Capitolo I
Il Paradisium
I riflessi
della luna serpeggiavano tra gli edifici, creando a terra numerosi
giochi di luce. Blueville era semplicemente un sogno, gli edifici
fatti in zaffiro, la popolazione unicamente femminile, odore di dolci
e pane a qualunque ora del giorno e della notte, feste su
feste...eppure mancava qualcosa.
Sharon guardava
il cielo stellato sdraiata sul tetto di casa sua, ma non era solo il
cielo ad attirare la sua attenzione, erano anche le luci di Rhapsody.
Rhapsody era
una città, era la città in cui Sharon avrebbe voluto
vivere, crescere, combattere, il suo sogno più grande era
quello di frequentare il Paradisium, una “scuola” per
imparare le arti del combattimento e sviluppare doti nascoste da
usare poi per difendere il mondo dei Nephilim.
Ma il suo sogno
non si poteva avverare, nonostante lei fosse una Nephilim l'ingresso
alla città di Rhapsody era severamente vietato alle donne.
“Sharon
sei qui sopra?”.
Una voce dolce
accarezzò l'orecchio di Sharon, facendola risvegliare dai suoi
sogni.
“Lara, mi
cercavi?” disse dolcemente la ragazza mettendosi a sedere e
invitando l'amica a sedersi affianco a lei.
Lara era la
migliore amica di Sharon, l'unica che forse la capiva davvero. Era
una ragazza alta sul metro e settanta, lunghi capelli rossi e morbidi
le ricoprivano la testa per poi ricaderle sul volto e sulle spalle,
occhi blu come il mare, la pelle chiarissima era punteggiata da
piccole lentiggini che le davano un leggero rossore sulle guance.
“Volevo
stare un po' con te, posso?” chiese la ragazza in tono dolce
mentre si avvicinava a Sharon e le si sedeva accanto.
“Vuoi
parlarmi di Rhapsody, vero? Quello che ti ho detto insomma ti
ha...disturbato?” chiese Sharon quasi riluttante a pronunciare
quelle parole.
Lara esitò
un momento prima di rispondere, si guardò le mani affusolate
stringere la maglietta poi il suo sguardo si spostò su Sharon
che la guardava con i suoi grandi occhi verde chiaro misto a un
azzurro leggero.
“Non puoi
andare a Rhapsody...” iniziò Lara, ma a metà
frase un nodo alla gola le impedì di andare avanti e le
lacrime cominciarono a rigarle il volto poi singhiozzando cercò
di continuare “Lo sai anche tu che sei ci andrai, non tornerai
mai più indietro”.
Sharon allungò
una mano per cercare di accarezzare l'amica ma si ritrasse prima di
poterlo fare. Infondo Lara non aveva tutti i torti, andare in quella
città senza permesso della Corte Elie era come andare al
patibolo.
“Lo so, è
una pazzia me ne rendo conto. Una volta lì però, potrò
avere una possibilità...anche se mi dovesse andare male non ho
nulla da perdere” il tono di Sharon tremava e le sue mani
anche, l'unica cosa che le riusciva era guardare l'amica piangere.
“Non hai
nulla da perdere!? E io? Hai mai pensato a come starei senza di te!?”
gridò improvvisamente Lara buttandosi sopra Sharon e
cominciando a tirarle pugni sul petto.
Il suo corpo
era caldo e tremava nelle sue braccia mentre la luna le illuminava
debolmente.
“Hai
ragione scusami...ma tu sai meglio di me che devo farlo” Sharon
distolse lo sguardo da Lara e lo rivolse al di là delle luci
di Blueville per intravedere ancora il Paradisium, o meglio la vetta
illuminata.
Ci fu un lungo
attimo di silenzio poi Lara alzandosi sorrise debolmente e iniziò
a parlare asciugandosi le lacrime.
“Lo
sapevo, non hai cambiato idea. Almeno lascia che ti aiuti a
raggiungere il tuo scopo”.
“Cosa
intendi fare?” chiese incuriosita Sharon fissando il suo
sguardo in quello della ragazza.
“Scendi e
vai in camera tua, prepara le tue cose e quando hai finito torna qui.
Ho una sorpresa per te”.
