StAge 1
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"It's a coffee day..."
La campanella che segnò la fine delle lezioni fu accolta da
tutti con un gran sospiro, seppure la prof. di latino ancora stava
finendo l’ultimo rigo del passo di Cesare che stava spiegando.
-Traduzione e analisi, più le pagine relative agli excursus
del De Bello Gallico –
Fu l’assegno, preso diligentemente solo da pochi,
poiché il brusio dei ragazzi aveva già preso il
sopravvento sulla calma voce della professoressa.
Non ci volle molto per uscire da quelle quattro opprimenti pareti grige
e scoprire che pioveva leggermente. Eccola spiegata tutta quella
confusione che ancora sostava sotto la parte coperta davanti
l’ingresso dell’Istituto.
Ma man mano fluì via anche quella.
Ben presto si aprirono ombrelli di varie dimensioni e di colori vivaci
e gruppetti di ragazzi cominciarono ad allontanarsi, mentre
c’erano quelli che tentavano una corsa da velocista per
arrivare al bar vicino evitando di bagnarsi troppo.
In realtà c’era anche qualcuno che camminava
tranquillo sotto la pioggia, soltanto con passo affrettato,
ma senza alcuna preoccupazione per il cappuccio tirato sulla testa che
si stava zuppando pian piano.
Una ragazza bassina, una figurina quasi insignificante in mezzo a tutti
quei gruppetti. Gli occhi abbassati a terra, a schivare come poteva le
pozzanghere che irrimediabilmente si formavano sulla pavimentazione
lievemente avvallata. Qualche ciocca castana e riccia spuntava ai lati
del collo da sotto al cappuccio, ma lei la ributtava subito indietro.
Aveva un’espressione ferma sul viso. Forse un po’
indecifrabile. O forse era tutto dovuto al capo chinato a guardare a
terra. Però nei suoi occhi c’era un misto di
pacata calma e forse un po’ di stizza.
Il passo che portava sembrava proprio tipico di chi misurava tutto
nella propria vita, di quelli che si progettano ogni momento della
giornata di ogni mese. E forse quella sedicenne non l’aveva
per niente messa in conto quella pioggia improvvisa. Forse se
l’avesse prevista, avrebbe avuto anche lei il suo piccolo
ombrello.
Ma sembrava importare poco.
D’un tratto alzò il passo.
I goccioloni divennero più grandi e freddi, fitti. E la
figurina prese la strada verso il bar del vicolo.
**
Bar Vico.
Così citava l’insegna fissata a muro sulla porta a
vetri con intelaiatura di legno vecchio.
O anche detto bar del vico, perché lì nessuno lo
chiamava bar Vico. Anche i clienti abituali si limitavano a una
perifrasi ogni volta che dovevano indicarlo; risultato? Il bar era per
lo più sconosciuto ai molti che quotidianamente affollavano
il “bar della piazzetta” e il “bar vicino
al ponte”.
E infatti si notava benissimo che l’insegna in penombra era
sporca e nerastra, i muri su cui si apriva l’entrata piccola
un po’ scrostati e con qualche scritta.
Ma la piccola figurina non badò a questo.
Forse per la pioggia, che aveva cominciato a cadere più
fitta e tamburellante, forse perché poco le importava, si
infilò senza soffermarsi un momento lì fuori,
aprendo la porta dai vetri quadrati e lievemente smerigliati e
chiudendosela dietro.
In realtà l’interno era molto più di
quanto ci si potesse immaginare.
L’ambiente non era molto ampio, anzi togliendo i giri di
parole, il bar era minuscolo.
Il bancone di fronte l’ingresso e tavolini per due, massimo
quattro persone, affiancati sotto le pareti laterali e assiepati
davanti al bancone.
Tutto con uno strano sapore d’antico, di vecchio far west:
come l’intelaiatura della porta, sia il bancone, che i
tavolini erano in legno scuro, pesante, ma ben lucido; perfino il
lampadario a lanterna sembrava uscito da uno di quei film western,
assieme alle mensole lignee dietro il bancone dove stavano ben ordinate
bottiglie strane e una miriade di bicchieri e tazze.
