Disclaimer
Questa volta
sono necessari più che mai: Axl e Slash non mi appartengono; ho
scritto questa fanfiction senza alcuno scopo di lucro, o altri scopi
quali offendere e screditare i soggetti.
It takes a fool to remain sane
A Lilith,
che chiede cose che non so scrivere.
La stanza sembrava un tugurio,
forse era ben poco distante dall’esserlo realmente. Le finestre erano
inchiodate da ore, troppe perché le persone all’interno potessero ancora
respirare qualcosa di reale e somigliante all’ossigeno. C’era solo merda e
i residui dei loro squallidi comodi. L’aria era appesantita, densa, pregna di
odori sgradevoli, nuvole di fumo di Marlboro rosse e accenni di una nuova
ondata di sudori freddi che l’ultimo tiro di coca aveva risvegliato nei loro
corpi in tensione.
«I ask nothing of you, not even your gratitude.»
Gli occhi di entrambi mandavano
scintille quando si incontravano e i muri ridevano della loro stupidità,
dell’ottusità con cui lasciavano che l’orgoglio vincesse su tutto. Ma, poi,
tutto cosa? Era proprio l’orgoglio a essere tutto; a dominare,
a governare, a vincere quella stupida guerra. Nessuno dei due sarebbe prevalso
sull’altro, avevano perso in partenza quando avevano deciso di allearsi proprio
con l’orgoglio.
Lui, il figlio di
puttana.
Figlio di puttana quasi quanto
colui che indossava quegli occhi di giada come fossero una vestaglia di seta.
Figlio di puttana quasi quanto
colui che indossava quelle labbra sfacciate come fossero un bustino in pelle.
Uno sguardo buio, come
l’ambiente circostante e i pensieri bruciati dall’adrenalina di troppe ore
passate a guardarsi in faccia, planò sul tavolo fino a scontrarsi con la
miriade di fogli accartocciati dalla frustrazione, alla ricerca di una tregua
abbastanza breve da non significare una sconfitta.
“I can’t feel all
the pressure and I like it this way.”
Era curioso come ciò che aveva
trovato non fosse affatto una tregua, quanto più il contrario, forse una piaga
slabbrata da un coltello che in quella ferita ci percorreva i chilometri,
squarciando carne e, di nuovo, l’orgoglio. Sempre l’orgoglio.
«And if you think I’m corny, the nit will not make me sorry.
it’s your right to laugh at me.»
Mani ambrate, ornate di anelli
in modo sfacciatamente eccessivo – inversamente proporzionale alla spavalderia
di quel momento –, agguantarono una palla di carta, stringendola tra i
polpastrelli tagliati dalle sei corde che accompagnavano la sua vita e le parole
che avevano tentato di scrivere su quei fogli, destreggiandosi tra gli appunti
di Izzy che, come sempre, li faceva silenziosamente sentire
disgraziati.
Di certo, una chitarra non lo
aveva mai messo a disagio quanto il sorriso sardonico che si riverberava nelle
iridi verdi che aveva di fronte, unica interruzione di quella profonda
oscurità.
«Che cazzo hai?» gli chiese con
quella voce roca appena nasale, dalle venature blues e l’anima rock, quella
voce che, da subito, era valsa la pena dei supplizi e delle umiliazioni che
però, alla fin fine, venivano quasi solo da lui. «Non ti piace Coma?»
Slash strinse le labbra e la
presa attorno alla carta torturata, scuotendo il capo senza sapere perché: per
diniego, per esasperazione, per la frustrazione di avere davanti una persona in
grado di capire i suoi pensieri, ma volutamente indifferente a essi.
Stronzo. Abbassò ancora gli
occhi alla ricerca di una via d’uscita.
“Maybe we’d be
better off.”
Stronzo, di nuovo.
Dalla gola di Axl proruppe
un singulto simile a una risata, come se avesse avuto la consapevolezza delle
esatte parole che gli occhi del compagno avevano trovato sul foglio sul quale,
nelle ore precedenti, avevano costruito da zero una canzone. Non una a caso –
e no, nemmeno da zero, avrebbe detto Stradlin.
«And why is that?
‘Cos they’ve forgotten how to play.»
Da tanto non si facevano
insieme. Da tanto credeva – o credeva che lui credesse – che certe cose fossero
troppo puerili per la sofisticatezza del suo cantante. Una distrazione, un
vortice di cui però, a giudicare da quelle parole, non si era affatto
dimenticato.
La percezione della stanza si
era fatta distorta, l’eccitazione lasciava lo spazio alla paranoia, quel
sentimento così usuale, ma mai così devastante. Se non fosse stato fatto, avrebbe
avuto ugualmente mille preoccupazioni.
Amplificato, tutto era
amplificato. Ma il tutto esulava dalla paranoia. Ogni cosa era
troppo.
Forse, per loro, quella sera
era scaduto il tempo. Sopportarsi per ore era vano se l’imprudenza li portava
poi a tirare la corda, camminando in bilico per scoprire quanto forte potesse
essere il botto se il tempo scadeva, se il timer digitale di quella bomba fosse
giunto allo zero.
«Forse dovresti andartene.»
Un altro sogghigno in risposta
a uno sguardo nascosto da una lunga cascata di ricci, che si era riscoperta
utile esattamente come si era immaginato all’inizio, prima che servisse anche a
nascondersi dal suo cantante.
Ma sapevano entrambi che non si
fermava lì. Non era solo il suo cantante. Semplicemente, non
poteva esserlo.
«Non mi vuoi più attorno?»
«Non voglio litigare, sai che
stiamo per farlo.»
«Allora dovresti accompagnarmi
alla porta.»
«Che cazzo te ne frega delle
buone maniere?»
«Non sono cazzi tuoi.»
