We are on a hiding to nowhere
we still hope, but our
dreams
are not the same
And I, I lost before I
started
I'm collapsing in
stellar clouds of gas.
Shampoo camminava infreddolita per le vie di Pigalle.
L'inverno parigino era decisamente più rigido di quello
nipponico.
Si fermò in un caffè a prendere una cioccolata
d'asporto, concedendo a se stessa una piccola trasgressione alla rigida
dieta cui si era sottoposta, poi riprese a camminare.
I nomi, le strade, i volti. Tutto le era sconosciuto.
Una sciarpa grigia a trama fitta le copriva la metà
inferiore del viso arrivando fino al naso, che faceva capolino da
quell'agglomerato di lana per permetterle di respirare; dei grossi
occhiali da sole, nonostante non ci fosse troppa luce, le permettevano
di estraniarsi da quella città così ostile,
mentre un pesante cappello con visiera coordinato alla sciarpa
proteggeva i suoi lunghi capelli, tenendole al caldo la testa e
permettendo al suo cervello iperattivo di continuare a perdersi nei
suoi pensieri senza ibernare.
Aveva iniziato a lavorare come ballerina in uno squallido locale di
lapdance proprio di fronte al suo appartamento.
Il suo titolare, Il
Viscido, come amava chiamarlo, non faceva che chiederle di
fare un passo in più, di dare la sua
disponibilità ad intrattenere i clienti al di là
delle semplici danze, visto che la sua bellezza non passava inosservata
nemmeno oltreoceano, ma se ne era sempre rifiutata.
Benchè la vita ed il suo stesso popolo le avessero giocato
un brutto scherzo era sempre un' Amazzone, e le Amazzoni hanno cuore e
cervello. E orgoglio, tanto orgoglio.
L'unica speranza a cui appigliarsi, nelle notti in cui piangeva
disperata davanti a film romantici sottotitolati dei quali non capiva
una parola, era proprio quella parte di sè che amava e
odiava, ma che le impediva di disprezzare del tutto se stessa quando si
guardava allo specchio la mattina.
Quanto diavolo poteva essere stata stupida?
Mentre Rue du Moulin
Joly scorreva sotto i suoi passi, camminando velocemente
cercando, invano, di trovare un po' di calore nel movimento, Shampoo si
rese conto di quanto la dura realtà fosse sempre stata sotto
ai suoi occhi, fin dall'inizio. Ranma non la voleva, non l'aveva mai
voluta.
E, sotto sotto, nemmeno lei lo aveva mai voluto.
Aveva scambiato l'amore per una sfida e, come tale, voleva vincerla a
tutti i costi, usando qualsiasi mezzo a sua disposizione, come le
avevano insegnato sin da piccola.
Peccato che il premio non fosse mai stato all' altezza dei suoi sforzi.
La sfacciataggine con cui il codinato l' aveva rifiutata, perennemente
e continuamente, la leggerezza con cui si prendeva gioco di lei ed
approfittava della sua devozione quando sperava di ottenere qualche
filtro magico per guarire dalla sua maledizione, il gelo nel suo
sguardo il giorno in cui aveva inghiottito quintali di orgoglio per
andare a mandare a monte il suo matrimonio in un ultimo, disperato atto
di speranza l'avevano smontata come un puzzle, lentamente ed
inesorabilmente, fino a farla arrivare lì, in quella che le
sembrava la città più fredda del mondo.
Se Ranma Saotome fosse stato una sensazione, sarebbe stato il freddo di
una doccia gelata che t'investe all'improvviso e ti trasforma in
qualcosa che non sei, che ti rende mostruoso agli occhi degli altri.
Un po' come la maledizione di cui fortunatamente si era liberata.
Uno sconosciuto alto ed imponente, non che avesse perso tempo a
guardarlo, la urtò con una spallata.
Nonostante il colpo fosse stato abbastanza violento, se ne accorse a
malapena.
Mormorò uno stentato Excusez
moi senza nemmeno alzare la testa per guardarlo in faccia,
mentre sentiva il ragazzo fare lo stesso.
Poi riprese a camminare.
***
Healed, or are you still just
reeling?
Are you fine? Have you
found
a way to escape?
Are you here, just
because I need you?
