere, una bestemmia a fior di labbra ed il mazzo di chiavi
che
cade con un tintinnio sinistro nell’aiuola sotto le finestre
del piano
rialzato.
Una risata divertita lo investe mentre si volta
furibondo e
spaventato nella direzione del suo aggressore.
-Adam, cazzo!-
sbotta immediatamente.
Lo spintona di lato, quello continua a ridere
sguaiato
mentre Brian rifà a rovescio i gradini e s’infila
nell’aiuola a caccia delle
chiavi.
-Sei un coglione!- lo rimbrotta da lì.
-Ah, andiamo! Ti ho visto qui, tutto solo e
depresso, e non
ho resistito.- cinguetta l’altro, appoggiandosi a peso morto
alla balaustra per
protendersi verso di lui, un sorriso smagliante che illumina lo sguardo
chiaro,
da predatore.
Brian gli rivolge uno sguardo distratto, poi
torna a
concentrarsi sul portachiavi nuovamente tra le proprie mani e sceglie
la chiave
giusta nel mucchio; gli si affianca sull’ultimo gradino
davanti il portone.
-E quindi…stai tornando a
casa…- inizia colloquiale Adam.
-Oh, mio Dio! La tua perspicacia è
commovente!- motteggia
Brian con un sorriso storto. Chiave nella serratura che scatta, una
spallata
secca ed il portone è aperto.
-Andiamo, dolcezza, speravo di passare un
po’ di tempo con
te!- sbuffa Adam, accennando un piagnucolio mellifluo.
-Intanto, “dolcezza” ci
chiami tua sorella. In secondo
luogo, indovina chi ho sentito dire oggi pomeriggio che è da
due settimane che
ti cerca senza trovarti?!
-…cazzo, Olsdal.
-Già, “cazzo
Olsdal”.
-Andiamo, non ti farai mica problemi per quello
lì?!
-Quello lì
è mio
amico.
-Non mi pareva che te ne fregasse
granché l’altra sera…
-Adam. Va a fare in culo.- secco.
-…era esattamente il programma per la
serata.
Dito medio alzato. Brian non si volta nemmeno,
superando la
soglia d’ingresso del palazzo.
-Brian, ti prometto che ci parlo e gli dico che
non
m’interessa, ok?!- arrangia rapido Adam.
L’altro si blocca, una mano ancora
sulla maniglia, gli
solleva in faccia uno sguardo sorpreso e sorridente ad un tempo.
-Ah, beh! Questo cambia tutto!- esclama allegro.
Quando Adam, rincuorato, fa per entrare a sua
volta, Brian
gli chiude il battente in faccia.
-Sei uno stronzo!- è il grido
frustrato che arriva dalla
strada, Adam batte entrambi i palmi contro il vetro.
Brian accenna un saluto a mano aperta, innocente
come una
bambina. Si volta e sale le scale.
Nell’appartamento Oscar sta guardando
il telegiornale in
salotto. La cucina è vuota e la stanza di Mike aperta e con
la luce spenta.
Sono solo loro due in casa. Si ferma a controllare la posta sul
tavolino
nell’ingresso.
-Brian?
-Mh.
-Ha chiamato tuo fratello. Ha detto che ti
richiama lui
domani.
-Non ci sono, domani.
-Non ci sei mai.
-Saranno anche un po’ cazzi miei!
Oscar si affaccia alla soglia del salotto,
grasso, unticcio
e con ancora il pigiama addosso. Brian mette giù il pacco di
lettere fatta
eccezione per la cartolina natalizia che sua madre gli ha inviato e che
butta
nel cestino di fianco al tavolo senza leggerla. Si volta verso di lui.
-La Sig.ra Griffiths ti cercava. Vuole sapere se
vuoi
restare a Gennaio o intendi cercarti un altro appartamento.
-Restare in questa topaia è
l’ultima delle mie aspirazioni.-
afferma Brian compitamente.
-E’ un po’ vaga come
risposta.- replica l’altro,
facendoglisi incontro nell’ingresso.
-E’ incredibile, Oscar! Hai appena
fatto dell’ironia!-
sgrana gli occhi Brian, fingendosi incredulo.- Sospetto sia stata
assolutamente
involontaria.
Lo supera velocemente, raggiungendo la propria
stanza e
chiudendosi la porta alle spalle con uno schianto. Il suono gracchiante
del
citofono lo informa che Adam non ha intenzione di mollare troppo in
fretta.
Sospira e si sfila il giubbotto.
-Brian!- strilla la voce di Oscar dal corridoio.
-Sì, sì! Cazzo! Ci penso io.
Spalanca la finestra. Uno sbuffo di aria gelida
lo investe,
si appoggia al davanzale per sporgersi fuori ed individuare Adam, sul
marciapiede, sguardo all’insù nella sua direzione.
-Sei uno stronzo!- si sente apostrofare appena
l’altro lo
riconosce.
Ride.
-Fino a prova contraria, quello in strada a
prendere freddo
dopo essere andato in bianco non sono io.- ribatte serafico.
-…sei uno stronzo nel senso brutto del
termine!-
circostanzia Adam, cocciutamente.
-E tu sei un idiota. Vai a farti un giro e a
calmare i
bollenti spiriti. Ci rivediamo tra qualche secolo.
-‘fanculo, Molko!
Non si spreca a rispondergli. Abbassa il vetro a
ghigliottina e tira la tenda.
Sulla scrivania c’è un
disordine incredibile, tra fogli
scarabocchiati, abbozzi di partiture mai finiti, Brian individua un
mucchietto
di foto che ha ritirato solo il giorno prima e non ha ancora avuto modo
di
guardare. Le raccoglie, insieme con il sacchettino di carta in cui il
fotografo
ha sistemato i rullini e l’album di plastica che gli ha
regalato. L'album è di
un verde bottiglia che fa male agli occhi e che lo fa ridere. Si siede
sul
letto, poggiando la schiena contro la testata, e vede sul comodino un
paio di
adesivi colorati che riproducono loghi di pompe di benzina.