Ma il tocco moderno c’era, eccome se c’era. Eppure
si sposava perfettamente con quell’arredamento coutry. Le
sedie di metallo satinato e argentato con un design da far venire
l’idea del comodo al sol guardarle, gli sgabelli al bancone
col piede sempre di metallo argentato con la seduta di gomma morbida
color verde foresta, i decori di filo metallico sempre colorato
d’argento sullo zoccolo del bancone, uguali ai fronzoli che
si attorcigliavano sui piccoli applique a mezza luna di vetro satinato,
che spandevano sulle pareti gialle una luce calda e soffusa, a
illuminare i tavolini che il lanternone centrale non riusciva a
raggiungere.
Solitamente era vuoto, vista, come si è già
detto, la sua poca fama.
Ma nei giorni piovosi i bar erano sempre più affollati e il
bar Vico non faceva eccezione.
Fatto stava che la ragazza, dopo un rapido sguardo attorno, rimpianse
di essersi attardata sotto la tettoia. Magari se non avesse perso
l’autobus, ora sarebbe già stata di ritorno a
casa, ma sostanzialmente con quella pioggia si sarebbe fatta un bagno.
Quindi con passo cadenzato, si avvicinò al bancone, visto
che i pochi tavolini erano per lo più tutti occupati.
E poi sedersi a un tavolo da sola le dava fastidio con quella gente che
stava invece assiepata.
Si scelse lo sgabello più isolato e più lontano
dal centro e si tolse il giubbotto bagnato, poggiandolo sullo sgabello
di fianco, l’ultimo della fila, quasi sotto al muro.
Si mise comoda, ad attendere. Tanto il prossimo autobus passava fra
quaranta minuti. Che fretta c’era?
-Toh! Niente libro oggi?-
La ragazza, che aveva pressoché lo sguardo fisso e perso su
un’interessante bottiglia dal collo torto che le stava di
fronte sulla mensola, socchiuse gli occhi, per poi riaprirli e guardare
in direzione del barman, nonché gestore. Aveva
già capito dalla voce che non si trattava del signor Piero,
ma del suo scapestrato figliolo, che in quel momento, dopo averla
chiamata, stava servendo un paio di caffè.
Il tempo di ritornare dietro il bancone, che il ragazzo si
avvicinò a lei, poggiando i gomiti e i bracci sulla
superficie e incurvando le spalle, tendendosi verso ella con un sorriso
a mo’ di ghigno buono.
-Allora, Fla-fla, caffè macchiato anche oggi?-
Riprese, fissandola.
La ragazza lo guardava con un non tanto amichevole cipiglio.
Non che non lo sopportasse, ma quel ragazzo a volte le pareva peggio di
un’erbaccia, irritante e persistente. Aveva i capelli biondi,
il figlio del gestore, scarmigliati e corti, non si capiva se fossero
lisci o ricci, di un colore strano per quella zona, biondo spento,
biondo cenere; occhi grigi e affilati, sottili. Volto scarno, zigomi
alti; era sugli uno e settanta circa:uno e trenta d’altezza,
più quaranta di stoltezza e aveva ventidue anni, laureato da
poco.
Eh, sì, una vera eccezione tra i giovani del paese: si era
laureato nei tre anni, ma come se fosse stato contagiato
d’improvviso dalla sfortuna, gli era morta la madre e lui
s’era rifiutato di prendere una specializzazione che
l’avrebbe portato via dal padre e dal fratellino, distrutti
dalla recente scomparsa.
Così una testa geniale come un laureato in biotecnologie
avrebbe dovuto essere, si era trasformata pian piano, fino al risultato
che ora Flavia Iori si trovava davanti.
Gianni Rolano e il suo sorriso da deficiente.
-Succo d’ananas, grazie-
Rispose con voce quasi sibilante la ragazza, accentuando il suo
cipiglio.
Cosa che fece capire al biondo che quell’oggi era meglio non
scherzare con la piccola liceale, e smorzò il suo sorriso.
Le diede per un attimo le spalle, poggiò davanti a lei sul
bancone un bicchiere in vetro colorato alto e doppio, poi prese il
succo richiesto dal frigo-perché sapeva che alla ragazza le
cose troppo fredde non piacevano- e glielo versò tutto nel
bicchiere.
Flavia ringraziò con un cenno del capo, mentre agguantava
piano il largo bicchiere e se lo portava alla bocca.
Gianni la vide bere un piccolo sorso, poi distolse lo sguardo da lei e
parlò.