Can we hole up, a big
freeze
is headind our way?
Era il gennaio più freddo che ricordasse, e dire che il
clima di Tokyo non era famoso per essere dei più rigidi.
Suo padre l'aveva convocata in palestra e le aveva chiesto di prenderne
le redini, finalmente.
''Te la senti?''
No, che non me la sento.
Questo avrebbe voluto dirgli.
Era cresciuta in quella parte della casa, l'aveva difesa strenuamente
quando qualche pazzo venuto da chissà dove decideva che
voleva portargliela via, aveva riso e pianto tra quelle quattro mura di
cui aveva fatto il suo rifugio. E ci si era quasi sposata dentro.
Dopo la partenza di Ranma e la ristrutturazione che aveva seguito il
disastro del matrimonio mancato lo aveva deciso: non avrebbe combattuto
mai più. Le arti marziali avevano portato solo drammi nella
sua vita: un' adolescenza passata ad odiare gli uomini e a disprezzarli
perchè più deboli di lei, un fidanzamento
combinato sulla base di uno stupido accordo tra scuole di lotta,
l'arrivo di una mandria di pazzi mutaforma violenti, l'amore scoperto
troppo tardi, l'abbandono, la disperazione, l' umiliazione, la voglia
di chiudere gli occhi e non riaprirli mai più.
''Non sono nemmeno cintura nera'', fece notare mestamente a Soun, che
la guardava preoccupato. Nemmeno un drammatico per natura come lui
avrebbe mai immaginato di vedere sua figlia nelle condizioni in cui
aveva versato nei mesi precedenti.
Ma Akane era in ripresa e voleva renderla felice, a qualunque costo.
Era diventato vedovo quando le sue figlie erano ancora troppo piccole
per avere la personalità pienamente formata ed aveva fatto
quello che poteva per crescerle al meglio e lasciare che seguissero le
loro inclinazioni, ma Akane era la sua legittima erede, di questo era
certo. Se ci fosse stata ancora la sua povera moglie, probabilmente,
gli avrebbe consigliato di regalare alla figlia minore un viaggio o dei
vestiti nuovi, ma lui era un uomo ed un artista marziale, non
immaginava nulla di più bello e grande al mondo che ricevere
un tale riconoscimento dal proprio padre e maestro, ed aveva deciso che
la sua piccolina lo meritava.
''C'è una competizione la settimana prossima, la vincerai e
poi faremo una grande festa per comunicare a tutti che sei diventata la
capopalestra''
''Una settimana?'', obiettò lei, stupita e spaventata, ''Non
ce la farò mai, papà, sono troppo debole!''
''Akane, io credo che tu in questi anni ti sia sottovalutata troppo. Da
quando, hem...'', tossì.
''Puoi dirlo'', rispose cupa abbassando gli occhi davanti al palese
imbarazzo di suo padre, ''Puoi dire il suo nome, non mi
ucciderà''
''Scusami, figliola, non volevo fartelo tornare in mente''
Come se non fosse sempre
nella mia mente, pensò la giovane sorridendo
amaramente.
''Intendevo solo dire che da quando lui... Hem... Ranma'',
sputò quel nome come se fosse stato avvelenato, ''Da quando
Ranma è arrivato a casa nostra la tua forza è
stata ingiustamente messa in ombra. Sei perfettamente in grado di
vincere e diventare cintura nera, se gli eventi degli ultimi tempi non
ci avessero tenuti occupati probabimente lo saresti già da
tempo''
Riaprire il vaso di Pandora e ripensare a tutto quello che le era
capitato in quei folli tre anni fu questione di un attimo, e ad Akane
non piacque ciò che ci vide dentro.
Un giovane era piombato in casa sua, in veste di suo promesso sposo.
Le aveva causato una serie infinita di problemi a casa, a scuola e nei
rapporti con gli altri, l'aveva derisa e svilita in tutti i modi
possibili in cui una donna potesse essere umiliata, si era portato
dietro una schiera di nemici non troppo amichevoli e non sembrava mai
realmente dispiaciuto o intenzionato a rimediare a tutti i danni, in
primis economici, che aveva causato alla sua famiglia.
Ma c'era dell'altro.