La fissa degli adesivi gliel’ha
attaccata suo fratello
quando ancora andava a scuola in Lussemburgo. Per fargli passare lo
schifo e la
noia di quei quaderni tutti uguali, delle cartelle tutte identiche,
delle
divise grigie gli trovava in giro roba colorata che, poi, lo aiutava ad
appiccicare in punti strategici.
Adesso incolla quelli che sono sul comodino sulla
copertina
verde bottiglia dell’album fotografico, poi lo appoggia
accanto a sé e prende a
sfogliare le foto.
***
24
Dicembre 1995
Brian si sfila la chitarra di dosso. Da sotto il
palchetto
in fondo al locale gli arriva lo scroscio di applausi del pubblico. Si
asciuga
il sudore dalla fronte con il polso, caracollando giù dal
palco seguito da
Stefan e Robert. Non ha ancora messo il piede sul pavimento sconnesso
del pub
che ha già una sigaretta tra le labbra, qualcuno che non
conosce si complimenta
con lui, una pacca sulla schiena e gli accende la sigaretta. Ringrazia
senza
assicurarsi di essere sentito e svicola via prima che altri sconosciuti
gli si
accalchino intorno. Li lascia a Stef e Rob. Approda più o
meno incolume al
bancone, appoggiandocisi con entrambe le braccia e sentendo il primo di
una
serie di brividi gelati scivolare sulle braccia nude.
-Fantastici, ragazzi! Ogni volta che vi sento mi
convinco
sempre di più!- lo arringa James, andandogli incontro con
una birra già
stappata tra le mani.
Brian accenna un sorriso autentico. Christine gli
arriva
accanto, intercettando la manovra di avvicinamento di una rossa dalle
labbra
carnose che fraintende la sua presenza e si ritira imbronciata. La
ragazza la
guarda andare via, pondera la necessità di scusarsi con
Brian ma un’occhiata
alla sua espressione grata la rassicura.
-C’è un casino di gente!-
esclama soddisfatta.
Brian si volta, la bottiglia in una mano e la
sigaretta
nell’altra di appoggia di schiena al bancone. La sala
è piena fino a scoppiare,
i tavoli sono tutti occupati, c’è gente in piedi
che parla e ride, qualcuno
balla anche sulle note sconnesse della musica preconfezionata con cui
James li
ha sostituiti al termine dell’esibizione.
-Beh, è la sera della vigilia.-
considera Brian,
stringendosi nelle spalle.
James ride.
-Sono qui per voi, Brian.- scuote la testa
divertito,
sorridendo della sua espressione sorpresa.- Sai, state diventando
abbastanza
famosi da queste parti.
-Ed il disco non è ancora uscito.-
considera Christine con
un sorriso enorme.
-Il disco non è ancora nemmeno
finito.- ribatte Brian.
Beve dalla bottiglia. Il gusto amaro della birra
gratta
contro la gola e gli fa storcere il naso. Pensa che vorrebbe qualcosa
di più
forte, e continua a pensarlo dopo un paio di tiri dalla sigaretta.
Stefan ha visto Adam. Gli è andato
incontro, evitando anche
lui di rimanere incastrato troppo a lungo nei gruppetti nutriti che lo
hanno
fermato lungo la strada. Ma a differenza sua è stato
gentile, si è fermato, ci
ha scambiato due parole, e poi è ripartito alla volta del
suo obiettivo. Adam
lo vede arrivare e si volta a guardare Brian. Lui se ne accorge e gli
dà le
spalle, tornando a voltarsi verso James.
-Jamie, dimmi che ti è rimasta della
roba lì dietro.-
piagnucola imbronciandosi.
James scuote la testa. Si piega sotto il bancone,
sparendo
per qualche istante alla vista, e ne riemerge porgendogli una scatolina
di
legno, che apre dopo essersi assicurato che non ci sia nessuno che li
stia
guardando. Brian ne tira fuori una delle sigarette sottili,
artigianali,
sistemate all’interno, poi allunga le dita in direzione
dell’altro e si fa
passare l’accendino.
-Vedi di non ridurti uno straccio come tre sere
fa.-
consiglia James, mostrandogli con un cenno il posto dove sta riponendo
la
scatola ed il suo contenuto.- Non mi va di doverti accompagnare a casa
un’altra
volta.
-Ci sto attento.- promette Brian.
Christine si è allontanata. Quando si
volta verso la sala,
Brian la individua vicino ad una delle colonne con Rob ed un paio di
bionde
niente male. Il ragazzo sorride beato, distribuendo equamente la sua
attenzione
tra le due sconosciute e l’amica, sebbene
l’obiettivo non sia lo stesso. Stefan
ha raggiunto Adam e quest’ultimo ci sta provando in un modo
così palese da
dargli il voltastomaco.
Brian vede la rossa sorridergli ammiccante,
pondera la cosa
con lo sguardo e stabilisce che sia meglio sparire per un po’.
***
-Dove accidenti lo hai trovato?! E’
bellissimo, Jamie!
-E’ solo un adesivo, Brian. Mai visto
qualcuno entusiasmarsi
tanto per un adesivo…
James posa le birre davanti a loro, sul tavolo.
Valuta
l’opportunità di raccogliere almeno una parte
della distesa disorganica di
lattine, bicchieri e bottiglie già vuoti, poi decide che
può soprassedere e,
invece di tornare diligentemente al bar, si fa spazio sulla panca, di
fianco
alla propria ragazza che li ha raggiunti un’oretta prima.
Maggie gli sorride e
James le bacia una spalla attraverso il tessuto leggero della maglietta.
Brian si sta ancora rigirando tra le mani
l’adesivo che
l’altro gli ha dato, contemplandone affascinato le poche
lettere che compongono
l’unica parola impressa. James sospetta che la sua attenzione
spasmodica sia
effetto più dell’alcol e della droga che ha in
corpo che di un reale interesse
per l’oggetto.
-Questo lo appiccico sulla chitarra!- esclama
all’improvviso.
Stefan, accanto a lui, alza il viso a guardarlo.
-La Fender?- chiede scuotendo nel bicchiere
davanti a sé la
cenere della sigaretta.
-Forte quella chitarra.- considera James.
