Capitolo 1
Porcelain
In my dreams I'm dying all the
time
as I wake its
kaleidoscopic mind
I never meant to hurt
you
I never meant to lie
so this is goodbye
this is goodbye.
Porcelain, Moby¹
Quando
in sogni opprimenti e orribili l'angoscia tocca il grado estremo,
è proprio essa che ci porta al risveglio,
con il quale
scompaiono tutti quei mostri notturni.
La stessa cosa accade nel sogno della vita, quando l'estremo grado di angoscia
ci costringe a spezzarlo.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena
È
tarda mattinata. Il sole picchia forte, ma si sta bene vicino
all'acqua, talmente trasparente che riesco a vedere benissimo
i
minuscoli pesciolini che nuotano sul fondale di sabbia, intorno alle
mie caviglie. Un'acqua così esiste solo su quest'isola. Il
vento
soffia leggero, scompigliandomi i capelli e increspando appena la
superficie dell'oceano animata da piccole onde simili ad ali di
gabbiano.
Dei passi si avvicinano.
Sorrido.
Posso sentirlo perfettamente, ma faccio finta di nulla.
Vorrà
senz'altro cogliermi di sorpresa. Un attimo di silenzio, poi le sue
braccia mi circondano veloci. China la testa per baciarmi la spalla
lasciata scoperta dal prendisole, mi sorride, mi stringe con forza e
mi solleva, facendomi girare insieme a lui, una, due, tre, quattro
volte... Strillo, sorpresa, divertita e un po' spaventata, un
brivido di eccitazione che mi corre lungo la schiena. I miei piedi
sfiorano il pelo dell'acqua, tracciando intorno a noi un cerchio di
perfezione e di felicità. Scoppio a ridere e lui ride con
me,
mentre serro le sue braccia con le mie, quasi intrappolandolo a mia
volta, e lascio andare la testa all'indietro, contro la sua spalla,
godendomi la sensazione divina del vento tra i capelli.
Poi perde l'equilibrio e
cadiamo
entrambi sul bagnasciuga, rotoliamo sulla sabbia che si attacca alla
pelle, ai vestiti, ai capelli, ridendo come pazzi. Quando ci fermiamo
sono sopra di lui. Ha smesso di sorridere e mi fissa con aria
seria: sembra in attesa di qualcosa di importante. Le sue labbra
sensuali sono leggermente dischiuse ed io non resisto alla tentazione
di toccarle con le mie. Mi cinge la vita con un braccio, spingendomi
verso di lui, mentre con l'altra mano mi accarezza piano la coscia.
Scossa dai brividi, premo con più forza la bocca contro la
sua,
come se volessi entrargli dentro. La lingua si fa strada verso la sua,
audace come mai prima d'ora.
A malincuore sono
costretta a
staccarmi per prendere fiato e all'improvviso mi sento
spossata: mi sembra che in quel romantico corpo a corpo abbia consumato
tutte le mie energie. Mi lascio ricadere sulla sabbia, ansimante, e per
un po' resto così, ferma, fissando il cielo azzurro chiaro e
perfettamente terso. Amo questo posto. Io vengo da qui, lo sento. Il
tempo scorre in modo strano, sembra dilatarsi all'infinito. Potrei
essere sdraiata qui da un'eternità. Fa caldo, ma fa
più
caldo dentro di me. Giro la testa per guardare lui, disteso al mio
fianco, e
il sorriso si congela all'istante sulle mie labbra: il suo corpo
è stranamente immobile e pallido, gli occhi spalancati sono
fissi e vitrei, privi di espressione, come le finestre di una casa
abbandonata.
No. Non è
possibile.
Il mio respiro accelera,
agitato e
spezzato. Vorrei gridare, ma non ho il fiato necessario. Vorrei
muovermi, toccarlo, ma sono paralizzata.
«Alex»,
sussurro.
Aprii gli occhi di scatto e mi ritrovai a fissare qualcosa di bianco.