La ragazza non
se lo fece ripetere due volte e dopo pochi minuti era di nuovo sul
tetto con una valigia e un cappotto nero in mano, Lara era seduta sul
cornicione e guardava il vuoto che presto si riempì della
sagoma di Sharon.
“I tuoi
genitori sarebbero fieri di te...anzi in preda all'ansia” un
sorriso si dipinse sul volto di Lara, un sorriso sincero.
Sharon aveva
perso i genitori all'età di tredici anni in un raid e adesso
che ne aveva diciotto il ricordo era ancora vivido e il dolore sempre
presente, l'unico parente che le era rimasto era uno zio nella città
di Peck che si era preso cura di lei per soli tre anni imparandole le
tecniche di combattimento basilari, poi venne ucciso anche lui.
“Essere
dei Nephilim comporta delle scelte, molte delle quali fatali”
sussurrò piano Sharon avvicinandosi all'amica.
“Tieni”
Lara le stava porgendo un sacchetto di seta e una lettera rilegata
poi sorridendo aggiunse “Sono il mio regalo per te, buon
compleanno Sharon Clair”.
Sharon sorrise
e prese il sacchetto e la lettera ma prima che potesse aprire
quest'ultima, Lara la fermò.
“No,
aspetta! La lettera, aprila solo quando io non sarò con te”
disse con un tono tremolante e incerto la ragazza coprendosi le
guance rosse.
“Come
vuoi, e il sacchetto?”.
“Aprilo”.
Sharon aprì
il sacchetto e quando ne cacciò il contenuto per poco non urlò
di gioia, una pietra verdastra e dalla forma squadrata scintillava
debolmente nelle sue mani.
“Una
pietra incantata! Come hai fatto ad ottenerla?! Solo le fate ne
possiedono una” senza accorgersene Sharon stava gridando mentre
guardava ancora la pietra nelle sua mani, incredula.
“Segreto”
bisbigliò Lara soffocando una risata.
“Tu lo
sai che queste pietre ti permettono di esaudire un desiderio...vero?”
chiese Sharon guardando Lara con espressione incuriosita.
“Certo,
sapevo che non avresti mai abbandonato la tua scelta, così ti
ho semplificato le cose. Con questa potrai ritrovarti direttamente
dentro Rhapsody, senza attraversare tutta Blueville e il bosco che
separa le due città” spiegò in tono trionfante
Lara mentre si alzava e stringeva Sharon in un abbraccio caloroso.
“Non so
come ringraziarti”.
“Lo sai
come puoi ringraziarmi? Vai a Rhapsody e fai in modo che la Corte ti
faccia restare, altrimenti non tornare” il tono di Lara era
fermo e deciso come i suoi occhi fissi in quelli dell'amica.
Dopo che Sharon
ebbe abbracciato e salutato Lara si allontanò un po' da lei e
prese la pietra in una mano, alzandola al cielo.
Desidero
andare a Rhapsody, al Paradisium. Lo desidero con tutto il mio cuore.
Un
alone bianco avvolse la ragazza e una specie di fenice con le ali
spalancate apparve dietro di lei sollevandola da terra sotto gli
occhi increduli di Lara.
Sharon
poteva sentire l'aria che si spostava sotto il battito delle ali
della fenice, mentre la figura di Lara si allontanava, piccola e
fragile com'era nel buio della notte.
Quando
Sharon si risvegliò era riversa a terra, sul marmo ghiacciato.
Un dolore acuto le proveniva dal ginocchio destro. Cercò di
mettersi in piedi ma quando ci provò una fitta lancinante le
percosse la schiena facendola ricadere a terra, notando una leggera
chiazza di sangue sotto il ginocchio.
Girò
lentamente la testa, cercando di non urlare dal dolore e si guardò
intorno. Non poteva dire dove si trovava, forse la pietra l'aveva
portata davvero a Rhapsody o forse l'aveva lasciata in qualche città
sperduta, non c'era mai da fidarsi con i congegni delle fate.
La
sua valigia e il suo cappotto erano buttati a qualche metro di
distanza da lei, che in quel momento e nelle sue condizioni
sembravano chilometri. La città che la circondava era come
Blueville, solo che gli edifici non erano in zaffiro, erano di un
materiale che Sharon non riusciva a decifrare tutto bianco con
qualche sprazzo di oro.