-E’ forte davvero!- annuisce Brian con
convinzione.
-Glielo hai poi dato, un nome?- interviene Rob.-
Olsdal,
passa una sigaretta anche a me.
-Ma voi non ve le comprate mai?
-E perché dovremmo? Sei tu quello
ricco!
Un sospiro, Brian ride e Stefan passa il
pacchetto e
l’accendino all’amico.
-L’ho appena deciso.- risponde Brian
alla domanda che Rob
gli ha fatto. Mostra orgoglioso l’adesivo e l’altro
sospira.
-Cristo Santo!-
sfiata.- Sei monotematico!- sbotta accennando alla scritta
“bitch” sul fronte.
Brian non lo ascolta.
-Vuoi davvero chiamare
“puttana” la tua chitarra nuova,
Brian?- insiste Christine, divertita.
-A lui piace essere fuori dagli schemi.- afferma
Maggie,
pacatamente.
-A lui piace essere un cazzone provocatore.-
corregge il
tiro Robert.- Tutte stronzate, Chris.
-Ah-ah.- sfiata Brian, sedendo composto e
sporgendosi verso
di lui attraverso il tavolo.- Almeno io ho una personalità
per far parlare di
me; tu sei incolore, inodore ed insapore, Schultzberg.
-Beh…nel confronto, non sono
così sicuro di voler fare
cambio.
-No, ragazzi! Non cominciamo anche la fottuta
notte di
Natale, grazie!- li riprende James immediatamente.
Brian alza le mani in segno di resa, mentre Rob,
visto il
suo gesto, si adegua imitandolo.
-Pace?- indaga il primo, prontamente.
-Come il bue e l’asinello nella stalla
di nostro Signore.-
accorda Robert, con facilità.
-Accidenti, non sembrate neanche voi…-
considera Maggie,
stupita.
Stefan ride.
-Oggi in sala è andato tutto benone,
ecco perché sono così
ben disposti l’uno verso l’altro.- spiega.
-Ah, perfetto. Quindi basta pregare che finiate
in fretta
questo album e che il tour sia uno sballo e siete a posto.
-Non si è mai parlato di tour, Jamie,
non partire per la
tangente.- lo rintuzza Brian, servendosi a sua volta dal pacchetto di
sigarette
di Stefan e facndolo scivolare lungo il tavolo, nella sua direzione,
subito
dopo.
-Al massimo ci faranno aprire qualche concerto di
qualche
band qui dalle parti di Londra.- annuisce Rob.
-Beh, è sempre meglio di niente.
-Sai cosa vorrei?- interviene Stefan.- Vorrei
andarmene per
un po’. Londra comincia a starmi stretta.
-Detto da uno che viveva in quel buco di
culo…- riflette
Brian a voce alta.
-Il Lussemburgo sarà stato anche un
buco di culo, ma non
poteva essere così terribile, Brian.- afferma Rob.
-Credimi, poteva eccome!- esclama lui, inarcando
le
sopracciglia a rimarcare l’orrore di quel periodo.
-In ogni caso, non vedo perché non
dovremmo sognare in
grande e pensare ad un tour europeo.- ride Stefan- Anzi, no.- si
corregge
subito dopo. Brian sorride anche lui, Rob ridacchia.- Un tour mondiale!- esagera volutamente,
entusiasta, allargando le braccia a ricomprendere tutto il globo.
Urta Christine con la mano, le chiede scusa.
Attorno a lui,
Brian sta ridendo ed anche Rob. James dice che non vede cosa debba
fermarli e
Maggie annuisce con la testa.
Stefan riporta le braccia ai fianchi e finisce la
propria
sigaretta, spegnendola soto il tavolo prima di farla cadere nel
bicchiere.
***
Ha perso di vista Brian più o meno da
dieci minuti e non
capisce perché James abbia insistito tanto nel dirgli di
andarlo a cercare.
-Era fatto come Dio solo sa cosa, Stef. Trovalo
prima che si
cacci in qualche guaio.
Stefan considera che Brian è in quelle
condizioni più o meno
tutte le sere, fatta eccezione per quelle che passa a casa propria
davanti alla
televisione. Comunque, quando ci mette troppo ad individuarlo tra la
gente
ancora assiepata nel salone, si preoccupa anche lui.
-Rob.- chiama. L’altro si stacca dal
collo della bionda che
gli si stava strusciando addosso e lo guarda, gli occhi appannati ed
un’espressione per nulla intelligente in faccia. Stefan
ignora la cosa.- Hai
visto Brian?
-Ha detto che non si sentiva bene ed andava in
bagno.-
risponde Robert dopo qualche minuto passato a pescare tra ricordi
appannati.
Adesso Stefan è decisamente
preoccupato.
Punta la direzione che l’amico gli ha
indicato, spingendo la
porta basculante con un pugno ed entrando nello spazio puzzolente
adiacente le
latrine. Li sente prima di vederli. Riconosce la risatina bassa e
stupida che
Brian fa quando si atteggia a puttanella in calore con qualcuno, un
suono che
lui stesso trova cretino e che lo diverte perché le reazioni
del “maschio
standard” sono talmente idiote da farlo scoppiare a ridere
davvero.
Stefan immagina, quindi, che non sia solo.
E’ tentato di
tornare indietro, giusto per lasciare a Brian la sua privacy e
perché non
gliene fotte un cazzo di sapere con chi abbia pensato di andare a
rintanarsi
nel cesso del pub. Poi, però, non lo fa. Si sposta oltre
l’angolo di uno dei
cubicoli sporchi e maleodoranti e li vede.
Adam ha già le mani sulla cintura di
Brian, mentre l’altro
gli si stringe addosso, famelico, divorandogli le labbra con le
proprie. Una
leggera pressione, Adam lo spinge all’interno di uno dei
cubicoli, Brian
ridacchia ancora e gli lascia condurre il gioco. La porta viene chiusa
con un
colpo distratto.
Stefan torna in sala quasi di corsa. Sul retro
recupera il
montgomery e la custodia del basso. James lo intercetta in uscita.
