Yuletide
Disclaimer:
SHERLOCK è della
BBC.
Yuletide
“Non
m'interessa quanto noioso o
stupido ti possa sembrare. L'albero c'è e si fa.”
Sherlock
fece per ribattere ma John lo
zittì all'istante.
“Non
una parola, Sherlock.”
Questo
sbuffò ma tacque, sedendosi sul
tappeto del salotto a gambe incrociate con un movimento fluido che
John, neanche nei suoi giorni migliori – anche prima
dell'Afghanistan – avrebbe mai potuto eguagliare. Il dottore
rivolse uno sguardo divertito all'altro, contento di essere riuscito
a farsi obbedire – anche se forse la definizione aveva
un'implicazione un po' troppo cinofila – dal consulente
investigativo. Sapeva che Sherlock non amava i festeggiamenti
ufficiali di alcun tipo, ma John aveva bisogno di vedere le luci a
intermittenza, i regali sotto l'albero, vischio e agrifoglio a
decorare l'appartamento. Gli davano un senso di sicurezza e
normalità
in una vita che non aveva nulla di normale ma alla quale non avrebbe
mai rinunciato. Ed era proprio questo il bello: perdersi in faccende
domestiche di mera utilità per poi precipitarsi di corsa
fuori di
casa per seguire il criminale di turno.
“Hai
sbagliato” lo raggiunse dopo
un po' la voce di Sherlock mentre John stava cercando di montare
l'albero sintetico che aveva acquistato la settimana precedente.
“Cosa?”
domandò l'uomo stupito.
“I
rami. Quelli con la striscia verde
sono più grossi e vanno attaccati sotto, sopra quelli con la
striscia bianca.”
John
osservò i rami e si rese conto
che avevano una piccola etichetta che li contraddistingueva.
“Più
che un albero sembra un mobile
dell'IKEA” commentò il dottore “Ma era
il più economico che
c'era.”
“Potevi
spendere di più, se proprio
ci tenevi tanto...”
“E
correre il rischio di vedere
decine di sterline fuse in un ammasso di plastica, luci e regali
perché un qualche esperimento è andato storto?
No, grazie...”
rispose John divertito riuscendo a strappare un lieve sorriso al suo
coinquilino.
Ci
vollero dieci minuti abbondanti
prima che John riuscisse a fissare le viti del supporto e incastrare
tutti i rami nel posto giusto, ma alla fine in mezzo al salotto di
Baker Street troneggiava – più o meno –
un alberello di Natale
sintetico alto poco più di un metro e dieci con i rami un
po'
spelacchiati. Oh, era anche storto.
“Bello”
fu il commento caustico di
Sherlock.
Per
una volta John non se la sentì di
contraddirlo.
“Lo
diventerà” rispose il dottore
“Prova luci!” e così dicendo prese una
scatola di cartone da cui
estrasse una matassa di filo elettrico che richiese diversi minuti di
lavoro prima che fosse completamente districata. Ovviamente Sherlock
non alzò un dito per aiutarlo, anzi. Rimase a guardare John
divertito mentre l'uomo cercava di liberare le luci senza rimanere
incastrato nel filo. Quando finalmente trovò la spina, la
inserì
nella corrente e sorrise soddisfatto nel vedere che c'era solo
qualche lampadina bruciata, ma nulla di più.
“Dammi
un mano.”
“No.”
John
sbuffò e si avvicinò a Sherlock
che, ancora seduto sul tappeto, non aveva smesso di guardarlo e
ridere sotto i baffi. Il dottore trascinò l'alberello
malandato
davanti all'uomo mentre legava in qualche modo il filo in cima, dove
poi avrebbe dovuto mettere il puntale.
“Fai
ruotare la base dell'albero. Io
sistemo le luci.”
“Noioso...”
“Almeno
terrai le mani impegnati per
tre minuti. Su, gira!”
Sherlock
sbuffò ma fece quanto John
gli aveva ordinato, alzando gli occhi al cielo ogni volta che l'altro
gli intimava di fermarsi per riuscire a sistemare meglio le luci in
modo da riempire gli spazi che erano stati lasciati vuoti.