Un cuscino. Lentamente realizzai di essere a letto, un letto enorme
e molto comodo che non era il mio, in una stanza che non era la mia.
Tutt'intorno era in penombra e faceva un gran caldo, ma qualcosa di
gelido scorreva piano su e giù lungo il mio braccio, per poi
poggiarsi sulla mia fronte, togliendo qualche gocciolina di sudore.
«Va tutto bene. Sei sveglia, adesso»,
mormorò una voce delicata.
Papà. Mi girai lentamente sulla schiena e lo vidi seduto sul
letto, accanto a me. Lo guardai in silenzio per qualche secondo.
«Era solo un sogno?», farfugliai, ancora
disorientata. La mia voce era roca. Avevo bisogno di bere dell'acqua.
Mi sorrise e con un dito mi toccò di nuovo la fronte,
spostando
una ciocca di capelli in disordine. «Ma certo, piccola. Tu
sei
sull'Isola Esme, Alex è a Martha's Vineyard² con la
sua
famiglia e senz'altro sta bene. Non preoccuparti».
A mano a mano che riacquistavo la lucidità, mi rendevo conto
che
aveva ragione. Feci un bel respiro profondo e mi misi a sedere tra le
lenzuola aggrovigliate, sistemandomi i capelli con le dita. L'incubo mi
aveva lasciato una strana sensazione, un peso sullo stomaco. Lanciai
un'occhiata intorno a me.
«Perchè sono in camera vostra?».
«Be', stanotte sono venuto a controllarti ed eri molto
accaldata... come al solito», rispose lui, sorridendo.
«Ti
abbiamo messo in mezzo a noi per rinfrescarti un po'».
Annuii, imbarazzata. Ormai ero decisamente troppo grande per dormire
nel letto dei miei, ma quando eravamo sull'Isola Esme si ripeteva ogni
notte la stessa routine. Ero troppo abituata alle fredde notti di Forks
per riuscire a dormire bene con quel clima così afoso e
puntualmente mi svegliavo fradicia di sudore.
«Hai fame? La mamma ti sta preparando la colazione».
Papà si alzò e andò ad aprire le
imposte della
porta finestra che dava sulla spiaggia. Il sole inondò la
camera, ma per la prima volta la vista di quel panorama mozzafiato,
sfondo del mio orribile sogno, suscitava solo sensazioni sgradevoli.
«Che strano incubo, eh?», dissi.
Edward, che si stava dirigendo alla porta, si fermò e mi
guardò con aria divertita. «Non direi, visto che
ieri sera
hai mangiato pesante: devi suggerire alla mamma di mettere meno
peperoncino nella coxinha³
la prossima volta».
«Ehi, ho
sentito!», gridò Bella dalla cucina.
«Cos'ha la mia coxinha
che non va?».
Papà si sforzò di trattenere le risate, un
sorriso sghembo sul volto. «Niente, amore!»,
rispose uscendo dalla stanza.
Mi sfuggì un sorrisetto. Che matti, i miei genitori. Mi
alzai e
raggiunsi la finestra, stiracchiandomi. Il sole splendeva alto
nel cielo, l'oceano luccicava come argento, le palme della spiaggia
oscillavano pigramente. Quello strano senso di oppressione era svanito.
All'improvviso mi parve di guardare tutto con occhi diversi. Non vedevo
l'ora di fare un tuffo. Feci una doccia lampo, indossai bikini e
copricostume e andai in cucina. Trovai papà intento a
raccontare
alla mamma del sogno, e per quanto fossi infastidita dal fatto di non
riuscire a tenere mai niente per me, quando anche lei mi
rassicurò, consigliandomi di non pensarci più, mi
sentii
molto più tranquilla.
«Stasera pensavo di cucinare le empanadas
⁴»,
annunciò Bella mentre riempiva un bicchiere di succo di
frutta e me lo porgeva.
«Ehm... non so se è una buona idea»,
sospirai, storcendo il naso.
Il suo entusiasmo si sgonfiò come un palloncino.