-Stef?- lo chiama interrogativo, scrutando il suo
viso.-
Tutto ok?
-Vado a casa, sono stanco.- arrangia
sbrigativamente, senza
guardarlo.
Maggie si affianca loro.
-Ma adesso facciamo il brindisi per gli
auguri…!- obietta,
indicando il salone da cui sono emersi Christine e Robert, perplessi
dalla
decisione repentina dell’altro.
Stefan non si rivolge a nessuno di loro.
-Sì, beh, tanti auguri.- concede
stancamente.- Io vado.
Infila la porta inseguito dalle risposte
affrettate degli
amici e dal richiamo di James che, inascoltato, gli ricorda
dell’appuntamento
dell’indomani.
Rob scambia con gli altri uno sguardo intenso.
-…ma non doveva cercare Brian?-
formula a voce alta per
tutti.
James sospira, accennando con la testa in
direzione del
bagno. Christine stringe le labbra, Maggie preferisce concentrarsi su
altro e
gira attorno al bancone per aiutare il proprio ragazzo a tirare fuori
bicchieri
e bottiglie per il brindisi di mezzanotte.
-Testa di cazzo.- è il sussurro a
mezza voce con cui Robert
chiude la discussione, afferrando uno sgabello e sedendo al bancone,
imitato da
Christine.
Allo scoccare della mezzanotte, James si
è assicurato che
tutti abbiano il loro bicchiere di spumante in mano; sale sul palco
vuoto,
sforzando un sorriso che non si decide ad arrivare mentre osserva
Robert,
Maggie e Chris e pensa ai due posti vuoti al loro fianco. Alza il
calice sopra
la testa.
-Signori!- annuncia.- Per quelli che ci credono e
per quelli
che credono solo nella magia del consumismo…!- declama
stentoreo scatenando un
coro di risate - Tanti auguri di Buon Natale anche quest’anno!
Un’acclamazione disarmonica fatta di
grida e battiti di mani
segue quel brevissimo augurio, la buona parte degli avventori
è ubriaca da ore
ed a James va benissimo così. Ricambia strette di mani,
abbracci e pacche
poderose sulle spalle mentre torna verso il bancone. Rob ha
già vuotato il
bicchiere e Maggie sta servendo lui e se stessa da una bottiglia
decisamente
migliore di quelle distribuite in sala.
Christine tossicchia a disagio, richiamando con
un cenno la
loro attenzione in direzione del bagno. Adam esce dalla porta
guardandosi
attorno per un paio di istanti prima di prendere rapidamente il largo:
cappotto
afferrato al volo da una sedia, auguri scambiati altrettanto
velocemente con il
gruppetto che lo ha
accompagnato ed
approdo sicuro fuori del locale in quattro minuti scarsi.
-Figlio di puttana!- circostanzia Robert,
concludendo con
lui la breve descrizione degli attori principali di quel dramma di
quart’ordine.
Maggie, stavolta, annuisce.
Rob salta giù dallo sgabello. Lascia
il bicchiere sul
bancone e non guarda nessuno. Arriva nel bagno praticamente a passo di
carica;
la zona davanti ai cessi è vuota, da dietro una delle porte
accostate arriva un
suono che tramuta in fretta la sua rabbia in una paura subdola. Si
butta da
quella parte, allungando le braccia per arrivare prima a spalancare il
battente
di legno.
-Cristo,
Brian!-
sfiata.
Lui non risponde. Non si volta neppure. Un conato
di vomito
più forte dei precedenti lo costringe a piegarsi
ulteriormente sulla tazza già
sporca. Robert gli si affianca, scostandogli le mani dal viso per
aiutarlo a
tenere su i capelli mentre finisce di svuotare lo stomaco da tutto
l’alcol che
ha mandato giù.
-Come cazzo è che ti infili sempre in
questi casini…?-
borbotta, guardandolo preoccupato.
-…mmmh…?- bofonchia Brian,
intontito. Striscia lontano da
lui e dalla tazza del cesso, allontanando bruscamente le sue mani da
sé mentre
si sposta e lasciandosi ricadere ad occhi chiusi contro la parete.
-Ce la fai a metterti in piedi? Ti riporto a
casa.- si offre
Rob.
-…sto bene…- Un sussurro
soffocato. Brian si passa la lingua
sulle labbra, storcendo il naso al sapore disgustoso che avverte.- Che merda!- sibila rabbioso.
-Sì, beh, te la cerchi pure, questa
merda! Dai muoviti.-
sbuffa, afferrandolo per un braccio ed aiutandolo a tirarsi dritto.-
Meglio se
te ne vai a dormire e, per oggi, la chiudi qui.
Lui si lascia maneggiare svogliatamente, come una
bambola
rotta. Rob lo riporta in sala stando attento a non richiamare troppo
l'attenzione, ringrazia il cielo quando si accorge che Maggie e James
non ci
sono. Christine li vede arrivare, Brian che barcolla visibilmente,
pallido e sporco,
e Robert che lo sorregge di peso; si sposta senza aspettare che l'altro
glielo
chieda e sparisce nel retro, tornandone con i giubbotti di entrambi i
ragazzi e
la chitarra di Brian.
-Grazie.- borbotta Robert.- No, quella lasciala
qui. Se la
prende domani.- dice accennando alla chitarra.
Chris fa come le ha detto ed appoggia nuovamente
la custodia
dietro la porta del magazzino del locale, aiutandolo poi a rivestire
Brian.
-Ce la fai a portarlo a casa?- gli chiede.
-Ma sì, certo che ce la faccio!
...testa di cazzo.- mormora
ancora a denti stretti, ma con molto più affetto che stizza
reale.
Christine sorride a labbra chiuse, senza
commentare. Tira su
la cerniera del giubbotto di Brian, osservandolo criticamente mentre
scompare
come sempre tra le pieghe di quell'indumento troppo ingombrante.
-Ehi...- sussurra, accarezzandogli gentilmente la
guancia.
Brian apre gli occhi senza metterla davvero a fuoco, il suo sguardo
è appannato
e spaventosamente liquido. Christine sospira.- Sai che così
finirà che ti
ammazzi?