Alzò
di più lo sguardo scoprendo la struttura che aveva davanti, il
fiato le si smorzò in gola per lo stupore.
Una
torre di cristallo si ergeva al centro di tutta la struttura e da
essa partivano scale (sempre di cristallo) che si andavano ad unire
con i vari edifici vicini. Quattro edifici ai lati della torre
completamente bianchi si andavano espandendo in sinuose curve e
rientranze, i cornicioni delle finestre in stile gotico erano d'oro e
a circondare gli edifici c'era un prato all'italiana, perfettamente
curato e illuminato da dei lampioni che buttavano una luce argentata
sulla stradina di ghiaia e sui cespugli. Sharon restò per un
momento a contemplare la bellezza di quel luogo, mai si sarebbe
aspettata che un edificio potesse essere così bello.
La
ragazza strisciò verso le sue cose ancora distanti e si mise
il cappotto addosso poi prese la valigia e si avvicinò
all'enorme cancello che sembrava fatto in oro. Una scritta in latino
serpeggiava al lato del cancello. Paradisium.
E' davvero
il paradiso questo.
Sharon
nonostante fosse una Nephilim, non aveva mai creduto in un paradiso,
né in un inferno, né in un esistenza di un Dio.
Sono
veramente a Rhapsody...
Un
dolore indescrivibile alla nuca la fece girare di scatto, e quando si
girò vide un ragazzo che la guardava con un aria sorpresa
quanto disgustata in volto.
Il
cuore di Sharon ebbe una fitta e il terrore la pervase, il ragazzo
torreggiava davanti a lei con un pugnale in mano, i riflessi della
luna facevano sembrare i suoi capelli oro e i suoi occhi verdi freddi
e senza vita.
“Cosa
diavolo ci fa una ragazzina al Paradisium?” il tono del ragazzo
era freddo e tagliente e da come parlava sembrava non provare nessuna
emozione, il che fece gelare il sangue nelle vene di Sharon.
La
ragazza non riuscì a spiccicare parola, un nodo alla gola le
impediva anche di respirare.
“Ti
ho chiesto, cosa ci fai qui” il ragazzo adesso sembrava
leggermente alterato.
Sharon
fece per parlare ma si fermò, che cosa doveva dire? Per quale
motivo si trovava lì? Non lo sapeva nemmeno lei in fondo era un
desiderio, un istinto.
Il
ragazzo si inginocchiò e si ritrovò alla stessa altezza
di Sharon, solo che lui le stava puntando un pugnale alla gola.
“Te
lo ripeto per l'ultima volta, umana. Cosa ci fai qui?” il suo
tono tagliente era ormai diventato insopportabile.
“Umana?”
ripeté Sharon con una punta
di incredulità nella voce, poi continuò “Io non
sono umana. Sono una Nephilim”.
Il
ragazzo fece una smorfia divertita e per poco non scoppiò a
ridere, ma si trattenne e spostò il pugnale più vicino
al collo di lei, giusto per accarezzarne la pelle bianca.
“Non
sembri una Nephilim. Quelle poche che ho visto erano magnifiche, tu
non sembri nemmeno paragonabile a loro, e non ti sto facendo un
complimento sia chiaro.”.
Sharon
si sentì ribollire il sangue per la rabbia, non sarà
stata certo una modella ma non era nemmeno una ragazza brutta.
“Cos'è
ragazzino hai problemi a relazionarti con le donne?” la voce
della ragazza era tagliente e questo le provoco una piccola punta di
sicurezza.
“E'
proprio questo il problema, sei una donna. Non dovresti stare qui, se
non te ne vai immediatamente chiamerò la Corte Elie e poi
saranno guai per te”.
“Toglimi
quel pugnale dal collo” bisbigliò Sharon infastidita.
“Non
prendo ordini da una donna”.
Con
un rapido movimento del braccio, Sharon fece cadere il pugnale a
terra nonostante gli costò uno sforzo incredibile.