“Ok!
Direi che con le luci ci siamo”
disse John soddisfatto ammirando il suo operato “Ora, le
palline!”
fece poi porgendo a Sherlock una scatola di palline rosse e oro.
“Cosa
dovrei farci?”
“Appenderle?”
gli rispose John
evitando di commentare quanto quella domanda fosse stupida. Era
già
tanto che in qualche fosse riuscito a coinvolgere il suo coinquilino
in un'attività così banale e noiosa, non voleva
mandare tutto
all'aria. E poi fare l'albero con qualcuno aveva sempre avuto il suo
perché. Quando era piccolo lo faceva con sua madre e sua
sorella e
passavano tutto il tempo a raccontarsi storie, improvvisando voci di
personaggi da loro inventati... poi era cresciuto e il Natale aveva
perso la sua magia. Baker Street però gli aveva fatto voglia
di
ricominciare a festeggiare - nonostante un coinquilino che poteva
benissimo decidere di appendere bulbi oculari ai rami... John era
abbastanza sicuro che più di tanto non si sarebbe
né sorpreso né
sconvolto. Dopo i resti umani nel frigorifero e nel microonde,
trovare dei bulbi oculari sull'albero sarebbe stato il minore dei
mali. Se non altro non erano vicini a cose che mangiava.
“Lo
sai che il davanti dell'albero lo
sto decorando io, vero?” gli fece notare dopo un po' Sherlock
mentre appendeva svogliatamente le palline di plastica sui rami
sbilenchi.
John
si fermò per un istante guardando
il suo lato di albero per osservare il suo coinquilino.
“Giriamolo”
decise velocemente il
dottore. E meno male. Già quell'albero aveva visto giorni
migliori... le mani di Sherlock diciamo che non lo stavano
necessariamente aiutando a far risaltare i suoi lati migliori.
“C'è
un buco” disse il John
osservando il lato che stava decorando Sherlock.
“Eh?”
“Qui
sotto...” fece l'uomo
indicando una sequenza di rami privi di qualsiasi decorazione.
“Noioso”
rispose Sherlock alzandosi
facendo svolazzare i lembi della vestaglia mentre girava a piedi nudi
per tutto il salotto - fortuna che non c'erano palle di vetro
–
finché non raggiunse la scrivania davanti alla finestra dove
trovò
il suo violino. Dopo essersi accertato che strumento fosse
debitamente accordato, Sherlock impugnò l'archetto e con un
ritmo
lento e dolce iniziò a suonare quella che John riconobbe
essere O
Christmas Tree.[1]
Ironico, ma la cosa lo
fece sorridere. In un modo del tutto personale e anticonformista,
Sherlock ci stava mettendo del suo... e forse tenerlo lontano dalle
decorazione non era così un male. Non che John se la cavasse
molto
meglio, ma se non altro finì l'albero in tempi decenti e lo
posizionò dietro le poltrone accanto alla presa della
corrente in
modo che luci colorate potessero risplendere e illuminare il salotto.
Visto che la scatola delle decorazioni natalizie era ancora parecchio
piena, l'uomo decise di mettere un cappellino da Babbo Natale su
Billy – Sherlock era girato di spalle e non poteva vederlo...
forse
– e attaccò qua e là qualche ghirlanda
di agrifoglio di plastica
e delle pagliette dorate in modo che dessero un'aria più
natalizia a
Baker Street. Faceva il tutto un po' a pugni con la carta da parati,
ma Sherlock non se ne sarebbe di certo lamentato, anzi. Sarebbe
già
stato tanto se si fosse accorto di qualcosa, perso com'era nel suo
Palazzo Mentale mentre eseguiva, uno dopo l'altro, brani natalizi
più
o meno conosciuti. Nulla che metteva in risalto la sua bravura come
musicista – perché se c'era una cosa che non
poteva di certo
negare era la musica meravigliosa che Sherlock era in grado di
suonare con il suo violino – ma che creava atmosfera. Se non
fosse
stato patetico – e se Sherlock si fosse quanto meno preso il
disturbo di ascoltarlo – John l'avrebbe anche ringraziato, ma
non
era necessario. Sherlock probabilmente aveva già dedotto i
suoi
ringraziamenti.