-Magari!- sbuffa Robert, senza pensarlo davvero.
Afferra
nuovamente Brian per il braccio, spingendolo leggermente verso la
porta.-
Questo ammazza prima tutti noi, altro che cazzi!
-Scusa, Chrissie...- sono le uniche parole che
Brian
pronuncia, affranto, mentre incespica in direzione della porta del
locale.
***
25
Dicembre 1995
Un raggio di sole cade perpendicolarmente al
letto e lo
colpisce sulla tempia.
Brian ne deduce che è circa
mezzogiorno, che c'è il sole
anche a Londra e che ieri sera ha dimenticato di chiudere la tenda.
Bestemmia a labbra chiuse, mugolando di dolore
alla fitta
rapida che gli attraversa il cervello quando prova a muoversi tra le
coperte,
in cerca di una posizione che sia più comoda e che,
soprattutto, gli permetta
di sfuggire a quel bastardo raggio
di
sole.
Rumore soffocato sul pavimento coperto dalla
moquette.
C'è qualcuno in camera...
Oscar e Mike hanno il divieto assoluto di entrare
nella sua
camera, che lui sia presente o meno. Si sforza di aprire gli occhi,
soffoca un
grido affondando la bocca nel cuscino; una nuova bestemmia, gira la
testa e
vede una ragazza bionda, carina anche se un po’ sfocata, che
si muove discreta
e silenziosa tra le sue cose. Ci mette qualche istante a riconoscere il
cappotto a quadri ed il visino assorto che si volta verso di lui e lo
fissa
criticamente.
-Chris...- borbotta a quel punto. Non proprio un
saluto, ma
la cosa migliore che sia in grado di tirare fuori al momento.
-Ciao Brian. Sono venuta a vedere come stavi. Ed
a
prenderti.- dice lei.- Sai, siamo a pranzo al pub da Jamie...
-Sì, certo. Che ora è?
-Mezzogiorno ed un quarto.
Annuisce, anche se è una cosa
faticosissima. Come
immaginava.
Si muove cautamente per tirarsi a sedere, lento
ed attento;
scosta di lato le coperte e tira indietro i capelli, rimanendo
impastato con le
dita in mezzo ai nodi che si sono formati durante la notte.
Si sente incredibilmente sporco, ha un sapore
orribile in
bocca e non ha mai desiderato tanto una doccia.
-Mi lavo e mi vesto, ok?- dice, scivolando
giù dal letto.
Christine ha ricominciato a girellare nella
camera, curiosa,
ed annuisce distratta.
-Che carino!- esclama approdando alla scrivania,
alla sedia
che la fronteggia ed al maglione bianco, scollo a V e scudetto rosso,
che c'è
appoggiato insieme con una grossa busta natalizia ancora chiusa.
-E' il regalo di Natale di mio fratello.-
riconosce Brian
brevemente, infilando subito dopo la testa all'interno dell'armadio in
caccia di
abiti puliti.
-E questo?- chiede indicando il pacco.
-Quello dei miei.
-...non lo apri?
-Saranno altri vestiti. E soldi. - la voce di
Brian arriva
soffocata dalle ante doppie dell'armadio antiquato - I miei sono ancora
convinti che io debba morire come un barbone sotto un ponte di Londra a
caso o,
nella peggiore delle ipotesi, finire a fare marchette dalle parti di
qualche
stazione.
Chris ride. Brian emerge da dentro l'armadio
sorridendole di
rimando. Lei gli porge il maglioncino.
-Questo è carino, però. E
scommetto che ti sta bene.
Lui le si avvicina per prendere il maglione.
-Solo perché è di Barry.-
acconsente.
-Ma non gli hai detto del contratto?
-Ai miei?- sbuffa Brian con un sorrisetto tirato-
Sì, ma non
hanno ancora capito che equivale ad un lavoro. Pensano…boh,
non lo so cosa
pensano ed, onestamente, non me ne fotte un cazzo. Vado in bagno. Tu
resta qui,
c’è Oscar in giro ed è un tipo un
po’ inquietante.
-Mi ha aperto la porta.- annuisce Christine.
-Beh, allora lo sai che è un
po’ inquietante.
Dal corridoio, Chris lo sente gridare al
coinquilino di
restare lontano dalla sua stanza e dalla sua amica. Ride. Poi accantona
la cosa
e si guarda attorno in cerca di qualcosa da fare mentre aspetta Brian.
La scrivania ingombra è un richiamo
irresistibile.
Scartabella tra i fogli sparsi, riconosce i primi versi abbozzati di
“Teenage
Angst”, scarabocchiati e pasticciati sul retro di uno
scontrino di un fastfood.
C’è un appunto sul “chiamare
Stef” e, perfino, uno sul “dire a Steve di
giovedì
sera” che deve essere vecchio di mesi…
Brian torna in stanza ripulito e rivestito. Non
si è
truccato e Christine considera che lo preferisce al naturale. Il
maglione
bianco gli sta benissimo. Mentre lui s’infila nel giubbotto,
lei raccoglie la
propria borsa e chiude il cappotto.
-Comunque, auguri!- sorride Brian, scoccandole un
bacio
sulla guancia.
Chris ride.
-Auguri, sì!- sbuffa, dandosi
mentalmente della sciocca.
Arrivano al pub da James facendo tutta la strada
a piedi in
una Londra praticamente deserta. L’aria pungente fa stringere
gli occhi a
Christine, Brian fuma una sigaretta dietro l’altra,
spegnendole nervosamente
ancora prima di averle finite. L’ultima la butta a terra
appena fuori dalla
porta del pub.
-Auguri!- esordisce squillante entrando.
Un coro festoso lo accoglie; Maggie gli offre un
bicchiere
di vino appena arrivano dalle parti della tavolata lunga che James ha
apparecchiato al centro della sala, Rob lo saluta dalla sedia di fronte
e Brian
riconosce l’ultima persona presente e sorride istintivamente.
-Steve!- sbotta entusiasta.
-Oh, Molko.- ridacchia lui in replica.