“Io
non vado da nessuna parte, e non prendo ordini da te” mormorò
la ragazza scostandosi un ciuffo di capelli biondo cenere che le
copriva gli occhi.
“Come
vuoi, vado a chiamare la Corte. Sarebbe inutile dirti di rimanere
qui, tanto non puoi muoverti con quella caviglia rotta” disse
con un leggero divertimento nella voce il ragazzo mentre spariva nel
cancello dorato.
Sharon provò
ripetute volte ad alzarsi o a strisciare verso un riparo ma la sua
caviglia gli e lo impediva, anche solo un movimento la faceva
piangere di dolore.
Restò
ferma aspettando la Corte, giocando pigramente con la punta del suo
cappotto, mentre il cuore le martellava in petto.
Dopo una
ventina di minuti, Sharon alzò gli occhi verso il Paradisium e
vide avvicinarsi a lei quattro sagome. La sagoma che guidava il
gruppo portava un lungo mantello blu notte lucido con un cappuccio
abbassato sul viso facendo intravedere solo il pizzetto biondo e le
labbra piegate in una smorfia di disappunto, due figure in quelle che
sembravano armature con in mano una alabarda lo fiancheggiavano
tenendo lo sguardo dritto. E per ultimo c'era il ragazzo che aveva
incontrato prima e col quale aveva avuto un piacevole chiacchierata.
Appena il
gruppo la raggiunse, i due uomini con in mano le alabarde gliele
puntarono addosso intimandole di non muoversi.
“Come
posso muovermi se ho la caviglia rotta, geni?” disse
infastidita Sharon mentre guardava ostile il ragazzo che sembrava non
notarla.
“Taci”
disse in tono limpido l'uomo incappucciato, la sua voce era rauca ma
potente oltre che molto autoritaria.
Fece un gesto
con le mani e i due individui con le armi le abbassarono, mettendosi
di nuovo ai fianchi dell'uomo.
“Come ti
chiami?” chiese l'uomo con un tono più docile.
“Sharon
Clair, e faccio parte della Contea di Jevith...vengo da Blueville”
mormorò piano la ragazza mentre fissava l'uomo incappucciato.
“Clair,
sei la figlia di Jeremy quindi. E cosa fai tu qui?”
il suo tono era improvvisamente tornato freddo e gelido.
“Desidero
frequentare il Paradisium, ecco perché sono qui.”.
Ci
fu un lungo momento di silenzio e i due uomini con le armi in mano
sgranarono gli occhi e soffocarono una risata, mentre l'uomo
incappucciato fece diventare le sue labbra una linea sottile.
“E'
inconcepibile una cosa del genere! Hai infranto le regole della
Corte, per questo verrai esiliata nel mondo degli umani!” gridò
l'uomo stringendo così tanto i pugni lungo i fianchi da far
diventare le nocche bianche, poi come se tutta la rabbia di quel
momento fosse sparita aggiunse “Ti guariremo la caviglia, e poi
questa notte stessa verrai portata nel mondo degli umani. E' uno
scandalo che una ragazzina voglia frequentare il Paradisium!”.
L'uomo
incappucciato si inginocchiò e passò una mano davanti
al viso di Sharon che ebbe un giramento di testa così forte
che la fece svenire, ancora.
Un
forte profumo di cannella fece risvegliare Sharon, era distesa su un
lettino dalle coperte azzurre con le cuciture argentate, davanti a
lei un ragazzo stava leggendo un libro.
Era
moro e aveva gli occhi socchiusi, come chi si sta per addormentare
dalla noia, la sua pelle era abbronzata e luminosa e attraverso la
leggera camicia bianca che portava si potevano intravedere i
pettorali scolpiti.
“Buongiorno”
sussurrò il ragazzo sbadigliando, senza sollevare gli occhi
per vedere se lei era sveglia o meno.
“Sono
in un ospedale umano?” chiese Sharon facendo finta di non aver
sentito il ragazzo.
“Per
fortuna no, sei ancora al Paradisium. Non ti hanno potuto mandare via
perché dormivi come un ghiro, comunque spero che tu sappia
lavare, mi hai sbavato l'intero cuscino” disse in tono morbido
e avvolgente il ragazzo che aveva finalmente alzato gli occhi
rivelandoli dorati.