Con
calma il
dottore si diresse in cucina e mise a bollire un po' d'acqua... un
tè
sarebbe stata un'ottima idea, ma visto che erano almeno un paio di
giorni che Sherlock non toccava cibo, John preferì prendere
due
tazze e versarci della cioccolata in polvere. Quando l'acqua
bollì
iniziò a mescolare il contenuto, mettendo qualche dito di
latte,
giusto per rendere la bevanda più corposa e saporita e
aggiunse un
cucchiaino di zucchero in quella per Sherlock (probabilmente il
consulente investigativo era in grado di reggersi in piedi nonostante
i suoi ritmi folli proprio grazie alle quantità di zucchero
che
ingeriva ogni volta che beveva tè o caffè).
L'uomo
prese le due tazze e tornò in salotto dove Sherlock stava
continuando a suonare, riempiendo la stanza con le note di Silent
Night[2].
A John piaceva osservarlo mentre stava davanti alla finestra,
muovendosi leggermente a ritmo della musica, facendo danzare le dita
e l'archetto sulle corde del violino. Sembrava così...
normale. Il
dottore arricciò il naso: normale era una definizione che
non gli
piaceva anche perché era una parola che mai e poi si sarebbe
adattata a Sherlock, eppure in quei frangenti non poteva fare a meno
di pensare che mentre suonava sembrava una persona come tante intenta
ad allietare l'orecchio dell'ascoltatore con qualcosa di banale ma
che John sospettava fortemente stesse eseguendo solo per fargli
piacere. Il dottore appoggiò la cioccolata di Sherlock sulla
scrivania accanto al computer sapendo che sarebbero passati almeno
altri dieci minuti prima che l'altro mettesse da parte il violino e
accettasse la calda – anche se forse per allora non
più –
bevanda. John fece il giro della poltrona e andò a sedersi
su uno
sgabello davanti alla finestra mentre Sherlock continuava a suonare
alle sue spalle, a occhi chiusi. Il dottore prese un sorso di
cioccolata e guardò fuori, osservando le luci dei lampioni
farsi
sempre più brillanti nel buio della sera che oramai era
diventata
notte. Peccato solo per la mancanza di neve che avrebbe dato
un'atmosfera del tutto diversa, ma visto il clima era già
abbastanza
raro che gelasse, figurarsi nevicare.
Come
previsto, dopo qualche minuto, le note di Silent
Night
scemarono e
John sentì Sherlock
appoggiare con cura il violino sulla scrivania e prendere la tazza di
cioccolata con entrambe le mani per riscaldarsi le dita che si erano
raffreddate a furia di stare ferme o muoversi solo quel minimo
necessario. John non si girò, rimase lì davanti
al vetro della
finestra con la sua cioccolata quasi finita a osservare il riflesso
di Sherlock che si portava la tazza alle labbra per prenderne un
sorso. Lo vide incurvare leggermente le labbra in uno di quei sorrisi
che Sherlock era solito fare quando l'altro gli dava qualche
soddisfazione – come quella volta a Baskerville quando aveva
fatto
valere la sua autorità di capitano dell'esercito - ignaro
del fatto
che John li contasse e custodisse preziosamente il ricordo di ognuno
di essi.