«Perchè no?».
Papà aveva un sorriso che andava da orecchio a orecchio e
taceva con aria furba.
«Mamma, tu non assaggi mai nulla mentre cucini e da quando
siamo qui
hai sviluppato un'insana passione per la cucina locale, che prevede un
abbondante uso di spezie...
Qual è il risultato, secondo te?».
«Non è possibile», sbottò.
Sembrava scioccata.
«La coxinha
di ieri sera
conteneva più peperoncino che carne di pollo»,
aggiunsi,
imperterrita. «La mia gola ha quasi preso fuoco».
Lei non sapeva come ribattere. Guardò papà, che
tratteneva a stento una risata, poi di nuovo me, che avevo
un'espressione eloquente, poi di nuovo lui. Infine si
rassegnò
con un sospiro. «E va bene. Basta spezie ed esperimenti
culinari»,
grugnì. Prese una pila di piatti e stoviglie sporche
e infilò tutto nella lavastoviglie con gesti
bruschi.
Incrociai per un istante lo sguardo di papà e subito
distolsi
il mio; sapevo che se ci fossimo fissati per un secondo di troppo,
sarei scoppiata a ridere.
«Allora, ehm... che facciamo di bello stasera?»,
chiesi, rompendo il silenzio.
«Io propongo una maratona di vecchi film per tutta la notte,
fino all'alba», disse la mamma, tornando al tavolo.
«O meglio, fino a quando riuscirò a tenere gli
occhi aperti», la corressi.
«Oppure potremmo fare un giro in città»,
propose
Edward. Mi guardò. «Che ne dici, Raggio di sole?
Non hai mai visto Rio di
notte».
L'idea stuzzicò immediatamente la mia immaginazione. Durante
il
viaggio di andata eravamo atterrati in città di sera, ma io
mi
ero addormentata sul taxi che ci conduceva al porto e mi ero
risvegliata a casa, nel mio letto: non avevo visto un bel niente. E
sebbene fossimo in Brasile da più di una settimana, non
avevamo
ancora mai lasciato l'isola. Rio di notte... doveva essere fantastica.
Sorrisi.
«Ci sto».
****
Quella
sera, dopo cena, passai un bel po' di tempo nella mia stanza a
prepararmi. Indossai un vestito corto di tulle color blu pervinca che
mi aveva comprato Alice prima di partire e che io giudicavo fin troppo
appariscente, ma quale occasione migliore per indossarlo di una sera a
Rio de Janeiro? Lo abbinai a sandali argentati argentati e
sistemai i capelli in una alta e vaporosa coda di cavallo. Poi mi
toccò convincere la mamma a nom uscire di casa in jeans e
t-shirt e a mettere un vestito e scarpe col tacco. Non fu semplice,
ma a un certo punto, finalmente, fummo pronti ad andare.
Mentre
viaggiavamo in barca verso la terraferma, l'eccitazione che mi
aveva fatto compagnia fino ad allora crebbe fino a toccare il culmine.
Troppo impaziente per chiacchierare con i miei, rimasi in
silenzio per tutto il tempo, seduta sul bordo del motoscafo ad
osservare l'oceano, un'immensa distesa liscia e scura come velluto
nero, e la luna piena, una sfera perfetta color argento che si
specchiava sulle onde. Era una vista talmente romantica da stringermi
il cuore. Nel frattempo Edward
e Bella chiacchieravano tranquillamente tra loro, le voci sovrastate
dal rombo del motore e dallo scroscio delle onde contro i fianchi della
barca.