Scrollò i ricci e si alzò,
indugiando un momento di troppo sullo sguardo felino di Axl, ora
illuminato dal raggio di un lampione che passava attraverso le tende accostate
male. Solo un lampione, non la cazzo di luna.
Abbottonò i jeans, perennemente
slacciati – forse la ricerca della lascivia non lo abbandonava nemmeno in una
camera senza luci e senza occhi, a parte quelli del suo nemico –, e non si curò
di indossare delle scarpe sulla moquette. Gli solleticava i piedi, più o meno
come la presenza del rosso gli solleticava i coglioni.
Voleva che se ne andasse prima
che la paranoia giungesse a livelli estremi, portandolo a limiti estremi
che non era interessato, al momento, a voler esplorare.
“My body’s callin’.”
E al diavolo anche quel foglio
del cazzo che continuava a tenere stretto tra le dita.
«Don’t think twice, do what you have to do.»
Fu un attimo.
Lo vide attraversare la porta,
abbozzò un sorriso per mostrare quanto fosse sollevato dalla sua dipartita, ma
fu il suo ennesimo errore quello di cantar vittoria troppo presto. Con un
ringhio animalesco – o forse il sogghigno di una belva, non lo sapeva e non
ebbe il tempo di capirlo – si voltò di scatto e lo inchiodò allo stipite della
porta, mordendogli il labbro inferiore fino a farlo sanguinare con la sua foga
efferata mentre Slash batteva il capo contro uno spigolo.
Cosa?
Niente dita intrecciate ai
capelli, niente carezze, solo una violenza in contrasto con la delicatezza del
rivolo di sangue che scendeva sul collo di Slash, ennesimo regalo del suo
cantante che, leccandosi le labbra ornate da stille scarlatte, sogghignò di
nuovo e arretrò di qualche passo.
Non era un bacio, era una
dimostrazione di potere, uno sfogo di rabbia, un impeto dei soliti che
coglievano Axl nei momenti meno opportuni.
Se quello non fosse stato il
classico esempio di momento inopportuno, forse avrebbe riso ricordando quando,
per la prima volta, avesse capito la reale profondità del suo carattere, per
una cosa così semplice come fingere una frase di scuse con la vecchia Ola.
Lo vide sbuffare dal naso in
un’apoteosi di arroganza che, per lui, non era altro che un semplice accenno a
cosa fosse realmente capace; in quel momento, sapeva farlo sentire una nullità
meglio di chiunque altro. E, a ben pensarci, nessun altro avrebbe
potuto piegare Slash come lui, con un semplice gesto, sapeva sempre fare.
Meglio di un tiro di coca.
«Non hai avuto i coglioni
nemmeno per tirarti indietro.»
«In this kiss I’ll change your bore for my bliss.»
Abbassò lo sguardo, di nuovo,
incrociando quelle parole. Si chiese per quale motivo non avesse davvero
disintegrato quel pezzo di carta. Si ritrovò a rimpiangere quando, agli inizi,
scrivevano canzoni su tovaglioli che poi usavano per pulirsi la bocca e dopo il
culo.
“Make me come
back to this… world again.”
L’aveva scritta lui quella
canzone, per dio, e non era possibile che si prendesse gioco di lui in quel
modo, come se fosse più reale di lui, come se avesse più libero arbitrio di
quanto, effettivamente, ne avesse dimostrato un attimo prima.
O forse, rimanendo dov’era, ne
aveva dimostrato anche troppo.
Con un ringhio furioso
appallottolò il foglio e lo scagliò lontano, in un punto a caso. Fu ridicolo,
la beffa oltre al danno, perché, con tutte le superfici su cui cadere, finì
proprio là: sulla sedia che, fino a pochi istanti prima, aveva occupato proprio Axl.
Si voltò per insultarlo, ma se
n’era andato, probabilmente dopo essersi goduto il suo teatrino di paranoie. Di
lui rimaneva solamente un tintinnio giù per le scale e una risata sardonica
volta esclusivamente a prenderlo per il culo.
“What the fuck is
going on?”
Quella canzone l’avevano
scritta insieme – beh… –, non poteva certo aspettarsi che le parole uscissero
dalla sua testa. Erano là. Là a ricordagli che non aveva
saputo controbattere, a ricordargli che Axl aveva vinto.
Di nuovo.
«It takes a fool to remain sane
in this world all covered up in shame.»
*
Sono fuori dai
miei schemi con questa fanfic, ma Lilith Hedwig l'ha
chiesta in un'iniziativa su PY e
qualcosa è scattato nel mio cervellino bacato; quindi la ringrazio per
avermi incentivata a scrivere e avermi promptato Coma, che è
appunto inserita nel testo come i versi che legge Slash. L'altra canzone,
quella che interrompe i pensieri e lo svolgimento delle cose e dà il titolo
alla fic è It takes a fool to remain sane, degli Ark. I versi,
tanto per dire, non sono in ordine, ma alla caso. Ringrazio anche GioTanner per avermi betata e
supportata.
Mi è stato
fatto notare che, sebbene nei credits di Use Your Illusion compaiano solo
Axl e Slash, una parte significativa della musica è stata scritta da Izzy. Okay,
è vero – lo dice Slash stesso nella biografia, somewhere – ma ci tengo a
precisare che non ho scritto che è stato solo Slash a scrivere la musica. Nel periodo
di tempo in cui si svolge la fic sì, perché Izzy non appare, ma non significa
che non possa averne scritta un’altra parte prima o dopo. Tutto qua. Solo, non
è specificato perché la storia si concentra su altro.
Se qualcuno mi
segue ancora, si ricorda che io detesto, in generale, lo slash tra
i Guns; ma, a onor del vero, mi è piaciuto da morire scrivere
questo affare.
Chara