UN INUTILE ADDIO
La notte era
passata lenta ma inesorabile, come una colata di catrame su una
striscia di strada che mi portava verso un giorno inutile, il primo
d’infiniti giorni inutili.
Sedevo con un bicchiere vuoto tra le mani fredde, sul davanzale della
finestra chiusa, guardando il riflesso del buio oltre il vetro.
Nonostante il sole avesse leso le nuvole con flebili raggi, io
continuavo a vedere nero, come se l'alba non fosse mai arrivata, come
se non dovesse arrivare mai più.
Un leggero bussare infastidì il mio silenzio.
La rabbia della sera aveva lasciato il posto ad una glaciale
passività e non avevo voglia di infrangere la cortina di
gelo che mi stavo costruendo a fatica.
La maniglia si mosse lentamente e la porta cigolò mentre
riconoscevo i passi di Elena che entrava nella stanza.
Cercai di non voltarmi, di fissare lo sguardo sulle mie mani.
- Damon ... -
La sua voce fu una scarica elettrica che mi scosse nel profondo.
Strinsi il bicchiere per cercare di non muovermi, ma il fragile vetro
si frantumò sui miei palmi.
- Damon ... -
La sua voce era titubante, quasi timorosa ...
Voltai lo sguardo verso i vetri, resi opachi dalla condensa del mio
respiro, e vidi il suo riflesso.
- Ok ... - continuò lei - se non vuoi parlarmi, almeno
ascoltami. Non so cosa ti sia preso ieri sera ... non so quale malsana
idea ti abbia fatto dire quelle frasi insensate ma ... –
Elena incontrò i miei occhi nel riflesso della finestra che
ne cambiava il colore, da azzurri a grigio piombo, il colore del mio
umore.
-Vedo che non sei ancora pronto a discuterne con calma ...-
Non lo sarei mai stato.
- Stefan ha chiamato: ci vuole parlare ... deve essere accaduto
qualcosa a Katherine e ...
Mi voltai di scatto e la guardai con disgusto: non
m’interessava nulla di Kath ... non me ne fregava niente di
Stefan.
La sera prima avevo dato un taglio alle mie illusioni e mi ritrovavo a
dover decidere un futuro senza Elena: qualsiasi cosa stesse al mondo
accadendo non era affar mio, non più.
- Perché mi guardi quel modo? - domandò affranta,
fraintendendo il mio sguardo.
- Perché sto cercando di stapparti dalla mia anima, e non
é facile se tu mi sei vicina. -
- Damon ... parliamone. -
Poggiai i piedi sul pavimento e mi alzai per dirigermi verso la porta.
- Non c'é nulla di cui parlare ... -
- Va bene ... non ora. Ho bisogno di cambiarmi e di farmi una doccia
... -
- Me ne stavo giusto andando: fai quello che vuoi ... -
Mentre le passavo accanto, lei mi posò la mano sul braccio:
un tocco lieve, un debole tentativo di trattenermi.
Guardai prima la mano e poi alzai lo sguardo verso il volto di Elena.
Il ghiaccio aveva raggiunto i miei occhi, ma sentivo il colore
irradiarsi dalla sua mano. Rimasi immobile.
Vedendo la mia espressone truce, Elena si ritrasse e, abbassando lo
sguardo, si diresse verso il bagno.
Guardai la sua schiena allontanarsi: i capelli ondeggiarono mentre
scuoteva la testa, esasperata.
Richiusi la porta alle mie spalle con un tonfo sordo e mi diressi verso
l'uscita: qualsiasi cosa avesse in mente mio fratello, non volevo farne
parte.
Non feci in tempo ad afferrare il mio giubbotto di pelle che la porta
si aprì di fronte a me: Jeremy e Bonnie fecero capolino
oltre la soglia.
- Buongiorno ... Stefan ci ha detto di venire ... - mi
salutò Jeremy.
Vedendo il mio volto assolutamente impassibile, mi rivolse uno sguardo
indagatore.
- Dormito male? - insinuò Bonnie.
Mi spostai per farli entrare senza proferire parola: se avessi permesso
alle mie labbra di aprirsi, li avrei investiti d’insulti.
- Dove credi di andare? - la voce di mio fratello bloccò i
miei passi sui gradini ancora bagnati dalla rugiada della notte.