Arrivammo
a destinazione dopo poco più di mezz'ora e, lasciata la
barca al
molo del porto, ci immergemmo nelle strade affollate, caotiche e
rumorose della città. Scattammo qualche foto vicino
all'oceano
dopo aver vinto le resistenze della mamma, patologicamente incapace di
stare davanti all'obiettivo; Alice mi aveva ordinato chiaro e tondo di
immortalare ogni momento della vacanza e non potevo tornare a Forks
senza un centinaio di fotografie, non se ci tenevo a sopravvivere. Poi
ci dirigemmo verso Lapa⁵, uno dei quartieri
alla moda della città, pieno di locali, bar, negozi e
bancarelle di souvenir
e gruppi di musicisti di strada ad ogni angolo. Parecchie persone
ballavano sui marciapiedi, così affollati che non era
possibile
fare tre passi senza rischiare di finire addosso a qualcuno.
Mentre
camminavamo notai che parecchi ragazzi mi lanciavano occhiate
interessate, ma poi incrociavano lo sguardo di papà e ci
ripensavano.
«Quella
gonna è troppo corta, Renesmee», disse a denti
stretti, un'espressione profondamente infastidita sul viso, mentre
passavamo accanto a un gruppetto di ragazzini chiassosi e ciarlieri.
Chissà quali pensieri aveva ascoltato.
«Oh,
andiamo!», esclamò la mamma, diveritita.
«Lasciala
stare, c'è già Emmett a darle il tormento con
questa
storia».
«Se
è per questo, anche la tua gonna è
troppo corta», aggiunse Edward con tono stizzito, lanciando
un'occhiata verso destra.
Io e Bella
seguimmo la direzione del suo sguardo e scorgemmo un ragazzo
sui sedici anni che fissava la mamma con occhi e bocca spalancati, come
se fosse stata una dea scesa direttamente dalle nuvole. Scoppiai a
ridere di gusto mentre lei abbassava lo sguardo, lusingata e
imbarazzata allo stesso tempo.
Dopo un po'
ci fermammo in un piccolo locale e sedemmo ad uno dei
tavolini all'aperto. Volevo bere qualcosa di fresco, ma non riuscivo a
smettere di guardarmi intorno, stregata dal vortice di suoni, profumi e
colori che danzava per le strade. I turisti e gli abitanti del luogo
camminavano in gruppi o a coppie, sorseggiando cocktail dai
colori brillanti, la musica che usciva dai locali si mescolava al suono
dei tamburi dei musicisti di strada e a frammenti di chiacchiere e
risate, e ovunque aleggiava un delizioso odore di spezie. In un angolo
una banda di ragazze dalla pelle di varie tonalità di scuro
e con abiti vivaci indosso ballavano tra loro, ridendo, sussurrandosi a
vicenda chissà quali segreti e lanciando occhiate ai ragazzi
di passaggio. Improvvisamente pensai a quanto sarebbe stato divertente
essere lì con le mie amiche al gran completo. Immaginai
Holly che ballava con tre ragazzi abbronzati contemporaneamente e
Maggie che cercava di tirarla via, Jas che comprava souvenir ad ogni
bancarella, Danielle che si fermavano ad ascoltare i musicisti agli
angoli delle strade...
E se con me ci fosse stato Alex, invece? Istintivamente sorrisi,
pensando alle cose fantastiche che avremmo fatto io e lui insieme, da
soli, in un posto del genere: nuotate al chiaro di luna, lunghissime
sedute di baci all'ombra delle palme sulla spiaggia, serate tra un
locale e l'altro... Alex.
Il ricordo dell'incubo mi invase all'improvviso, come una macchia di
petrolio che si espande nella
neve: la spiaggia, il sole, l'oceano, le sue braccia intorno a me, i
suoi baci, e poi... Provai una sgradevole morsa alla stomaco. Temevo
che quella notte l'incubo sarebbe tornato,
come quando ero piccola e per settimane e settimane, dopo la venuta dei
Volturi, avevo sognato una fila di mantelli neri che veniva verso di me
in un paesaggio innevato. Provare di nuovo quella sensazione, la
sensazione di qualcosa di orribile che ti aspetta nel buio quando
chiudi gli occhi per addormentarti, mi faceva sentire di nuovo una
bambina fragile e in pericolo. E non sopportavo di sentirmi
così.