Prima ancora di rendersene conto ce
l’ha appeso al collo,
festante con un ragazzino che abbia ricevuto un regalo bellissimo.
-Che cazzo ci fai qui, Hewitt?!- indaga
allegramente,
tirandogli uno scherzoso pugno alla spalla subito dopo averlo lasciato
andare.
-…che domanda del cazzo…-
ribatte lui.
-Sai, è comunque mio amico. Anche se
tu lo consideri un
traditore schifoso.- interviene James, ridendo.
-Ehi, io non lo considero…!
-Brian, ieri hai lasciato qui la chitarra.- lo
interrompe
Maggie, dandogli l’esatta misura di quanto agli altri
interessi sapere la sua
opinione circa la fuga di Steve dalla band.
-Ah, sì. Rob, grazie per avermi
riportato a casa.- scorcia
rapido.
-Vorrei non dover replicare stasera, quindi datti
una
regolata.
-Possibile che tu debba essere stronzo anche la
mattina di Natale
e mentre ti sto ringraziando?!
-Se cominciate a litigare, vi butto fuori a calci
in culo.-
li avvisa James, perentorio.
Brian si guarda attorno, scrollando una mano a
fare cenno
che non gliene importa abbastanza.
-Ma Stef?- indaga dopo quell’ispezione
sommaria.- Non è
ancora arrivato?
Il silenzio imbarazzato che cala alla sua
richiesta lo mette
in preallarme.
I ragazzi si guardano tra loro. Alla fine James
sospira e si
decide a spifferare tutto.
-Stef non viene.- annuncia spiccio.
-…perché no? Va dai suoi?
-I suoi sono alle Maldive, Brian!- scocca Rob
astiosamente.
-E allora che cazzo resta a fare a casa da solo?
-Magari non ha voglia di vedere te.- insiste
Robert,
sibillino.
Il secondo silenzio imbarazzato fa aggrottare la
fronte di
Brian.
-…mi spiegate che cazzo succede?!-
scatta alla fine,
esasperato.
-Bene! Eri talmente fatto che non ti ricordi
neppure,
ottimo.- sogghigna Robert.- Olsdal ti ha beccato mentre ti facevi
sbattere nel
cesso dallo stronzo appresso a cui sta smaniando da più di
un mese.- riassume
volgarmente.- Quindi, penso che stamattina ti odi con tutta
l’anima e non mi
sento di dargli torto.
-Stefan ci ha visti?- mormora Brian, impallidendo
visibilmente.
-Ah, no!- corregge il tiro l’altro.- Non eri così fatto da non
ricordartelo.
-Robert, cazzo…- borbotta Steve,
intervenendo a tentare di
mitigare gli animi prima che la cosa degeneri.
Non è necessario comunque. Brian
nemmeno sente il compagno
di band, ruota velocemente su se stesso caracollando nuovamente in
direzione
della porta sotto lo sguardo perplesso degli amici.
-E adesso dove…?!- inizia James
precipitosamente.- Brian! porca
puttana!
***
Stefan ha pensato che Ravel fosse la scelta
migliore per
dare un degno sottofondo musicale ad una rilettura non troppo impegnata
delle
novelle di Conrad, ma adesso deve ricredersi. Ad occhi chiusi segue il
filo
distratto dei propri pensieri sul corso della musica, la testa e la
schiena
appoggiate al muro alle spalle ed il libro aperto posato di piatto
sullo
stomaco. Il suono del telefono lo fa sobbalzare leggermente. Mette via
il
volume continuando a mantenere ostinatamente il segno – ci
infila in mezzo una
matita spuntata prima di appoggiarlo sul comodino – ed a
piedi nudi raggiunge
l’ingresso.
Al sesto squillo il suo interlocutore avrebbe
dovuto
arrendersi, la testardaggine di fondo gli dà un indizio
concreto sull’identità
dello stesso.
-Ciao mamma, auguri.- esordisce quietamente
sollevando il
ricevitore.
-Tesoro, buongiorno!- lo saluta lei, affabile.-
Auguri a te!
Come stai?
-Splendidamente.- mente pigramente Stefan,
osservando
affascinato il piano del mobile all’ingresso
dell’appartamento per rendersi
conto con orrore che uno dei suoi coinquilini ha lasciato lì
ad ammuffire un
mezzo biscotto.- Come va la vacanza?
-Oh, ci stiamo divertendo moltissimo. Tuo padre
è molto
dispiaciuto che tu non possa raggiungerci.
-Le registrazioni…- ribatte distratto.
-Certo, lo capiamo. Come va il lavoro?
-Splen…- s’interrompe. Cerca
di concentrarsi realmente sulla
conversazione ma qualcosa lo distrae. Una busta bianca, con una scritta
blu
illeggibile da quella distanza, è scivolata da sotto la
porta d’ingresso,
planando agilmente a mezzo metro dai suoi piedi.- Siamo a buon
punto…- borbotta
Stefan, allungandosi a raccoglierla.
-Beh, allora potreste pensare di staccare un
po’ e potresti
pensare di prenderti qualche giorno da passare con noi a
Capodanno…- suggerisce
la voce di sua madre, affettuosa.
“Per Stef”.
Apre la busta. Il biglietto di auguri
all’interno è decorato
con due orribili pupazzi di neve ed un alberello che sembra disegnato
da un
treenne ubriaco.
-Mamma, possiamo sentirci in un altro momento? Mi
sono
ricordato una cosa urgente.
Lei gli risponde qualcosa che non sente.
Riattacca. Si
precipita alla porta quasi in un balzo, la mano sul pomello a far
scattare la
serratura interna e poi battente spalancato.
-Brian!- chiama appena si affaccia al
pianerottolo.
Lui è arrivato già a
metà della seconda rampa di scale. Si
volta lentamente. Ha le guance rosse – “il
freddo”, pensa Stefan – e gli rivolge uno
sguardo ostile, mani nelle tasche
dei jeans, giubbotto aperto nonostante il gelo fuori dal palazzo.
-Ciao.- saluta Stef.- Auguri.
-…auguri.- ricambia Brian,
contrariato, smozzicando
quell’unica parola come se gli costasse fatica.