Il
dottore appoggiò
la tazza sul pavimento – l'avrebbe raccolta il giorno dopo
– e si
stiracchiò, inarcando leggermente la schiena indolenzita dal
freddo
e piegando il collo da un lato e dall'altro per distendere i muscoli
irrigiditi. Si stupì quando dopo poco sentì delle
dita fredde
andare a sfiorargli la pelle della nuca, facendo una lieve pressione
su un paio di nervi che ogni tanto gli dolevano. Abbassò le
braccia
e si girò verso Sherlock che stava osservando la strada e il
palazzo
di fronte a loro senza però accennare a voler interrompere
il
contatto con la sua pelle. Era una sensazione piacevole ma che gli
metteva i brividi. Per quanto spesso e volentieri Sherlock lo
toccasse, erano sempre circostanze particolari e –
generalmente –
anche sempre pericolose... mai e poi mai si sarebbe aspettato un
avvicinamento volontario da parte dell'uomo. John chiuse gli occhi e
si godette il momento; Sherlock gli stava dedicando la stessa
riverenza che era solito utilizzare per il suo violino eppure c'era
qualcosa di stranamente intimo in quel tocco che però
nemmeno John
voleva s'interrompesse. Di norma avrebbe reagito scostandosi
infastidito con quel tipico aplomb britannico a cui ricorreva ogni
volta che sentiva in imbarazzo, ma in quel momento gli sembrava tutto
così... normale. L'ultimo aggettivo che ogni altro essere
umano
dotato di un minimo di buon senso avrebbe utilizzato, ma d'altronde
quando c'era di mezzo Sherlock era prassi andare contro corrente,
anche – o forse soprattutto - nella scelta degli aggettivi.
Sherlock
però non
smise di guardare fuori dalla finestra e sorseggiare la sua
cioccolata, incurante dei movimenti di John dato che, per il momento,
quello non aveva ancora cominciato a dare segni d'insofferenza.
Continuò a premergli le dita sui muscoli del collo
sentendolo
tremare leggermente., ma non se ne stupì... in fondo gli
infissi non
è che fossero propriamente nuovi e il salotto era invero una
delle
stanze più fredde di tutto l'appartamento.
Toccare
John era
una sensazione strana. Non che non l'avesse mai fatto, ma in quel
momento non lo stava facendo girare su sé stesso per
aiutarlo a
focalizzare il messaggio in codice scritto con antichi numeri cinesi
o non lo stava aiutando a liberarsi di una carica di esplosivo nel
suo giubbotto. Forse quello era modo che aveva scelto per dirgli
grazie. Non era una parola che Sherlock amava usare,
ma ogni
tanto John gli faceva venir voglia di dirglielo. Forse John avrebbe
saputo spiegargli anche il perché, ma Sherlock non aveva
assolutamente intenzione di metterlo a conoscenza di quella
riflessione... c'era il rischio che la cosa lo facesse sembrare
troppo umano.
Senza
accorgersene
le sue lunghe dita scivolarono leggermente oltre l'orlo del maglione
di John e Sherlock lo sentì chiaramente sospirare,
nonostante
l'altro avesse cercato di dissimulare la cosa con uno sbadiglio.
Sherlock
interruppe
il contatto con la pelle di John all'istante e si chinò a
terra per
raccogliere la tazza che l'altro aveva appoggiato sul pavimento prima
di dirigersi a grandi passi verso la cucina e appoggiare le tazze nel
lavandino e aprire il frigo.
“Ah,
John...”
disse Sherlock dopo un po' sporgendosi in salotto richiamando
l'attenzione del medico che gli rivolse uno sguardo serio.
“Sì?”
domandò
John cercando di non ridere davanti all'immagine di Sherlock con un
paio di baffi bianchi lattiginosi sulle labbra
“Abbiamo
finito
il latte.”
John
alzò gli
occhi al cielo e sbuffò prima di avviarsi all'ingresso per
indossare
la sua giacca pesante controllando di avere con sé chiavi e
portafoglio e uscire nella fredda Baker Street alla ricerca di un
mini market aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Non poteva di
certo lasciare Sherlock senza latte.
Note
dell'autrice:
[1]
O
Christmas Tree per
violino,
per i più germanici meglio conosciuta nella versione
originale come
O
Tannebaum.
[2]
Silent
Night per violino.
Non
è molto da me scrivere oneshot
fluff prettamente a tema – soprattutto natalizie –
ma mi sono
divertita a immaginare come John avrebbe convinto Sherlock ad
aiutarlo ad addobbare l'albero. Ultimamente traduco troppo e scrivo
troppo poco, ho cercato di togliere un po' di ruggine...
Il
titolo significa Yule Time,
ovvero l'equivalente pagano germanico del Natale.
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