Papà
mi disse qualcosa, interrompendo la sua discussione con la mamma, ma mi
ci volle un po' per accorgermene.
«Uhm...
? Come?», borbottai, ancora distratta dalle mie cupe
riflessioni.
Lui mi
fissava con aria leggermente esasperata. «Non posso credere
che tu ci stia ancora pensando».
Ovviamente
parlava del sogno. Arrossii un poco. «Be', non è
stata proprio una cosa da nulla», risposi con
tono sostenuto.
«Ma
era un sogno, Renesmee. Un sogno, tutto qui».
Sospirai.
Ero decisa a lasciar cadere l'argomento e invece nemmeno due secondi
dopo...
«Era
molto... realistico. Mi sembrava di essere davvero lì. I
sogni che faccio di solito non sono così e tu
lo sai»,
proruppi.
«Questo
non cambia il fatto che era un sogno. Tutta quest'attenzione
è ingiustificata».
«Sai,
vorrei che ogni tanto le mi riflessioni private
rimanessero tali», risposi, infastidita dalle sue parole e
dal suo
atteggiamento. Si ostinava a minimizzare i miei timori. Perfetto.
Lui scossela
testa. «No, tesoro, non è
così...».
«Papà!
Cosa ho appena detto?».
Si
interruppe all'istante con aria colpevole. A volte rispondeva ai miei
pensieri, anzichè alle mie parole, senza nemmeno
accorgersene.
«Mi spiace», si scusò a bassa voce.
Scese il
silenzio mentre mi sentivo sempre più
arrabbiata. Ero certa di sapere perchè la mia opinione fosse
considerata così poco.
«Se
vuoi posso...», cominciò la mamma.
«No,
grazie, niente scudo», borbottai. «Non è
necessario».
Tanto per
fare qualcosa, afferrai il menù e scorsi velocemente la
lista delle bevande. Tra i tanti nomi di cocktail stravaganti mi
colpì uno in particolare; lo avevo
già sentito da qualche parte, ma dove? Riflettei per un
istante, e ricordai: me ne aveva parlato Jas quando le avevo raccontato
delle vacanze in Brasile, poco prima che finisse la scuola.
«Credo
che assaggerò la Caipirinha6»,
annunciai. Sapevo che Jas avrebbe voluto assaggiarlo, per
curiosità, e immaginare la sua espressione quando le avrei
raccontato del cocktail mi faceva sorridere.
«Tesoro,
non mi sembra il caso», disse papà.
Il suo tono
indulgente mi fece scattare subito sulla difensiva.
«Perchè? Ne assaggio un sorso, non voglio berlo
tutto».
Lui
serrò appena le labbra. «Meglio di no.
È un po' presto per gli alcolici, non trovi?».
«Lo
sai che ho già bevuto alcolici», mi lasciai
sfuggire, piccata, e un istante dopo avrei voluto rimangiarmi tutto.
La mamma
sussultò. «Davvero? Quando?»,
esclamò.
Edward emise
un leggero sospiro. Io esitavo, ma ormai il danno era
fatto. «Ehm... Ecco... Alla festa di compleanno di Holly, la
scorsa
primavera... c'era del vino. Ma ne ho assaggiato
solo un po' e non mi è
piaciuto per niente», aggiunsi, sperando che non scoppiasse
una bomba. «Tornando
al
nostro discorso, visto che ho già bevuto un sorso di vino
posso
avere anche un sorso di Caipirinha?».
«No»,
rispose la mamma con decisione. Alzai gli occhi al cielo,
scocciata. Lei afferrò il menù e vi
gettò
un'occhiata. «Che ne diresti di un bel succo di
frutta?».
«Tu
sai che non ho davvero cinque anni,
giusto?», ribattei, provocatoria.
Lei fece un
sorriso furbo. «Certo che lo so. A settembre ne festeggi
sedici, e a me non risulta che le sedicenni possano bere cocktail
alcolici».