Stefan solleva il biglietto.
-Grazie.
Lo vede stringersi nelle spalle, imbarazzato.
-Ti va di entrare un attimo?
Lo sguardo di Brian, stavolta, è
sorpreso. Forse un po’
diffidente. Non gli risponde, comunque. Fa a ritroso i gradini fino a
raggiungerlo e Stefan si sposta all’interno
dell’appartamento, precedendolo
lungo il corridoio.
-Sei da solo?- chiede Brian chiudendosi la porta
alle
spalle.
-Gli altri sono andati a casa dalle loro
famiglie. Meglio
così, mi aiuta a concentrarmi sul lavoro.
In camera sfila la foto che era dentro il
biglietto. La
mostra a Brian, che arrossisce di nuovo – “no,
non era il freddo”.
La foto li ritrae dopo un’esibizione al
pub da James, Brian
è accaldato, gli occhi enormi con il kajal che ne segna il
contorno, le labbra
disegnate dal rossetto scuro; il trucco risente drammaticamente dei
“postumi”
dell’esibizione. Stefan, alle sue spalle, sorride.
E’ una delle ultime serate prima del
contratto con la
Virgin. Forse la stessa in cui quel talent scout gli si è
avvicinato per
chiedergli di parlare un po’.
-Dove l’hai presa?- chiede Stefan con
un sorriso enorme.
-L’ha fatta Jessie. Me le ha date la
scorsa settimana e le
ho fatte sviluppare. Lo so, fa cagare come regalo.
-Mi piace un sacco. Grazie.
Si volta, va verso la scrivania e prende un
pacchetto rosso
con cui torna nella sua direzione. Brian se lo ritrova tra le mani
senza
capire.
-Auguri.- ribadisce Stefan- E se non hai
intenzione di
scappare a gambe levate tra dieci secondi, sei autorizzato a toglierti
la
giacca.
Non lo fa. Resta immobile nell’esatto
punto in cui lo lascia
per andare a sedersi sul letto. Quando si gira, un istante prima di
piegarsi
sulle ginocchia e lasciarsi cadere sul materasso, lo vede
lì, con le mani
ancora tese, i palmi in su ed il pacchetto proprio al centro.
-A me di Adam non frega un cazzo.- sputa fuori
Brian,
stizzosamente e tutto d’un fiato.
Stefan, perplesso, solleva le sopracciglia. Si
siede.
-Lo so.
-…mi spiace solo che ci hai
visti…- è il mormorio
immediatamente successivo.
-Meglio così che perderci altro
tempo.- scrolla le spalle
Stef.
-E allora perché cazzo non sei venuto
al pub stamattina?!-
scocca Brian rabbioso, sciogliendosi da quella posizione scomoda ed
avanzando
di un passo verso di lui.
Stefan lo guarda stringere convulsamente le dita
attorno al
pacchettino. Brian segue il suo sguardo e si sente in difetto.
-…non…non è
qualcosa che si rompe, vero?- domanda
stupidamente, allentando la presa.
Ed all’improvviso il lato grottesco ed
assurdo di quella
situazione piomba addosso ad entrambi come una secchiata gelida.
Stefan e Brian si guardano in silenzio da sopra
il fiocco
dorato che adorna il pacchetto regalo, non si dicono nulla, sbuffano
identici
sorrisi impacciati che si allargano enormemente e che scrosciano in una
risata
isterica, improvvisa e liberatoria.
-E’ una penna!- confessa Stefan tra le
risate.
-Ok, ok, non si è rotta, allora!-
Brian si lascia cadere di
schianto sul letto, incrocia le gambe sulle coperte ignorando il fatto
che
abbia ancora le scarpe ai piedi. Stefan, del resto, non gli dice nulla.
Posa il
pacchetto accanto a sé senza aprirlo e lo guarda dritto
negli occhi.- Scusami.-
esordisce.
Stefan annuisce. Si allunga a prendere le
sigarette accanto
al libro, sul comodino. Ne prende una, poi le offre anche a Brian che
si serve
dal pacchetto ed aspetta pazientemente che l’altro accenda
per sé e per lui.
-Ad Adam non interesso. Tu sì.
Non dice il resto. Non dice “e tu sei un egoista, narcisista che non sopporta di
essere secondo a
nessuno”. Brian sa che lo pensa, da qualche parte.
-C’era Steve al pub, da Jamie.
-Davvero? Mi sarebbe piaciuto salutarlo.
-Allora andiamo.
-Tra un po’.
Una nuvola di fumo, Stefan allunga il braccio ed
apre uno
spiraglio della finestra perché esca. Si appoggia
all’indietro contro il muro,
si accorge che la musica è finita e c’è
silenzio.
Brian fuma davanti a lui guardandosi attorno,
curioso. Non è
andato a casa di Stefan troppo spesso. All’inizio lui viveva
ancora con i suoi
e si vedevano lì giusto per provare qualcosa al piano, ma
Brian era a disagio
con i genitori di Stefan. Dopo hanno cominciato a beccarsi quasi sempre
in sala
o fuori, al pub o in qualche altro locale.
Devono aver formulato pensieri simili,
perché Brian torna a
rivolgerglisi con quella domanda che spunta praticamente dal nulla.
-Che ne dici se ci affittiamo casa assieme?
Stefan stringe gli occhi e lo fissa.
-…mh?
-Tu ed io, intendo. Lascio
l’appartamento dove sto a
Gennaio.
-Sul serio?! E non ne hai ancora trovato un altro?
Brian fa spallucce. Finisce la sigaretta e si
alza, apre di
più la finestra, schiaccia il mozzicone sul davanzale prima
di buttarlo di
sotto. Stefan butta il suo all’interno di un bicchiere con un
fondo di acqua ed
altri quattro o cinque cadaveri di sigaretta che galleggiano a mezzo.
-Allora?- gli domanda Brian, sedendo sulla
finestra con un
salto.
-E dove vorresti vivere?
-Non lo so. Tu dove vorresti vivere?
