Risveglio
Forse stringevo la mano di una ragazza prima che tutto accadesse. Ero
più alto ed era più alta la gente che mi circondava. Mi
trovavo in un luogo familiare, ed era lì che quella ragazza era
al mio fianco. Eravamo seduti su delle classiche sedie di legno, di
quelle che si usano a scuola. Io avevo la sua mano abbracciata alla mia
su di un tavolo, e lei sembrava molto più che bella.
All'improvviso, però, un vortice dalla velocità
impressionante seguito da salti temporali attraverso dimensioni che
temporali non erano: un turbinio di viaggi nell'immenso imbuto
dell'Essere. Continuò per quei due millenni che noi umani
chiamiamo secondi, finché tutto ciò che ero diventato in
quello spazio onirico si condensò in due unici fori. Fui
risucchiato in due portali che avevano il compito di insegnarmi la
verità, solo due fessure in bilico tra il buio e la luce.
Fu così che le palpebre si spalancarono e i miei occhi si
aprirono.
La stanza era buia, ma non troppo, e opaca. Avvertivo una spiacevole
sensazione di disagio nel tastare le coperte in disordine e i miei
capelli scompigliati. Avevo assunto una scomoda postura nel sonno, a
causa della quale il pigiama mi scopriva alcuni lembi di corpo
infreddoliti e in bocca avevo quel sapore acre tipico di chi si
è appena destato. Palpai il comodino più volte alla
ricerca del cellulare e, ua volta trovato, lo accesi per controllare
che ore fossero. Non mi piaceva alzarmi troppo tardi nella mattina, ma
con i ritmi vacanzieri non si può fare altrimenti. Quando lo
schermo cominciò a illuminarsi e a mostrare i suoi colori,
sentii in lontananza, fuori dalla mia finestra, il suono delle campane
del convento che si trova alla fine del mio quartiere e, oltre il
quale, c'è solo aperta e sognante campagna. I rintocchi stavano
a segnare il preciso mezzogiorno, così come il numero che lessi
sul display (12:00 precise), e lo sguardo accompagnò con
perfetta concomitanza l'udito.
Mi alzai dal letto con gli occhi increspati, il fiato pesante, il naso
chiuso e, soprattutto, la mia folta, irsuta e bionda chioma sparata
verso l'alto in tornadi di sconclusionati capelli. Tentai di
aggiustare la loro posa con le mani, ma emisi un sonoro sbuffo di
malcontento al sol pensiero di dover impiegare parte del mio faticoso
tempo per far assumere loro una sembianza quantomeno presentabile.
Benedetta maledizione, quella di lasciare che i propri capelli
crescano. La pigrizia è il solo e vero nemico.
Aprii la porta per accedere alle altre stanze della mia casa,
cosicchè da essere investito da numerosi raggi di luce,
dimenticati fino a pochi secondi prima. Così posi un'altra
tessera per costruire il gracile domino della mia esistenza.
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