Rimasi zitta
a fissarla con aria truce per un secondo, mentre la mamma
reggeva il mio sguardo, e alla fine mi arresi. Dannati vampiri
dispotici. «E
va bene.
Prenderò un tè ghiacciato». Incrociai
le braccia, puntai gli occhi su un punto imprecisato della strada e non
aggiunsi un'altra parola.
«Ottima
scelta, tesoro», commentò Bella. Chiamò
al volo un cameriere di
passaggio e ordinò. Il ragazzo, sui venticinque anni e
con un sacco di capelli ricci e scuri raccolti in una coda, le rivolse
uno sguardo di deciso apprezzamento prima di allontanarsi. Edward si
agitò sulla sedia, borbottando qualcosa sottovoce, ma lei
fece
finta di nulla. Era impegnata a studiare la mia espressione e mi parve
di scorgere un po' di senso di colpa nel suo sguardo. «Non
essere arrabbiata», aggiunse a bassa voce dopo qualche attimo
di silenzio.
Sbuffai.
«Non sono arrabbiata, io... non sopporto di essere trattata
così».
«Così
come?».
«Come
una bambina!», sbottai, alzando la voce. «Non posso neanche
scegliere che cosa bere!».
«Renesmee,
non capisco»,
esclamò
Bella, sconcertata. Mi fissava con gli occhi spalancati. «Tu non hai mai
bevuto alcolici».
«Non
è questo il punto! Io volevo assaggiarlo, ma voi non mi
ritenete abbastanza grande da poterlo fare!».
«Ma
è vero che non lo sei», intervenne
papà,
la voce dolce e pacata. Stava cercando di calmarmi, ma in quel momento
la cosa mi irritava ancora di più. «Anche se
avessi
davvero sedici anni, comunque non lo saresti».
«Ecco.
Vedete che ho ragione?», sibilai, incrociando le braccia con
gesto stizzito.
«Si
può sapere che ti prende?», esclamò la
mamma, sempre più incredula.
«Niente! Se non sono
d'accordo con voi devo avere per forza qualcosa che non va?».
Bella fece
un sospiro pesante. «Renesmee, calmati, per
favore»,
disse, e dal tono capii che si stava sforzando di essere paziente.
«Capisco che il sogno di stanotte ti abbia sconvolta,
ma...».
Sembrò
pentirsi all'istante di ciò che aveva detto.
Papà le lanciò un'occhiata di avvertimento, ma
ormai era
tardi.
«Certo»,
mormorai, piccata. «Sono una bambina che ha paura dei brutti
sogni, giusto».
«Non
ho detto questo!».
«Basta,
vado a fare un giro per conto mio». Mi alzai di scatto,
improvvisamente stufa ed esasperata. Il cambiamento di umore era stato
così repentino da stupire anche me, ma non riuscivo
più a starmene seduta lì. «E non
mi seguite,
per favore».
Edward e
Bella mi fissavano con due identiche espressioni sgomente.
«E
il tuo tè ghiacciato?», esclamò la
mamma.
«Sicura
che io sia abbastanza grande da poterlo bere?», chiesi per
tutta risposta, sarcastica.
Mentre mi
allontanavo dal tavolo la sentii rivolgersi a papà.
«Tu hai capito cos'è successo?».
****
Per
dieci minuti buoni camminai a passo di marcia, senza fermarmi un attimo
e
rimuginando sulla conversazione con i miei. Che nervi! Non li
sopportavo quando facevano così. Ero talmente infuriata che
non riuscivo
più neanche a far caso all'atmosfera festosa e vivace che
fino a poco prima mi aveva letteralmente catturata. Poi, lentamente,
quella
rabbia improvvisa e irragionevole iniziò a scemare, a
dissolversi, rapida così com'era arrivata. E a mano a mano
che
tornavo lucida, ricominciavo a ragionare. Mi rendevo conto di non
essermi
comportata in modo molto maturo: avevo fatto una scenata
senza nessun motivo reale. Mi dispiaceva di aver piantato i miei in
quel modo,
ma sembrava che si fossero messi d'impegno per irritarmi,
prima ridendo del mio
incubo, poi facendo tutte quelle storie per uno stupido cocktail che
non avevo neanche voglia di assaggiare davvero...
