Ciao a tutti!
Una piccola flash scritta di getto, sull'onda del sentimento - ho visto
'Frozen', oggi, e mi è rimasto dentro con forza, con
prepotenza, prima di tutto per la bellezza dei colori e delle canzoni,
ma anche perché raramente si trovano delle protagoniste
così sole. Voglio dire:
persino Rapunzel, che non era neanche mai uscita dalla sua torre, non
era così tanto segregata. Elsa, che pure ha visto qualcosina
del mondo esterno, è ancora più rinchiusa,
perché la vera prigionia l'ha dentro, la vive; Rapunzel si
proietta fuori, sogna il mondo esterno, Elsa chiude volontariamente le
porte e si nasconde al mondo, nel buio. Rapunzel è
più come Anna, che non molla, e ha una spinta vitale.
Comunque, ciancio alle bande, a cosa serve
questa piccola flash? A niente, non serve a niente, però
partecipa alla I edizione del Muse Contest indetto, giustappunto, dalle
Muse, e niente, ecco quel che ho provato a buttar giù. Spero
vi piccia.
Un bacione ghiacciato,
Maiwe
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A Elsa non piaceva guardare la pioggia cadere
fuori dalla finestra. Non le piaceva stare a guardare i vetri rigarsi
di gocce d'acqua, perché, seduta sul pavimento, la schiena
contro la porta della stanza, le ricordava che fuori c'era un mondo e,
nonostante tutto, il tempo continuava a scorrere.
A Elsa non piaceva la pioggia perché
cadeva troppo rumorosamente; la neve, invece, la neve era morbida, non
faceva clamore quando cadeva, era proprio come lei: invisibile, non
emetteva alcun suono, e rendeva tutto il resto del mondo ovattato, come
chiuso in un velo di silenzio. Proprio come lei, che sentiva il mondo
scorrere al di là della porta chiusa.
Un mondo che produceva suoni ovattati, lontani,
distanti. Freddi, di stanze vuote.
Elsa, quando era in camera sua, e ci stava gran
parte della giornata, quantomeno non era obbligata a portare i guanti.
Ecco perché dal soffitto pendevano gocce di cristallo, e le
pareti erano ricamate di fiocchi di neve, in un mosaico di frammenti di
ghiaccio sottile come lame, un esile strato che la faceva vagamente
sentire al sicuro, protetta.
“Elsa? Mi senti?”
Anna era tornata a bussare alla porta, e le vibrazioni di quel piccolo
battere erano tornate a loro volta a scuotere le spalle della sorella
maggiore, rannicchiata per terra, senza parlare.
“Elsa, ti va di giocare?”
Ma Elsa non rispondeva. E se, aprendo bocca, le fossero uscite parole
di ghiaccio? Elsa preferiva il silenzio. Se chiudeva gli occhi, se li
strizzava forte come aveva imparato a fare, e attendeva, Anna si
sarebbe stancata di chiamarla e se ne sarebbe andata.
Elsa voleva bene ad Anna.
Ma Anna non poteva capire; aveva perso la
memoria.
Era per il suo bene, se non le parlava nemmeno.
Ecco perché Elsa, la figlia maggiore
del re e della regina di Arandelle, la principessa primogenita, Elsa la
bella, Elsa la brava e silenziosa bambina che doveva vivere dietro le
porte chiuse, era stata allontanata dalla sorella, segregata per
proteggersi persino da se stessa.
Anna non capiva. Anna non poteva capire.
Anna avrebbe imparato a convivere col silenzio,
ce l'avrebbe fatta.
“Elsa, dài, ti va di
giocare a scivolare per il corridoio?”
Non che fosse impossibile, a palazzo ci avevano
già fatto l'abitudine da un pezzo, al silenzio.
I cancelli erano stati chiusi, non si vedeva un
ospite da giorni, mesi – o forse anni. I domestici? Si
affacciavano alla porta delle loro stanze e poi sparivano. E le porte
venivano di nuovo chiuse.
Elsa si sentiva in esilio.
Ma non provava rancore.
Solo rammarico. Il suo maledetto potere era
imprevedibile e incontrollabile, enorme e potente. Avrebbe anche potuto
creare una scala e fuggire dalla finestra, uno scivolo fatto di
ghiaccio, e volare via, dove non si sarebbe sentita giudicata e
additata, nascondersi dove non avrebbe più dovuto
nascondersi a nessuno.
Ma non lo faceva, non lo avrebbe fatto neanche
quella volta.
Perché?
Perché fuori pioveva, quel giorno,
ecco perché, e lei avrebbe involontariamente trasformato le
gocce di pioggia in cristalli, avrebbero potuto ferire qualcuno; sapeva
che non era vero, ma non volle provare lo stesso.
Avrebbe potuto crearsi delle ali di cristallo,
e volare davvero, via, lontano.
Ma si sapeva, i mostri non avevano mai le ali
belle, e non le usavano per scappare.
Elsa si sentiva un vero mostro, che faceva male
alle persone, e per evitare che l'additassero come tale, ecco che se lo
diceva da sola.
“Elsa, perché non mi
parli?”
In realtà, Elsa sapeva benissimo di
avere solo paura.
“Elsa...”
Si alzò e andò al
davanzale della finestra, ghiacciandone il bordo. Il ghiaccio si
arrampicava lungo gli angoli, in un sottile strato di fredde fiamme
azzurre, bianche e blu, e non c'era niente che la principessa amasse di
più di quella sensazione.
Sua sorella stava di nuovo infilando i piedi
sotto la porta, nel tentativo di aprirla.
Ecco che adesso, invece, si chinava per
guardare, prima da sotto e poi dal buco della serratura.
Anna forzò la maniglia della porta,
ma nessun suono provenne dall'interno neanche quella volta.
Demoralizzata, mollò la presa, e la maniglia, con un lento e
silenzioso scatto, tornò al suo posto, imperterrita.
Anna prese a correre lungo il corridoio,
domandandosi cosa avesse fatto di sbagliato. Elsa era perfetta, lo
sapeva, lei doveva sposare un principe o un re e diventare regina.
Ma le persone perfette non giocavano mai?
Perché le persone perfette dovevano stare sempre da sole, in
silenzio, e smettere all'improvviso di fare pupazzi di neve con le
sorelle piccole?
Anna non era perfetta. Anna inciampava e cadeva
e a tavola non sapeva stare composta, metteva i piedi sulla sedia, lei,
e parlava tanto, parlava tantissimo, così tanto che le
stanze si riempivano di suoni. Anna si domandò se non
stessero cercando di far diventare perfetta anche lei, chiudendo non
solo una porta, ma addirittura tutto il regno, e non facendola
più uscire a giocare con Elsa.
Anna passava le giornate a guardare i grandi
quadri delle grandi stanze vuote del suo grande castello, parlava con
loro, si inventava conversazioni e storie, ma neanche i quadri le
rispondevano.
I quadri stavano in silenzio e guardavano la
pioggia scorrere fuori dalla finestra bagnando i vetri e scivolando
via, libera e rumorosa come solo la pioggia sapeva essere.
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