- Credo che non siano affari tuoi. - riuscii a ringhiare.
- Elena non ti ha detto che ... -
- La tua messaggera ha trasmesso il tuo ordine ma credo di essere
impegnato.-
- Kath sta male ... -
- Sai cosa me ne importa.-
- Potrebbe morire ... -
Mi voltai a fatica.
Non avevo voglia di affrontare una conversazione e sapevo che, con
tutta la rabbia e la frustrazione che avevo in corpo, una discussione
avrebbe potuto trasformarsi in una rissa.
- Stefan ... capisco che la vostra "ricongiunzione" possa averti fatto
dimenticare di chi stai parlando ma ... per me potrebbe schiattare
anche adesso. –
- Damon, per favore ... - Stefan sapeva essere veramente fastidioso.
- Se proprio ci tieni, verrò a brindare alla sua dipartita
... ma non adesso; ho bisogno di uscire. -
La mia maschera di ghiaccio doveva funzionare se nessuno riusciva a
cogliere la devastazione che nascondeva o, forse, più
semplicemente nessuno poteva credere che io, Damon Salvatore, potessi
avere un motivo plausibile per essere sul baratro della mia esistenza.
- Sua figlia la sta portando qui ... volevo che trascorresse le sue
ultime ore in casa nostra ...
Stefan non voleva mollarmi: che palle!
Avevo sete ... avevo voglia di sangue ... avevo voglia di andare a
sbattere contro un albero ... avevo voglia di mettere mille miglia tra
me ed Elena ... di tornare in camera e amarla fino allo finimento.
Invece ero intrappolato dallo sguardo tra il patetico e
l’accusatore che mio fratello mi rivolgeva.
- Che cosa vuoi che faccia? Che mi sieda al suo capezzale e le tenga la
mano finché non esalerà il suo ultimo respiro? O
preferisci che ponga fine alla sua agonia spaccandole l'osso del collo?
– domandai.
- Damon ... capisco che tu non senta empatia verso di lei, ma potresti
essere un po' meno sarcastico? A volte sei proprio insensibile ... -
Io ero insensibile ...
Io, che mi stavo frantumando ... che stavo rinunciando a vivere ... che
stavo ritornano nel nulla ...
Rassegnato ai lapidari giudizi del mio candido fratellino, feci dietro
front e raggiunsi l'allegra compagnia nel salotto.
Alle mie spalle sentii una macchina frenare nel vialetto: probabilmente
Kath e sua figlia erano arrivate.
Stefan mi oltrepasso per andare ad accoglierle, mentre io non volevo
nemmeno posare lo sguardo su colei che era stata la rovina
d’intere generazioni di persone.
Entrando in salotto, percepii la presenza di Elena.
Senza guardare dove fosse, mi avvicinai ai liquori e mi versai
un'abbondante dose di bourbon.
Sentii i passi di Stefan e di altre persone dirigersi al piano di sopra.
Jeremy e sua sorella stavano parlando sottovoce, mentre Bonnie
ascoltava silenziosa.
- Se ti chiedessero di guarirla, cosa faresti? - le domando il suo
ragazzo.
- Ti ha ucciso ... io sono un'ancora ... Elena ha patito le pene del'
inferno ... Caroline è un vampiro e tutto grazie a lei ...
Credo che meriti di andare incontro alla sua sorte. Poi anche volendo,
non ho più i miei poteri, quindi il problema non si pone. -
Nella stanza entrarono Stefan e Matt.
- Abbiamo portato Kath in una delle stanze. É grave e credo
che sua figlia voglia tentare l'impossibile ... - ci
comunicò Stefan laconico.
- Brindiamo alla sua imminente e gloriosa morte! – dissi,
alzando il bicchiere.
- Smettila di fare il cinico. – mi rimproverò
Stefan.
- Cerca di capire Stefan: non gioisco … non
m’intristirò … non me ne può
fottere di meno!
- E’ stata parte delle nostre vite …-
- La parte peggiore. Ognuno di noi ha un motivo per odiarla, forse
più di uno … nessun ricordo felice …
nessun motivo per rimpiangerla … nessuno, tranne tu,
l’unico ed infinito amore che si è preso la sua
ultima notte. –
Elena voltò lo sguardo verso mio fratello, stupita,
incuriosita e … gelosa?
