Bambino sperduto

di IsabellaLight
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Un bambino si aggirava tra le strade di Londra da solo, senza un adulto a sorvegliarlo, senza un minimo di protezione. Si chiamava Edward e aveva 12 anni, ma poteva essere scambiato tranquillamente per uno più piccolo, a causa della sua altezza, dei suoi occhi verdi che trasparivano innocenza e dei lineamenti infantili. Era tardi quando si rese conto di conoscere quel quartiere. Era solito andarci con suo padre. Diceva che quel palazzo, all’incrocio tra Baker Street e Crawford Street, aveva la vista più bella di tutta Londra. Quella sera però era diversa. Il cielo era nero, senza nemmeno una stella, solo la luna illuminava le strade a quell’ora deserte. Tutto era molto inquietante, c’era una pace innaturale, come la quiete prima della tempesta. Sapeva che qualcosa stava per accadere. Niente era come ricordava. In lontananza si poteva udire il rumore stridulo dell’altalena del parco giochi che dondolava: avanti, indietro, avanti, indietro. Aveva uno strano peso sul cuore, come se sapesse che la sua ora era arrivata, che la sua fine era vicina. Ad un certo punto, anche l’altalena smise di cigolare, e tutto tacque. Edward arrestò il passo. Non udiva nient’altro che il suo respiro accelerato. All’improvviso sentì un rumore di passi che si avvicinavano ed una figura che lo scrutava attentamente. Allora il ragazzino, preso dalla paura, iniziò a correre e l’ombra fece lo stesso. Era molto più veloce rispetto a lui, una velocità quasi sovrumana. Non appena vide un vicolo illuminato vi si gettò all’interno. Oh, oh. Vicolo cieco. Tentò di tornare indietro, ma quella figura incappucciata così scura ed inquietante gli bloccò la strada, si sfilò il cappuccio e lo guardò. “Papà” pensò il bambino. Nei suoi occhi infantili si poteva leggere la sorpresa. Sorpresa di rivederlo dopo tanto tempo, ma alo stesso tempo sorpreso nel constatare che in quei 3 anni era cambiato più di quanto un uomo può fare. La pelle pallida non aveva niente a che fare con quella olivastra di un tempo. Le occhiaie marcate, le unghie lunghe, i denti aguzzi e i canini che spuntavano dalle labbra. Non aveva niente in comune con la persona che ricordava. L’uomo gli si avvicinò con passo felpato, mormorò “Scusami figliolo, ma non ci riesco” e poi più nulla.




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