Cap
La Mercedes sfrecciava a tutta velocità sul’asfalto. La
lancetta sfiorava i 200 km orari. Impugnavo il volante con una tale forza che
temevo si sarebbe disintegrato da un momento al’altro. Avrei desiderato
piangere, se solo avessi potuto. Carlisle, seduto al mio fianco, mi strinse
affettuosamente una spalla. Gli rivolsi un sorriso di gratitudine, seppur
forzato. Avevo fatto la scelta giusta, almeno questo è quello che continuavo a
ripetermi. Non potevo rimanere con lei, era sbagliato. Non avrei fatto altro
che metterla in pericolo, ogni giorno della sua vita, ogni giorno della sua
esistenza… e la colpa sarebbe stata solo mia, se le fosse accaduto qualcosa.
Strinsi i denti, straziato dal profondo dolore che provavo, un dolore che,
almeno per il momento, non avevo intenzione di condividere con la mia famiglia,
avevo già causato loro troppe preoccupazioni.
Seduti in quella
macchina, attendevamo di arrivare in Alaska dove saremmo rimasti per un po’,
non so quanto di preciso. Sapevo che l’idea di abbandonare Forks aveva
rattristato tutti, in fondo conducevamo una vita tranquilla lì, in mezzo agli
umani, tanto da poterci mescolare senza difficoltà tra di loro e passare
inosservati. Ma ero anche consapevole che la mia famiglia non mi avrebbe
abbandonato per nessuna ragione al mondo, e se quella era la mia decisione, mi
avrebbero seguito senza esitazioni, qualunque fosse stato il prezzo da pagare.
2 anni dopo….
Aria di festa e divertimento quella sera a La Push. I
licantropi erano tutti radunati attorno al fuoco, che scoppiettava allegro sprizzando
scintille di tanto in tanto. C’ero anch’io, seduta nel mio angolino, separata
dal resto del mondo, immersa come al solito nei miei pensieri…nei miei ricordi.
Ricordi di un amore che sembrava essere stato solo un breve sogno. Mi concessi
di guardare il cielo per qualche istante: un immenso manto blu puntellato di
mille piccoli diamanti avvolgeva la terra nel suo tenero abbraccio.
“Bella, scusa il ritardo!Non è che questi balordi ti hanno dato fastidio,
vero? Altrimenti…” mi disse Jacob, che trafelato, era arrivato in spiaggia
proprio in quel preciso istante. Sorridente come sempre, aveva i lunghi capelli
neri raccolti in un codino lasciando scoperto il volto dalla pelle ambrata.
Tanto per cambiare non indossava la maglietta ma solo un paio di jeans, i
muscoli torniti bene in vista.
Eccolo lì. Il mio
sole. L’unico in grado di dare ancora un senso alle mie giornate, l’unica
maniera per non pensare.
“Non ti preoccupare, so tenerli a bada questi, cosa credi?”
esclamai fintamente altezzosa. Quil ed Embry, che intanto si ingozzavano come
animali, risero sommessamente alla mia battuta. Li fulminai con lo sguardo.
“ Certo, certo, non ho dubbi sulle tue capacità….” Borbottò
Jacob scherzoso cercando di non ridere anche lui.
“Jake, finalmente, dove ti eri cacciato?” chiese Sam mentre
si avvicinava a noi.
“Scusatemi, ma mio padre ha avuto dei problemi con la
macchina e ci ho messo un po’ ad aggiustarla….ma ora sono qui, e perciò….si
mangia!”disse con enfasi rubando sei o sette costolette in una volta dalle mani
di Embry e mettendosele tutte in bocca. E ciò, per quanto ne sapevo io,
significava solo una cosa: guerra. Risi di gusto quando li vidi rotolarsi nella
sabbia come bambini.
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