In qualche modo, inspiegabilmente ed in punta di piedi, si era fatto
strada nel suo cuore, nonostante le pessime premesse, fino a rendersi
indispensabile.
Da indesiderato
ad indispensabile.
L'aveva messa in condizione di fidarsi, di aprirsi a lui, di non
vergognarsi dei suoi sentimenti che sembrava addirittuta ricambiare.
E poi era sparito nel nulla.
Se Ranma Saotome fosse stato una sensazione sarebbe stato il freddo
pungente che si prova in inverno quando si esce dal letto la mattina
presto. Un secondo prima sei avvolto nel tepore delle coperte, nella
loro familiare sicurezza, ed un attimo dopo il buio ed una sensazione
molto simile al dolore s'impossessano di te, cogliendoti di sorpresa e
non lasciandoti scampo, togliendoti quasi il respiro.
Alle spalle di suo padre vide una piccola crepa nel muro.
Impercettibile,
un'altra parola con la i.
Talmente nascosta allo sguardo da essere sfuggita alle minuziose opere
di ristrutturazione che sua sorella Nabiki aveva provveduto a pagare,
stranamente di buon grado.
Il primo squarcio in quella parete risaliva al primissimo incontro tra
lei e Ranma, quando lui era solo una ragazzina arrivata a casa sua in
braccio ad un grosso panda e lei, tanto per essere gentile, l'aveva
invitata in palestra per un combattimento amichevole.
Ranma si era scansato all'ultimo ed il suo pugno aveva colpito il muro.
Praticamente una metafora di quella che sarebbe stata la loro relazione.
Lo squarcio era stato riparato e riaperto a più riprese nei
mesi a seguire, ma il giorno del matrimonio Ranma, dopo che Happosai
aveva bevuto l'acqua della Nan Nichuan scambiandola per sake, si era
accanito contro quel muro, proprio quello ironicamente, ed aveva
scaricato tutta la sua rabbia sulle sue ormai vecchie e stanche assi di
legno, lasciando una traccia di sè, l'ultima.
Akane l'aveva ritrovata poche settimane prima, quando era finalmente
uscita dalla sua stanza per festeggiare il Natale con le sue sorelle,
ed aveva custodito gelosamente quella scoperta, non facendola notare a
nessuno per paura che potessero portarle via anche l'ultima prova del
passaggio di quel deficiente del suo primo, grande amore nelle loro
vite.
Tornò a prestare attenzione a suo padre, sorrise.
''Accetto''
Se tutto era iniziato e finito in quel luogo, forse, tutto poteva
ricominciare da lì, pensò.
***
Fight, or will you show me
mercy?
We've expelled the
goodness
from our hearts.
Are you here just to
prove you're winning?
Can we hole up, and ride
out this electrical storm?
We destroyed something
beautiful.
We have faith, but our
truths
are not the same.
Excusez moi.
Lo sussurrò piano a quella giovane minuta ed infagottata che
aveva investito, perso come sempre nella sua guerra interiore.
Si voltò un istante a guardarla, mentre camminava spedita
nella direzione opposta alla sua, pestando le mattonelle di strada che
lui aveva appena percorso.
Non ci aveva trovato nulla di buono, augurò a quella ragazza
un destino migliore. Chissà se anche lei si sentiva sola ed
estranea al mondo come lui.
Frugò nelle tasche per cercare un biglietto utile della
metropolitana, scartandone alcuni già usati e buttandoli in
un cestino, dopodichè scese le scale della stazione e si
sedette su una panchina ad aspettare il treno.
Lì sotto il freddo era ancora più pungente, gli
spostamenti d'aria causati dai convogli in movimento lo facevano
rabbrividire e la febbre da cui era appena guarito sembrava minacciarlo
di volersi ripresentare da un momento all'altro.
Un ragazzo di colore accanto a lui mise una sigaretta in bocca e lo
guardò, dicendogli una frase incomprensibile in francese che
Ranma aveva interpretato come la richiesta di un accendino.
''Non'',
sorrise scuotendo la testa, era una delle poche parole che aveva
imparato.
Il treno arrivò e, stranamente, riuscì a trovare
un posto a sedere. Aprì la cartina che aveva nella tasca dei
jeans, si tolse un guanto per essere agevolato nella scrittura ed
iniziò a segnare le zone che avrebbe dovuto visitare quel
giorno.