Rallentai
il passo per evitare di travolgere qualcuno tra la folla e mi lasciai
sfuggire un sospiro. Camminavo quasi senza fare caso a ciò
che
mi circondava, persa nei miei pensieri, quando all'improvviso, in quel
mare di persone in movimento, qualcosa catturò la mia
attenzione. O meglio qualcuno: un ragazzo che
camminava nella direzione opposta alla mia,
insieme a due ragazze che lo tenevano abbracciato. Non poteva avere
più di vent'anni, carnagione olivastra, lineamenti regolari,
occhi color tek, labbra carnose, capelli scuri corti e un po' ricci. Lo
conoscevo. Mi ci volle un secondo per recuperare quel volto dalla
mia memoria e abbinarlo a un nome ben preciso, e di colpo mi bloccai in
mezzo alla strada.
Anche lui mi
aveva notata. I suoi occhi incrociarono i miei e, come me,
subito si bloccò. Sembrava altrettanto stupito, e anche un
po'
incerto.
«Nahuel...
?», bisbigliai, incerta, temendo di sbagliarmi.
Sollevò
le sopracciglia quando capì che lo avevo
riconosciuto, sempre più sorpreso. «Renesmee
Cullen?», chiese di rimando. E la sua voce calda, avvolgente,
sembrò
affiorare direttamente dai miei ricordi. Non mi ero sbagliata.
Note.
1. Link.
2. Isola degli Stati Uniti. Si trova nel Massachusetts ed è
una famosa località di vacanza.
3. Piatto tipico della cucina brasiliana a base di pollo e spezie.
4. Altro piatto tipico del Brasile, è una sorta di fagottino
ripieno di carne, spezie e altri ingredienti.
5. Quartiere di Rio, uno dei cuori della vita notturna della
città. Forse qualcuna di voi ha riconosciuto il nome,
perchè le scene della luna di miele di Edward e
Bella prima di raggiungere
l'Isola Esme, in Breaking dawn parte I,
sono state girate proprio lì. Mi sembrava carina l'idea che
Edward e Bella tornassero in quei luoghi insieme a Renesmee.
6. Bevanda alcolica tipica del Brasile.
Spazio autrice.
Come avevo promesso, eccomi di ritorno con il tanto atteso
(sì, come no...) sequel di Midnight star ^^.
Siete strafelici, vero? Vero... ?
Prima di tutto, Buon Anno!
A chi avesse aperto questa storia per caso o per
curiosità senza aver letto la prima parte, suggerirei di
partire dal principio e leggere Midnight
star. Non è strettamente indispensabile aver letto
la prima parte per leggere questa, ma insomma... diciamo che sarebbe
meglio averla letta, ecco, a scanso di equivoci (sono ruffiana, eh?
Va be', dai, solo un pochino xd).
Ringrazio in anticipo tutte le lettrici che hanno seguito MS con
affetto e che mi accompagneranno anche in questa seconda parte ^^. Mi
scuso per l'attesa che è stata un po' più lunga
del previsto, colpa dell'università e di altri problemi.
Meglio tardi che mai, comunque, e spero che varrà
la pena di aver aspettato un pochino. Come sempre resto in attesa delle
vostre opinioni, positive o negative che siano; in particolare, vi
sarei grata per la segnalazione di eventuali errori e sviste,
perchè purtroppo qualcosa mi sfugge sempre per quanto io
controlli e ricontrolli :-).
Ultima nota (ultimissima, giuro xd).
Aggiornerò sempre di mercoledì, come era
per MS, ma una volta ogni due settimane, un
mercoledì sì e uno no, per intenderci, salvo inconvenienti. Quindi
l'appuntamento per il secondo capitolo è a
mercoledì 15 gennaio. Grazie a tutte!
|