Percival
era un uomo paziente, calmo e riflessivo. Parlava poco e poche volte
interrompeva il proprio interlocutore, ma mai come in quel caso si era
astenuto con più gioia.
Merlin andava avanti a lamentarsi da ore. Lo aveva incontrato per caso
mentre stendeva gli indumenti di Arthur con un'aria imbronciata e
scura, mentre borbottava tra sé, e aveva avuto la
malaugurata idea di chiedergli cosa avesse.
“Arthur!
Ecco cos'ho!” aveva risposto l'altro.
E trascinandolo in giro per sbrigare le sue faccende lo aveva subissato
di chiacchiere a non finire. In quel momento, poggiato contro i
bastioni, diede in un sospiro rassegnato, ovviamente non udito dal
servitore con le orecchie a sventola.
“E' un idiota! Sempre a pretendere, mai
a considerare a dare. Merlin dove sei? Merlin portami questo, fammi
quest'altro, Merlin ho bisogno di te” scimmiottò
il ragazzo, cercando di assumere la tipica posa arrogante del suo Re.
Percival tossì un poco, in imbarazzo.
Tutti a corte, salvo forse la Regina, si erano accorti del particolare
rapporto tra Arthur e Merlin, persino meglio che loro stessi; e se
all'inizio ne avevano riso, perché i loro battibecchi
mostravano quell'affetto taciuto, più in là
iniziarono a sentirsi imbarazzati, per timore che i due protagonisti se
ne accorgessero. Eppure, da qualche tempo, circolavano strane voci nel
castello. Tom, lo stalliere, aveva raccontato ad una taverna gremita di
gente ubriaca almeno quanto lui, di aver visto il Re abbracciare il suo
valletto personale con slancio, mentre si trovavano da soli alle
scuderie. Nessuno vi aveva per fortuna creduto, dato il tasso alcolico
di Tom, che avrebbe ucciso un drago adulto con una alitata, ma
Percival, presente alla scena, non ne era tanto sicuro.
E la sua mente aveva iniziato a lavorare.
Se fosse stato tutto vero? Se Re e valletto si fossero accorti di
piacersi? Percival non era ipocrita, sapeva benissimo che molti uomini
si intrattenevano con altre persone dello stesso sesso, soprattutto gli
uomini d'arme che combattevano per molto tempo lontano da casa. E un
piccolo tarlo curioso si era insinuato nei suoi pensieri: come diamine
facevano sesso, due uomini?
Nonostante il tarlo rodesse, la pudicizia prevaleva, perciò
sperava davvero che ciò che Merlin stesse dicendo, non fosse
quello che lui intendesse.
“E
poi quel suo essere così rude! Diamine, non ho anche io dei
sentimenti? Non merito considerazione? Continua a trattarmi come un
servo qualunque, ma sappiamo tutti che non lo sono! Tutti sanno che
rapporto c'è tra noi, no?” chiese ancora
l'orecchiuto Merlin, con i suoi occhioni da cerbiatto ferito.
Percival l'occhieggiò, allarmato.
Non stava parlando di quello che credeva stesse parlando, no?
Arthur
sospirò con stizza, mentre faceva roteare la spada.
“Qualche
cosa che non va, Sire?” domandò con cortesia Leon,
che si allenava qualche metro più in là,
nell'ampio spazio per le esercitazioni con la spada.
“Merlin
non va!” rispose fendendo l'aria il Re, probabilmente alla
figura immaginaria del suo servitore.
Leon sorrise.
Il Re poteva dire tutte le cattiverie del mondo sul suo servitore, ma
sapeva lui benissimo che in realtà gli voleva bene, forse
più che a chiunque altro, per quanto ancora non se ne fosse
accorto. O forse, stando alle ultime voci di castello, se ne era
accorto eccome. Le scuderie erano diventate una zona off limits e
tutti, persino gli stallieri, bussavano con forza ogni volta che si
trovavano costretti ad entrare.
Leon si meravigliava di come quei pettegolezzi non fossero ancora
arrivati alle orecchie della regina. O forse vi erano arrivati e lei
aveva semplicemente fatto finta di nulla. E benché fosse
praticamente cresciuto con Arthur, quasi come se fosse stato suo
fratello, -e se si pensava in termini d'armi lo era eccome,- si
tratteneva sempre dal domandare direttamente che cosa ci fosse di vero
in quelle voci. Perché la curiosità c'era, e
prepotente per di più, ma la sua parte pudica la soffocava
del tutto.
Avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere al suo Re se per davvero
andasse a letto con Merlin?