La scheggia di legno infilata lungo il suo indice destro gli faceva
sempre male quando cambiava il tempo.
Risaliva ad uno dei suoi ultimi giorni in casa Tendo, un anno e mezzo
prima. Happosai si era letteralmente bevuto il suo sogno più
grande e lui si era sfogato contro uno dei muri del Dojo, come sempre.
Con il pollice accarezzò dolcemente quel pezzettino di legno
conficcato sottopelle, piccolo e fragile come qualcuno che conosceva
molto bene e, proprio come il perenne oggetto dei suoi pensieri,
destinato a far parte di lui per sempre.
Tornò a volgere il suo sguardo alla cartina, cercando di
capire che percorso fosse più conveniente fare per
raggiungere la sua prima meta: la Défense,
il quartiere moderno.
Aveva praticamente buttato i soldi del corso serale di francese, avendo
imparato a malapena ad ordinare una ciotola di riso al ristorante
cinese sotto casa, ma ricordava precisamente cosa significasse quella
parola, a lui molto cara: difesa.
Sei lettere che definivano un'esistenza, la sua.
La sua vita era sempre stata scandita da quel lemma così
semplice, che era anche una delle prime basi delle arti marziali.
Da bambino, in viaggio con suo padre, aveva imparato a difendersi dalla
fame e dalle intemperie, dalle situazioni imprevedibili e dai
malintenzionati che gli era capitato di incontrare lungo la via.
A Nerima, quando aveva iniziato a vivere in maniera più o
meno stabile, aveva imparato a difendersi dai continui attacchi dei
suoi rivali in amore e da quelli ancora più pericolosi delle
sue sedicenti fidanzate, dai pettegolezzi dei compagni di scuola e
dallo strozzinaggio di Nabiki.
Con Akane, poi, non si trattava d'altro.
Doveva continuamente difendere se stesso dai suoi attacchi d'ira, dalla
sue secchiate d'acqua e reazioni violente, per non parlare della sua
cucina creativa.
Aveva imparato a difendersi dal suo fascino, da cui risultava essere
l'unico immune mentre, in realtà, ne era la prima vittima.
Aveva imparato a chiudere il suo cuore ed a difendere se stesso da quel
sentimento che era la più grande debolezza e principale
causa di rovina di ogni combattente: l'amore. O almeno così
credeva, così gli era stato insegnato.
Se avesse dovuto descrivere se stesso paragonandosi ad una sensazione
avrebbe optato per il freddo di una lastra di ghiaccio che sembra
invincibile ed impenetrabile, ma è comunque sensibile alle
crepe, dalle quali può filtrare praticamente ogni cosa. Se
scalfita troppo a fondo, una lastra di ghiaccio rischia di
sgretolarsi, pur non perdendo mai la consistenza dura e gelida, la sua
grandezza.
Questo, ovviamente, a meno di una giornata particolarmente soleggiata.
Ranma non era scappato dall'amore che provava per Akane, si era
semplicemente reso conto di essersi avvicinato troppo al sole.
Chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale del sedile
mentre il treno della metropolitana correva veloce sotto il suolo
parigino.
Il tornare a casa era un'opzione che aveva considerato più
di una volta, da quando era tornato un ragazzo normale, ma con che
faccia lo avrebbe fatto dopo aver abbandonato la famiglia che lo aveva
accolto con tanto amore e, soprattutto, dopo aver perso il primato
dell'imbattibilità, forse l'unica cosa che lo rendeva degno
di Akane?
Scese dal treno, salì le scale della stazione ed
uscì all'aria aperta, venendo colpito in pieno volto dal
freddo di quella città che per lui rappresentava allo stesso
tempo un rifugio ed una sfida.
E riprese a camminare.
Scusate l'eccesso
d'introspezione, prometto che non sarà sempre
così.
La canzone
è Big Freeze dei Muse, ascoltatela!
Grazie di cuore a chi
ha letto il precedente capitolo e leggerà anche questo. sono
felice che Tutto come prima non sia finita nel dimenticatoio! (si capisce che anche qui la parte di Akane è ambientata un anno prima rispetto alle altre due?)
A presto!
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