Stefan si diresse verso la finestra sul giardino, in silenzio.
Decisi si sprofondare nel divano, in attesa del momento propizio per
andarmene. Non volevo rimanere per celebrare la più grande
stronza che avessi mai incontrato.
Cercai di ricordare il motivo per cui l’avevo amata, per cui
avevo trascorso decenni a struggermi per una sua falsa morte, a tentare
di riportarla in vita per poi sentirmi dire che non mi aveva mai amato
… che aveva amato sempre e solo Stefan.
Eppure allora non ero il mostro in cui lei e i sadici dottori mi
avevano trasformato. Non ero cinico … non ero marcio
… eppure …
Elena, seduta sul tappeto, seguì Stefan con lo sguardo, per
poi riposarlo su di me.
Piegai le labbra in un sorriso tagliente come la lama di un rasoio.
-A volte bisogna rassegnarsi: rianimare un moribondo significa solo
allungare le sue agonie. Combattere contro la sorte è un
atteggiamento suicida e deleterio: prima ci si rassegna, prima si va
avanti. –
- Parli con me o con Stefan? – chiese Elena.
- Parlo per chi mi vuole ascoltare. –
- Ascoltati prima di dire altre banalità –
replicò lei, alzandosi.
Era ovvio a tutti che qualcosa era accaduto tra me ed Elena, ma nessuno
osava proferire parola.
Kath parlava sommessamente con la figlia: stavano discutendo sulle
varie possibilità di sopravvivenza, di magie e contro
incantesimi, riti e antichi misteri.
Non volevo saperne nulla … non volevo essere parte di nuovi
esperimenti.
Elena aveva raggiunto Stefan e stavano parlando a voce bassissima, in
modo che nemmeno con l’udito vampiresco potessi ascoltare la
loro conversazione.
Lei aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva, mentre lui aveva lo
sguardo perso nel mare caldo delle iridi color cioccolato della mia
donna … della donna che non era più mia.
Lui alzò il braccio e le accarezzò dolcemente la
guancia, mentre lei gli afferrava la mano per trattenerla un attimo di
più, un attimo di troppo.
Era lui quello giusto? Ce ne sarebbe mai stato una abbastanza giusto
per lei?
Lo spettacolo delle loro amichevoli effusioni mi stava nauseando.
Non potevo rimare un attimo di più.
Nadia entrò nel salone, proprio mentre anche
l’amica oca di Elena faceva il suo debutto trionfale.
Dissero qualcosa … pronunciarono parole senza alcun suono,
mentre mi fiondavo fuori, per scomparire in un secondo oltre i confini
della mia proprietà.
Ormai il sole era allo zenit e le nuvole si erano dissolte.
Tutto quel trionfo di luce m’infastidiva, urtava contro il
mio desiderio di buio e oblio.
Sferrai un calcio a un sasso, la cui unica colpa era di trovarsi al
pasto sbagliato nel momento sbagliato.
Io ero nel posto sbagliato.
Io ero sbagliato.
Sbagliato per Elena … sbagliato per chiunque.
Mi ero illuso di poterla amare, mi ero illuso di poterne essere degno,
riscattare il mio passato con un presente diverso, con un futuro da
costruire.
Illuso … appunto.
Tutti vedevano il mio ritratto distorto … solo Elena ed io
ci illudevamo di poterne dipingere uno nuovo.
Con un pugno sradicai un piccolo albero, con un ringhio feroce feci
scappare uno stormo di uccelli … ma a che cosa serviva la
mia potenza, a cosa la mia ferocia, se non potevo scegliere come e con
chi vivere la mia vita?
Travolto dal fiume in piena delle mie sensazioni mefitiche, mi diressi
verso il Wickery Bridge, inizio e fine di ogni storia di questa
città.
Mi appoggiai al parapetto e aspettai.
Aspettai un segnale dal destino, un passante da dissanguare, un fulmine
che mi trapassasse, un alito di vento, una goccia di pioggia.
Come evocata, una giovane studentessa si materializzò nella
direzione che portava alla periferia della città.
Era piccola … un’adolescente ancora in bocciolo.
Il profumo del suo sangue mi violentò le narici: era tanto
tempo che trattenevo il mostro … troppo tempo che frustravo
il mio istinto.
Come un cobra, mi misi tra lei ed il pomeriggio appena iniziato.
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