Apri i tuoi occhi e guarda; puoi vedere
C A P I T O L
O U n
i c o
“ Apri i tuoi occhi e
guarda;
puoi vedere „
H
iccup aveva il viso costellato di così tante lentiggini da
sembrare un piccolo universo concentrato in una persona sola. Le sue
iridi parevano aver intrappolato tra le loro pieghe il più
fitto dei boschi, con le sue più svariate sfumature del
verde e ogni incredibile colore della natura rigogliosa – con
i suoi
suoni, addirittura, o così le pareva quasi.
L'espressione
sul suo volto era costantemente dominata da un sorriso un po' incerto ma
pienamente sincero –
caratterizzato principalmente dalla grandezza dei suoi denti che, anche
se di poco,
superava i canoni standard – e lei, guardandolo,
non riuscì a fare a meno di ricambiare quel gesto
così dannatamente amichevole e rassicurante. Avrebbe voluto
abbracciarlo, ridere con lui e parlare, parlare e ancora parlare.
Parlare di come facessero le stelle a brillare senza stancarsi mai, di
come facesse il cielo ad essere così limpido e puro, di cosa
si potesse provare nel camminare a piedi nudi sull'erba. Parlare di
tutto perché, con lui, sentiva che avrebbe potuto farlo, che
avrebbe potuto capirla e insegnarle qualcosa in più di quel
che già da sola aveva imparato – tramite i suoi
libri,
quelli che avevano regalato alla sua fantasia sempre un motivo in
più per sognare e sperare.
Eppure Hiccup non era l'unica persona con cui avrebbe voluto parlare,
perché l'inarrestabile fuoco presente nel mare degli occhi
di Merida, al suo
fianco, le trasmetteva una passione per la vita incontrollabile, una
voglia implacabile di affrontare il mondo e di vincerlo, di scalare
intere
montagne per poter bere dalle cascate più fresche e
incontaminate,
dove solo i più coraggiosi si avventuravano – dove
solo chi
voleva esistere davvero sarebbe potuto andare. Ed era così
fiero lo sguardo che ostentava, fiero e felice come mai ne aveva visti,
ribelle,
esattamente come i fulvi e lunghissimi ricci dei suoi folti capelli
–
indomabili e straordinari, esattamente come lei.
E poi c'era lui, lui che con quel suo semplice
guardarla in modo tanto malizioso quanto confidenziale l'aveva
conquistata – con quella scintilla briosa racchiusa nei laghi
di
ghiaccio che erano i suoi occhi.
La curva delle labbra di Jack nascondeva un piccolo risolino
accantonato nell'angolo destro, e lei adorava quella sua smorfia
apparentemente cinica ma che, in realtà, sapeva essere calda
e
genuina, se la si sapeva interpretare – e lei ci riusciva,
perfettamente.
Lui era l'inverno e così voleva continuare a vederlo; con la
brina insensatamente incollata sui suoi abiti, i piedi scalzi per
godersi il gelo che gli apparteneva, per poter sentire qualcosa di
tattile con la neve che portava, che domava – schiava a lui e
lui
soltanto.
Non glielo avrebbe detto mai, probabilmente, quanto avrebbe voluto
volare lontano assieme a lui, per scoprire quanti brividi
può
contenere anche solo un singolo istante, quanta meraviglia si potesse
racchiudere in un semplice ricordo – e lui era certa fosse la
persona
che, più di tutte, sarebbe stata in grado di farglielo
capire,
di accompagnarla nel più meraviglioso dei viaggi che mai
avrebbe
potuto fare.
Jack era Jack, Jack era l'unico
e non avrebbe saputo dipingerlo meglio, per riproporre la sua intera,
splendida essenza, così come non avrebbe potuto fare
diversamente per Merida e Hiccup.
Loro tre erano speciali, loro tre erano la sua piccola cerchia di
persone importanti ed era contenta che, d'ora in avanti, li avrebbe
avuti costantemente accanto a lei, perennemente vicini – e
nessuno
glieli avrebbe portati via, perché non avevano prezzo che li
eguagliasse.
Col pennello ancora in mano e la pelle sporca di colori, sorridente
restò a guardare per diversi altri secondi quel suo nuovo e
fresco dipinto, sperando, per un istante, che tutti e tre saltassero
improvvisamente fuori dalla semplicità di quel disegno e
prendessero vita.
F
I N E
»
N O T E
A U T R I C E
;
Non c'è nulla da
dire, questa volta. A voi i pareri, io sto già soffrendo per
conto mio.
©
a u t u m n
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