-..strano, sai..solitamente quando piove prendi sempre il tuo
caffè, Fla-fla..-
-..oggi il sonno mi è passato-
Interruppe gelidamente la ragazza, poggiando il bicchiere ancora mezzo
pieno sul bancone. Gianni a quel tono tornò a guardarla e le
fece un sorrisetto sarcastico.
-Mamma mia che caratterino oggi, eh!!?-
-..invece tu sei troppo allegro-
Il tono della ragazza era divenuto quasi lapidario e Gianni
sentì crollarsi la noia addosso.
-Perché non dovrei esserlo?Oggi ci sono più
clienti del solito..-
-..Infatti è quasi pieno…-
Fece Flavia guardandosi attorno. Gianni seguì il suo
sguardo, per poi tornare sulla ragazza che ora fissava persa la porta,
attraverso la quale si vedeva la pioggia cadere letteralmente a
catinelle.
-..non mi piace quando piove…-
Aggiunse Flavia con un fil di voce, tornando poi al suo succo,
bevendolo a piccoli sorsetti.
Gianni si ricordò che con i ragionamenti della ragazza
valeva la proprietà transitiva.
Ergo..
-Ergo questo posto ti piace solo quando è deserto..-
Fece, con tono un po’ scocciato, interrotto però
da un cliente. Il biondo si volatilizzò subito verso la
cassa. Ordinazione pagamento e saluti ed era già di ritorno.
Flavia continuava imperterrita a far piccoli sorsi del suo succo. Il
ragazzo la guardò quasi annoiato.
-Non posso mica mandar via i clienti per far contenta te,
nhè!!-
Proruppe d’un tratto, allungando fugacemente la mano e
tuffandola fra i capelli riccioluti della ragazza, a scompigliarli.
Flavia poggiò il bicchiere oramai vuoto sul ripiano e lo
fulmino con un’occhiataccia, evadendo da
quell’eccessiva effusione da parte del biondo.
-Ma che ti prende oggi?-
Fece, alquanto irritata, mentre il barman ritirava la manina
incriminata. Se la nascose come un bambino dietro la schiena e
girò gli occhi metallici all’insù,
allontanandosi di un passetto indietro dalla ragazza.
-Toh, toh, dovrei chiedertelo io, sai?Sei più irritata del
solito, Fla-fla. In meno di una giornata ti sei trovata il fidanzato e
ci hai pure litigato? –
Buttò giù il biondo con espressione quasi
gioconda, mentre la ragazza avrebbe voluto mangiarselo con gli occhi,
sperando di riuscir davvero a farlo scomparire dalla sua vista.
Ma così non fu, altrochè!Gianni, messa su una
faccia da paparazzo incallito, le si avvicinò di nuovo e
mormorò come avido di informazioni:
-Com’è la storia, dimmi, dimmi..-
E in risposta non ebbe che un ben architettato coppetto dietro la nuca
dalla ragazza, più che stufa del suo comportamento immaturo.
-Ahia, Flà, mi hai fatto male-
Fece a mo’ di scusa il barista, mentre si era di nuovo
allontanato dalla ragazza e in contemporanea si massaggiava la nuca
offesa.
Vide la ragazza che ad occhi socchiusi riagguantava la tracolla e il
giubbotto. Aprì con eleganza la suddetta e dopo qualche
minuto tintinnarono sul legno lucido delle monete.
Gianni le guardò un po’ imbronciato.
-Il caffè lo offre la casa, lo sai-
Fece mentre Flavia si sistemava il giubbotto sulle spalle, ancora
umido. Era di un bel grigio argenteo.
-Oggi non ho preso il caffè-
Fece, puntando gli occhi castani e scuri in quelli metallici del
biondo. Erano entrambi seri e la ragazza spinse gli spiccioli verso il
ragazzo. Questi poggiò la propria mano su quella di Flavia e
la respinse indietro, sorridendo biricchinamente.
-Ma oggi è il giorno del caffè, o sbaglio?-
E Flavia lo guardò un attimo interdetta. Poi scosse la testa
lievemente, facendo dondolare i ricci con riflessi dorati.
Un’ombra di sorriso le passò sulle labbra.
-Grazie-
Mormorò soltanto, prima di infilarsi gli spicci in tasca e
scendere dallo sgabello, la tracolla in una mano. Si diresse verso la
porta, infilandosela e quando fu sulla porta, una mano sulla maniglia,
l’aprì, mentre con quella libera faceva un cenno
di saluto al biondo, impegnato con un cliente.
