C'è
una donna, nella stanza. Fissa il vuoto davanti a sé, senza
vedere
nulla.
È
bella, anzi bellissima, nonostante al momento sia pallida come un
cadavere. La sua veste ricca e fine è ormai
irrimediabilmente
rovinata dal sangue sgorgato dalla testa malamente recisa che ancora
tiene in grembo. Le ci sono voluti due colpi di scimitarra per
decapitarlo. Dalla mano sudata scivola a terra l'arma, ma i tappeti
attutiscono il rumore. Il corpo dell'uomo giace poco distante,
scomposto sulle pellicce sporche.
La
sua ancella la scuote, invitandola ad andarsene in fretta. La donna
sembra accorgersi solo allora della testa mozzata e la sposta via con
disgusto. La testa rotola sul tappeto e gli occhi neri di Oloferne
sembrano scurtarla dall'inferno. Improvvisamente le arriva alle
narici una zaffata di piscio che proviene dal cadavere dell'uomo.
Prima
di seguire la sua ancella, la donna si gira di lato e vomita l'anima.
Note
al capitolo:
Questo
vuole essere una rivisitazione del racconto biblico (Libro di
Giuditta 13, 4-10).
I
cambiamenti riguardano principalmente le reazioni di Giuditta, ovvero
il suo stato di shock e il conato di vomito, che ovviamente non sono
contenute nella Bibbia ma mi sembrano adatte alla situazione.
Il
capitolo ha partecipato al contest "Opere d'arte in frasi" di
Jo_gio17 e ha vinto il Premio Speciale Jo_gio.
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