“Si lamenta sempre. Si lamenta se lo
chiamo, si lamenta se non lo chiamo. E quel broncio che fa certe volte,
mi da sui nervi! Per non parlare di quei borbottii che fa quando
è insoddisfatto. Gli ho detto che mi danno fastidio e lui li
fa più forte!”
Leon arrossì violentemente, sperando di cuore che
l'argomento toccato non fosse proprio ciò che più
temesse.
Percival,
che condivideva la sorte di Leon, senza esserne consapevole, stava
sudando freddo. Più ascoltava Merlin, più tutto
ciò che diceva gli pareva ambiguo. Si convinse
più e più volte che fosse solo suggestione, ma
quando parole come “duro”, “avventato” o
persino “irruente”, scivolavano
fuori dalla bocca di Merlin, non poteva trattenersi dall'assumere una
colorazione tendente al rosso Pendragon. In effetti, in quel momento,
nella sua divisa da cavaliere, la faccia era perfettamente pendant col
resto.
L'amico, intanto, seguitava a lamentarsi senza sosta, ignaro dei
pensieri poco puliti che attraversavano la mente del suo interlocutore,
affollata da pseudo immagini e domande. Di certo, tra i due, pensava,
la parte della donna toccava a Merlin, no? Era il più esile
e aveva alcuni tratti femminei e Arthur lo proteggeva in maniera
ossessiva ogni volta che si trovavano in battaglia, trascinandolo
dietro di sé per evitargli danni. Era anche vero che Merlin
aveva degli atteggiamenti da macho, mettendosi sempre in mezzo tra il
Re e la morte, salvandosi ogni volta per non bene identificate botte di
fortuna.
Insomma, tra i due, come funzionava la cosa?
“Eccolo lì! Parli dell'asino
e spunta la coda” sentì dire a Merlin, nel bel
mezzo dei suoi vagheggi mentali. Dalla finestra alla quale si erano
appoggiati riuscivano a vedere il cortile dove il Re e i cavalieri
erano impegnati a esercitarsi, cosa che ricordò al povero
Percival i suoi doveri, mancati a causa del servitore orecchiuto.
“Guardalo
lì, a rotolarsi nel fango e a sudare! E chi farà
il suo bucato? IO! Chi gli dovrà fare il bagno?
IO!” chiosò Merlin, nella migliore immedesimazione
di una moglie arrabbiata col consorte. Aveva persino messo le braccia
sui fianchi, mentre squadrava Arthur che si prendeva una pausa per
chiacchierare con Leon.
Percival sentì un calore improvviso al viso, mentre
l'immagine di Arthur e Merlin nella tinozza, circondati da schiuma in
atteggiamenti ambigui gli saliva al cervello.
Ancora una sola allusione, una sola, e sarebbe esploso.
Leon,
nel frattempo, non si trovava in una situazione migliore del suo amico.
Arthur, preso il via alle lamentele contro Merlin non si era
più fermato. Perché ad Arthur piaceva parlare di
Merlin, sempre e comunque; Leon non si ricordava una volta, una sola,
in cui il suo Re gli avesse parlato della Regina, in bene o in male.
Sempre solo Merlin. Anche in quelle ore aveva fatto altro che parlare
del suo servitore, e in termini molto fraintendibili. O era solo la sua
immaginazione? Vedeva ciò che non c'era perché lo
sospettava o era tutto lì, palese, come il tono di voce
accorato di Arthur suggeriva? Il caldo, le allusioni, l'iper-fantasia
stavano scaldando la sua mente, facendogli immaginare ciò
che i due potevano fare quando si trovavano da soli. E si trovavano
spesso da soli.
Chi prendeva l'iniziativa?
“Toh, parli di Merlin e spuntano le
orecchie” sentì dire al Re, venendo
così strappato alle sue pericolose fantasticherie. Il viso
di Arthur puntava in alto, verso il lato opposto del cortile, e
seguendo la direzione Leon vide Merlin e Percival incorniciati da una
finestra, apparentemente rivolti verso loro: per quanto la distanza gli
consentisse di vedere, il servitore pareva arrabbiato e il suo amico
rosso fuoco per qualche strano motivo.
“In
giro a bighellonare con Percival invece che sbrigare i suoi lavori per
me? Oh, stasera gliela farò pagare cara! Nessuno lo
sentirà urlare nella notte!” esclamò
con una faccia poco pulita Arthur, facendo cedere quel poco di barriera
di vergogna nella mente di Leon.
Una sola parola, una sola, e avrebbe dato di matto.
“Dovrò
togliere il sudiciume dalla sua pelle per ore! Almeno stesse fermo,
invece no, mi costringe a strofinargli la schiena e poi finisce
immancabilmente per...” iniziò ancora Merlin, con
gli occhi puntati sul Re, che lo sfidava a sua volta con lo sguardo.