Quando il campanello risuonò e la porta si richiuse, Gianni
guardò oltre i vetri la piccola figurina argentea
allontanarsi in fretta sotto la pioggia.
-Quant’è, allora?-
Si fece avanti alla cassa un ragazzo, che il barman vedeva per la prima
volta lì. Aveva la faccia simpatica, occhi scuri e capelli
corti e color mogano scuro, forse resi più scuri e
più scomposti dall’acqua presa prima.
Gianni fece un cenno d’accordo e prese gli ordini del tavolo
dove si era seduto con un altro.
-4.75€-
Disse monotematico, staccando lo scontrino e dandolo al moro, che si
stava rivoltando le tasche in cerca degli spiccioli. Sopraggiunse da
dietro l’altro con cui si era fermato.
-Fabrì, mi paghi tu, che te li do a casa? Ho preso i
biglietti, prima e ho finito i “liquidi”-
Disse l’amico, dalla faccia simpatica anche lui. O meglio a
Gianni così parevano la maggior parte dei suoi clienti.
Questo però ispirava più simpatia
dell’altro: aveva i capelli ricci ricci, portati abbastanza
lunghi da parere un cespuglietto, di un colore che forse poteva andare
dal biondo scuro al castano miele, chiaro, non si vedevano poi
così bene, coperti per metà dal cappuccio del
giaccone; portava gli occhiali e per questo il colore degli occhi era
difficile da definire: scuro, molto probabilmente.
-E quando mai, Alessio, ti porti un po’ in più?
Comunque, ecco-
E poggiò nel piattino di plastica gli spicci precisi.
-Grazie, ragazzi, arrivederci-
-Prego, prego-
Fece quello che aveva pagato.
-Arrivederci!-
Aggiunse l’amico riccioluto da dietro.
Gianni non ebbe neanche il tempo di mettere nella cassa i soldi, che i
due già stavano sulla porta.
Stavano parlottando, mentre il ragazzo moro si aggiustava il giubbotto
sulle spalle.
-Se perdiamo l’autobus, restiamo a piedi e senza pranzo, che
oggi non passa nemmeno tuo padre-
-Eh, sì-
Assecondava l’altro, rimanendo immobile.
Si guardarono di rimando come incantati. Poi peggio, d’aver
preso una secchiata d’acqua fredda, si mossero dalla loro
improvvisa stasi.
-Alè!!Ma che mi combini!Perdiamo l’autobus!-
-Sì, sìsì!-
E frettolosi uscirono aprendo l’ombrello e ficcandovisi sotto.
Gianni sorrise scuotendo la testa. Proprio due tipetti particolari.
Ma dopotutto quello era un giorno di pioggia. E i giorni di pioggia
erano sempre i più interessanti: uno, perché il
bar era sempre un po’ più pieno di gente diversa e
due, perché era il giorno del caffè della piccola
Flavia.
E ripensando alla ragazza, il biondino fece un altro dei suoi
sorrisetti deficienti, che facevano tanto sciogliere le papere e le
oche, canticchiando un motivetto messo su con quelle poche parole che
gli erano venute in mente.
-“It’a coffee day, It’s a coffee day my
little…dududuhduhhh…”-
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Come dice il titolo, "StAge
1" completato!La recita è iniziata, ognuno ai propri posti,
ragazzi! Qui non siamo neanche scesi sotto il livello del mare: siamo
ancora sulla parte dell'iceberg che spunta in superficie.
Un capitolo per lo più di presentazione, per lo
più di riflessione. Torna in scena la protagonista del
prologo, anche se c'era l'idea di non farla apparire fin da subito..ma
poi mi è venuta la scena del bar, ed ecco qui!!
A proposito, voglio i vostri pareri su Gianni: vi piace il barman
biricchino??
In ogni caso, ringrazio tanto Zerby, che è stata per adesso
l'unica a commentare: sono davvero contenta che il prologo ti abbia
incuriosito e spero che questo primo cap. ti soddisfi in egual
modo!Grazie ancora!
Un grazie anche a chi ha letto soltanto, spero di poter presto leggere
anche i vostri commenti!
Byez, vedrò di aggiornare quanto presto!!
You'll comment, if you want...
ColdFire§
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