Quante
possibilità esistevano di
sposarsi? Di sposarsi davvero?
Quante
possibilità esistevano,
all'atto pratico, di riuscire nell'intento?
Non ne avevo idea. Sapevo
solo che
avevo passato gli ultimi otto anni della mia vita a domandarmelo. No,
forse sette.
Forse sei.
In ogni caso, era certo
che, negli
ultimi quasi-otto anni, avevo speso ogni giorno possibile a
preoccuparmi del mio futuro: con devozione, ogni giorno
all'università; con rigore – ogni sera, al pub.
Con malinconia,
non dimenticando né sganciandomi mai da quel passato che
continuava
a incalzarmi, a suonarmi il clacson con sfrontatezza per poi
superarmi in corsa.
Ero un architetto in
divenire, con un
presente indefinito, e la persona più fortunata
di tutta New
York. Non che ci fosse un particolare motivo; solo, per qualche
strana ragione, ero felice.
Nonostante tutto.
Avevo accanto a me i
migliori amici che
un tanto affascinante quanto giovane architetto di Manhattan potesse
desiderare.
E avevo la vita davanti.
Ma c'era comunque qualcosa
che mi
attanagliava. Una sensazione di malinconia, un senso di indefinita
ricerca che continuava a starmi addosso come un vecchio cappotto, di
quelli lasciati anni negli armadi e che poi tornano improvvisamente
di moda. Solo che, a quel punto, l'odore di naftalina arriva a
rovinare il piacere. Pensi di aver trovato il cappotto giusto, ed
ecco che storci il naso, ecco che le maniche cominciano a essere
improvvisamente troppo corte, ecco che spela troppo e - sì,
decisamente il taglio resta comunque fuori moda.
Così mi sentivo,
ormai da troppo
tempo, nella mia vita sentimentale.
Non solo ogni conquista che
portavo a
termine finiva per starmi stretta per un motivo o per l'altro, ma
soprattutto il vecchio cappotto bagnato di odori altrettanto vecchi
ero io. Finivo sempre nel dimenticatoio,
nell'armadio intriso
di naftalina di ogni donna che avessi mai amato o anche solo
adocchiato.
E volevo smetterla di
finirci, prima di
ingrigirmi e ritrovarmi sul banco di una rivendita dell'usato.
Ma, come avevo ormai
appurato da
qualche tempo, non era facile sbarazzarsi dal proprio bagaglio di
esperienze. Continuiamo a portarcelo sulle spalle, insieme a tutti
quelli che vanno formandosi giorno dopo giorno.
Morale della favola, per
farla breve,
io che credevo nell'amore impossibile, io che da sempre avevo
millantato amore e gioia sulla terra, o meglio, una moglie
esattamente dopo i trenta, e che credevo avrei trovato la mia anima
gemella in quella ragazza – in ognuna di
quelle, a dire il
vero – che ricambiava languida il mio sguardo e si lasciava
offrire
volentieri una birra al McLaren's per poi sparire, ecco, proprio io
ero rimasto l'unico della compagnia ad avere solamente accumulato
bagagli e non aver ancora concluso niente di concreto.
Era l'ultimo week-end prima
del
matrimonio di Barney e Robin, e io languivo sulla veranda dell'hotel
in compagnia soltanto dei cocci rotti di una bottiglia di liquore
pagata seicento dollari, dei cocci ancora più rotti del mio
morale,
di una sedia di vimini bianca, di un foglio di carta e di una penna
che forse stava pure per finire l'inchiostro e mi guardava con aria
svogliata.
Il litigio con Barney mi
aveva ancora
di più demoralizzato. Svuotato, ferito.
Era davvero la fine di
un'era.
Entro due giorni sarei
volato a
Chigago.
Lontano da Robin, lontano
dal cuore.
Lontano dai cocci rotti di
quei
seicento dollari così finemente frantumati.
Presi in mano la penna e
scarabocchiai
qualcosa sul foglio di carta, senza neanche chiedermi perché
fosse
lì, su quel tavolino della terrazza dell'hotel. Scribacchiai
qualcosa d'istinto.
Cari...
Ma non mi sentivo in vena
di una
lettera d'addio. Ero melodrammatico per carattere, ma sapevo anche
tirarmi su il morale, spesso e volentieri, e non mi sarei fatto
vedere in quel modo abbattuto, svuotato come un bicchiere troppo poco
riempito, due giorni prima di partire per sempre.
No. Era una lettera a
qualcuno che
ancora non conoscevo. Qualcuno che forse avrei incontrato,
finalmente, trasferendomi a Chicago, dove avrei iniziato la mia nuova
vita.
Cari ragazzi...
Mia moglie avrebbe avuto i
capelli
castani e gli occhi grandi quanto il cuore. Dolce e troppo remissiva,
come me, ma anche dannatamente folle, esattamente
come me.
Folle abbastanza da guidare con i guanti in pelle, per lo meno.
Le avrei chiesto di
sposarmi in cima al
faro a pochi passi dall'hotel. Mi sarei inginocchiato e lei avrebbe
detto sì ancora prima che io avessi potuto dire una sola
parola.
Ma... come ero arrivato a
conoscerla?
La penna mi si
bloccò a metà di una
frase, lungo il foglio, e tutta l'idea che avevo in mente si convinse
di essere troppo debole, uno scarabocchiare senza senso.
Conobbi mia moglie
quando...
No: tutti la conoscevano
già, nel
gruppo; tutti, tranne me.
In quella piccola follia,
in quella
speranza che andavo concretamente a stendere velocemente sul foglio,
era stata lei a far cambiare vita a Barney, a portarlo a dichiararsi
definitivamente a Robin.
Era stata lei... ad aver
regalato i
biscotti a Lily in treno. E a cercare Marshall lungo la strada e
caricarlo in macchina per portarlo finalmente all'hotel!
Una misteriosa ragazza che
mi orbitava
attorno da un pezzo, ma che ancora non avevo incontrato.
Un po' lo spettro, il
negativo, della
storia della Zucca.
Ma sì.
Sì, lei era
nientemeno che la famosa
bassista che avevo ingaggiato totalmente alla cieca, consigliatami da
una mia ex incontrata per puro caso in metropolitana.
Lei stava per arrivare, e
avrebbe
suonato al matrimonio di Barney e Robin.
Sarebbe stato, ovviamente,
amore a
prima vista.
E avremmo avuto due bambini.
Un maschio e una femmina.
Anzi, no, una femmina e un
maschio,
come lei avrebbe certamente desiderato.
E avrei raccontato loro,
seduti nel
salotto della nostra bella e solida casa, tutta la storia della mia
vita, arrivata finalmente al suo tanto agognato apice: avrei
raccontato loro dei bagordi e delle belle giornate con Marshall,
Lily, Robin e Barney, avrei raccontato loro delle mie storie
sbagliate e dei miei errori; avrei raccontato loro della capra e
dell'ananas. Del tatuaggio a farfalla, della splendida dottoressa che
mi aveva lasciato all'altare, e di come un ombrello, alle volte,
possa cambiarti la vita.
Avrei raccontato loro come
ero arrivato
a conoscere la loro mamma.
Il foglio era ormai pieno.
Mi alzai e
cercai un quaderno dove continuare a scrivere la mia idea.
Visto che non l'avevo
ancora trovata,
me la sarei inventata, la donna ideale.
Così come mi
stavo inventando i miei
figli.
Cari ragazzi, ecco come ho conosciuto vostra madre.
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