-…boh.- scrolla la testa, si
stropiccia un occhio e riflette
sul fatto che ha passato la notte in bianco.- Bri, mi sembra una
cazzata.-
sfiata assonnato.- Come speri di trovare un appartamento per noi in
cinque
giorni scarsi? A Natale! E, poi, con quali soldi vorresti affittarlo?
-Come mi hai chiamato?
Se ne accorge anche lui solo in quel momento. Si
sente a
disagio e spalanca gli occhi, voltandosi frastornato a guardarlo.
-Scusa, io…
-No, sul serio.- lo interrompe Brian
precipitosamente.
Sembra affannato, ma non contrariato, solo sinceramente stupito e
desideroso di
sentirselo ripetere.- Come mi hai chiamato?- insiste.
-…“Bri”. Ma posso
capire se ti da fast…
-Mi piace!- sorride lui,
all’improvviso.
Sorride davvero. Un sorriso ampio, gigantesco,
che lo fa
sembrare un bambino ed illumina il suo sguardo per la prima volta dopo
settimane intere in cui Stefan lo ha visto scontroso, irritabile,
chiuso in un
mondo di preoccupazioni che non ha voluto condividere con nessuno di
loro.
E’ un sorriso contagioso,
perché tira anche gli angoli della
sua bocca e gli fa pizzicare le guance.
-Fa sembrare il mio nome meno stupido!- riflette
ad alta
voce Brian.
-Non hai un nome stupido!- protesta
l’altro.
-Lo dici perché
“Stefan” è un nome fantastico! Ma Brian! è talmente banale che
mi imbarazza.
-A me piace.
-Perché sei una persona buona.
Lo dice sinceramente. Come se fosse una piatta
constatazione
di fatto, come dire che “il cielo è
azzurro”, che “gli uomini respirano
aria”.
Eppure c’è una punta di dispiacere, che stona, sul
fondo, come se quella stessa
constatazione equivalga ad un’ammissione implicita di
difetti. Brian sta
dicendo “non come me”.
E lo sta
dicendo con una rassegnazione razionale che è il suo modo
contorto di scusarsi.
Quello o il presentarsi lì la mattina
di Natale con un
regalo che, apparentemente, non ha alcun valore ma che dice un milione
di cose
tutte assieme.
Stefan immagina ciò che
l’altro ha provato nel ritrovarsi la
loro foto in mano, lo immagina rigirarsela tra le dita, chiedersi un
milione di
volte se fosse il caso o meno di accompagnarla a qualcosa di
più di un
biglietto con una frase di auguri prestampata. Magari una lettera.
Magari il
testo di una canzone. Qualcosa che potesse fare capire
all’altro quello che
avrebbe dovuto leggere nel suo gesto. Ma Brian non è bravo a
chiedere agli
altri di capirlo, anche se ha un bisogno disperato di farsi capire.
-Senti.- chiama Stefan piano.- Volevo dirti
che…di Adam non
mi frega niente e non devi sentirti in colpa. Non ero al pub stamattina
perché
non mi sentivo troppo bene, ma ora sono ok.- inventa.- Anzi,- arrangia
subito
dopo.- facciamo che mi cambio e raggiungiamo gli altri.
-Così saluti Steve!- esclama Brian
sorridendo di nuovo in quel modo lì.
-Così saluto Steve, sì. E
poi do gli auguri ai ragazzi.- Si
alza dal letto, gli ricambia di nuovo il sorriso.- Ma non lo apri, il
regalo?-
chiede indicando il pacchetto sul materasso.
Brian salta giù dalla finestra e
prende il pacchetto,
armeggiando con il nastro dorato.
-Lo apro, lo apro! Grazie!- ridacchia imbarazzato.
-Bri…-lo assapora in punta di lingua.
Si rende conto di
quanto facilmente ci si possa abituare a chiamarlo così,
specie se quando si
volta a guardarti ha quegli occhi enormi da ragazzino felice addosso e
ti fa
sembrare che le cose debbano andare per forza bene. Quantomeno
perché ne vale la pena,
di farle andare bene.-
Se vuoi, ci cerchiamo quell’appartamento.- dice.
“Teenage
Angst”
MEM
2013
Nota
della Nai:
Oooh!
Avevo voglia di scrivermi la fic di Natale.
Avevo
voglia di scrivermi una fic di Natale sui Baby Placebo.
…qui,
praticamente, neonati.
Chiaramente
non ho idea di quando si siano concluse le registrazioni di
“Placebo” –
presumibilmente non a Gennaio del 1996, ma per quanto ne so potrebbe
anche essere
così. Né mi fregava di documentarmi al riguardo.
La storia si svolge a Natale
del ’95 e ve la beccate così
com’è! Questa non è una democrazia!
*si
gonfia come un tacchino*
La
sottoscritta non ci ha inteso del Molsdal – nonostante la
sottoscritta intenda
del Molsdal in qualsiasi cosa, compreso il fondo del proprio
caffè quando è
particolarmente in vena di romanticherie – ma per me potete
leggerci quello che
più vi aggrada. Brian e Stefan sono il Bene in qualsivoglia
salsa. Anche quando
il primo è uno stronzetto egoista ed il secondo un povero
coglione.
Robert
Shultzberg è il disgraziatissimo “primo”
batterista dei Placebo.
In
realtà non era affatto il primo
batterista dei Placebo, perché il primo
batterista dei Placebo è stato Hewitt. Ma Hewitt
mollò la band prima del
debutto, per cui loro presero questo povero conterraneo di Stefan che
sopravvisse…Natale e Santo Stefano, appunto! XD
I
Placebo e le problematiche con i batteristi…mmmmh. Junior,
guardati le spalle!
(in ogni senso…)
Detto
tutto questo, vi faccio tanti, tantissimi AUGURI di Buon Natale!
Spero
che sotto l’albero Babbo Natale vi porti gioia,
serenità e la soddisfazione di
tutti i vostri giusti desideri.
Spero
che l’Anno Nuovo sia per voi bellissimo e luminoso e che
qualsiasi problema si
risolva e vi dia la possibilità di sorridere alla Vita con
tutto il cuore.
Un
abbraccio enorme e tanti dolcetti alla cannella per tutti!
MEM
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