Sharon
guardò il cuscino, era veramente sbavato, sentì il
sangue fluirle sulle guance e abbassò lo sguardo.
“Sei
sicura di essere una ragazza? Le ragazze non sbavano in quel modo”.
Il
ragazzo della sera prima era sulla porta con un sorrisino accennato
mentre si dirigeva verso l'altro ragazzo seduto.
“Daniel,
smettila di essere cosi poco...galante” disse piano il ragazzo
seduto, scostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi.
Il ragazzo che
l'aveva aggredita si chiamava Daniel e visto ora alla luce, la sua
bellezza era da mozzare il fiato, ma anche il ragazzo seduto non
sfigurava affianco a lui.
“Uh, ma
allora i tuoi capelli sono biondi e non grigi” disse divertito
Daniel.
Sharon scorse
la sua figura allo specchio, i lunghi capelli biondo cenere di solito
pieni di boccoli erano ora arruffati e appiccicati alla nuca dal
sudore, i suoi occhi sul verde che tendeva all'azzurro erano
assonnati e gli abiti della sera prima erano spariti e lasciavano
spazio a una camicia da notte azzurra che le arrivava a metà
coscia, la ragazza trasalì e un brivido la percosse.
“Chi mi
ha cambiata!?” gridò imbarazzata Sharon coprendosi le
gambe nude con la coperta.
“Io,
perché ti crea problemi?” rispose Daniel guardandola di
sottecchi.
“Se mi
crea problemi!? Sei un ragazzo!” esclamò la ragazza
lanciando al ragazzo la sveglia affianco al letto.
“Non vedo
ancora quale sia il problema, tu lo vedi Artes?” disse
tranquillamente Daniel evitando la sveglia e rivolgendosi al ragazzo
seduto che osservava la scena con vivo divertimento.
“Sinceramente,
preferirei restare fuori da questa situazione, sai non voglio una
sveglia in faccia” rispose Artes con un tono tranquillo e
pacato.
Un bussare
insistente alla porta fece zittire i tre ragazzi che si girarono a
guardare cinque uomini incappucciati entrare nella stanza e fermarsi
a metà di essa, uno di loro aveva una specie di falce in mano
e questo ricordava a Sharon le raffigurazioni pittoresche della
morte.
“Alzati,
Sharon Clair” ordinò l'uomo incappucciato con la falce.
La ragazza fece
come le fu detto e si alzò, notando con piacere che la sua
caviglia non era più rotta.
Mi
uccideranno? Mi sembra esagerato per aver infranto delle regole e
aver sbavato su un cuscino.
L'uomo
le lanciò con forza la falce, aspettandosi che Sharon si
spostasse per evitarla, ma la ragazza non si spostò di un
centimetro e con grazia e agilità afferrò la falce
facendola girare intorno alla sua figura snella per poi piantarla nel
parquet della stanza.
“Cosa
significa questo?” tuonò l'uomo che le aveva lanciato
l'arma.
“Se
non lo sa lei, come posso saperlo io?” ribatté Sharon
soddisfatta di quella ''esibizione''.
“Chi
ti ha insegnato questo?” chiese gentilmente l'uomo con il
pizzetto biondo e la bocca leggermente curvata in su, in un sorriso.
“Mio
zio, venuto a mancare qualche anno fa. Viveva nella città di
Peck” rispose la ragazza facendo finta di non avvertire la
piccola fitta al cuore, che le era venuta ripensando allo zio.
“Maicol
Clair, c'era da aspettarselo da una stirpe di Nephilim agguerriti
come loro. Desideri veramente restare al Paradisium e frequentarlo?”
chiese beffardamente un incappucciato restato in silenzio fino ad
allora.
“Si,
lo voglio” rispose secca Sharon fissando gli uomini.
“Allora
dovrai superare una piccola prova, dovrai combattere contro il qui
presente Daniel e sconfiggerlo, solo allora ti accoglieremo nella
nostra città e
scuola” sentenziò l'uomo col pizzetto biondo.
Un
leggero sorriso si dipinse sul volto di Sharon e dopo qualche secondo
di silenzio rispose “Ci sto”.
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