D'un
tratto, con un urlo disumano, Percival si tappò le orecchie,
strabuzzò gli occhi e cantando qualcosa di assurdo
scappò via nel corridoio, correndo lontano.
Merlin lo seguì con lo sguardo fin dove poté,
terrorizzato dalla reazione improvvisa del gigante.
Quasi
nello stesso momento:
“Stasera lo costringerò a
lucidare ogni armatura, ogni spada e ogni arco nella scuderia. E poi
dovrà lavare ogni centimetro della mia persona con dovizia
e...” stava elencando sadicamente il Re, perso nei suoi
propositi di vendetta.
Con un grido stizzito Leon lo interruppe, si premette le mani sulle
orecchie e cantando una canzone bislacca scappò verso il
castello, senza voltarsi indietro.
Arthur rimase attonito a fissare il vuoto dove era scomparso il suo
cavaliere, perplesso.
Percival
correva come un matto.
“Non
mi fermate, non mi fermate” canticchiava come un folle,
terrorizzando le domestiche che lo incontravano nei corridoi.
Leon
vagava senza meta, a velocità esponenziale.
“Voglio
liberarmi, voglio liberarmi” gorgogliava impazzito,
sovrastando il rumore dei suoi passi.
D'un
tratto uno sbatté contro l'altro, mentre le loro canzoni
cacofonavano in una babele di suoni attorno a loro. Si guardarono in
faccia, abbassarono un attimo le mani dalle orecchie...
“Non
vuoi sapere!” urlarono entrambi, prima di scappare di nuovo
via in direzioni diverse, inseguiti da ritornelli stonati e occhiate
perplesse.
Arthur guardò in alto, verso la finestra dove Merlin lo
osservava a sua volta. Si scambiarono un'occhiata stranita, fecero
spallucce e ritornarono ognuno alla propria occupazione.
Due
mesi prima, nelle scuderie, al rientro da una battuta di caccia:
“Su, Merlin! Ferma il cavallo, sella il
cavallo, ruota il cavallo!” biascicò Arthur,
ridacchiando e agitandosi sulla cavalcatura. Il servitore
sbuffò, scendendo dal suo, e si diresse verso il suo Re per
fermare il giro impazzito che stava facendo compiere al suo povero
Sauro.
“Siete
ubriaco, Arthur! Vi ho detto che non era conveniente fermarci alla
taverna!” lo sgridò mentre afferrava le redini.
“No,
ti sbagli! Non sono ubriaco: sono ubriaco!”
Le sue risatine riempivano il silenzio della scuderia, innervosendo gli
altri cavalli.
“Andiamo, vi aiuto a
scendere.”
Arthur sollevò goffamente la gamba, provando a passarla al
di sopra per gettarla dall'altra parte, ma più tentava e
più sbagliava, più rideva. Con un sospiro
spazientito, Merlin si sporse, aiutandolo a mettersi dallo stesso lato.
Il Re si lasciò scivolare giù dalla schiena del
cavallo, di colpo, finendo per cadere sopra al suo servitore: Merlin lo
sorresse per un pelo, ma quello lo strinse in un abbraccio, scoppiando
a ridere.
“Hai... hai le orecchie enormi come
quelle di un asinello!”
“Sì?
Beh, conosco uno che è un asino per davvero!”
Arthur iniziò a sentirsi sempre più assonnato,
rannicchiandosi sempre più contro il servitore.
“Però
vai bene lo stesso. Sei un buon amico” mormorò con
gli occhi chiusi.
“Anche
voi, testa di legno. Anche voi” rispose Merlin, iniziando a
trascinarlo verso il castello.
Lo
stalliere Tom, ubriaco come una spugna, ridacchiò
nell'oscurità.
Note:
Ecco
un piccolo speciale, che non ha nulla a che fare con la storia
“More than meets the eye”.
L'ho scritta tempo fa, dopo un discorso con la
musa-beta-autrice-Dea-ragioniera Asfodelo, a cui la dedico.
Perché senza di lei non sarei arrivata in questo fandom,
né avrei conosciuto così tante belle persone.
Grazie di tutto Asfo, grazie a tutte voi.
Spero che la storia vi strappi un sorriso e vi accompagni nei
festeggiamenti per il nuovo anno, che vi auguro sia stupendo e ricolmo
di benessere. E di nuovi fandom da esplorare, da unire ai cari e
vecchi, con OTP sofferte e combattute, ma amate dal più
profondo del cuore.
Buon
2014,
un grosso abbraccione
Mimì
p.s: aggiornerò presto, non datemi per dispersa! E Battisti
mi perdoni per il titolo, di cui non sono degna!
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