Angolino
dell'autrice:
Pubblicare
una storia in questa sezione è un po' una sfida per me,
perché so bene che è una delle meno frequentate. Posso
solo dirvi che è sostanzialmente la storia di una ragazza
normale, finita in un mondo che tanto normale non è. Spero che
possa piacervi. Preavviso che lo stile di questo prologo è un
po' diverso dal resto della storia. Questo perché era nato
come one-shot, con un finale completamente diverso, ma è
mutato sotto i miei occhi e posso solo dire che il risultato per ora
mi soddisfa. Ho già pronti una quindicina di capitoli, quindi
direi che riuscirò ad aggiornare più o meno una volta a
settimana. E ora... buona lettura!
---------------------------------------------------------------------
Ginevra
era perfetta. Ma non nel senso lato del termine. Letteralmente.
Ovviamente era bellissima, ma non si trattava solo di questo. In lei
ogni minima imperfezione pareva soltanto accrescere il suo naturale
splendore. I capelli ramati che le scendevano sulle spalle tutt'altro
che lisci, eppure così lucenti da abbagliare. Il viso rotondo,
a tratti quasi infantile, come quello di una bambola di porcellana.
Sì, il paragone era calzante. Gli occhi erano grandi, cerulei,
velati da lunghe ciglia. Le guance naturalmente tinte di un tenue
color pesca, la bocca morbida non aveva mai conosciuto il contatto
con un rossetto, ma non ne sentiva decisamente il bisogno. Noi misere
mortali non potevamo fare a meno di sentirci brutti anatroccoli,
accanto a lei.
Ma non
era neppure questo a renderla perfetta. Ginevra era buona, in maniera
quasi imbarazzante. Era il tipo di ragazza che ti lasciava copiare i
compiti ogni santa mattina con un sorriso, senza chiedere nulla in
cambio. Faceva da tutor agli studenti in difficoltà, e per
quel che ne sapevo non aveva mai rifiutato un incontro, neppure
quando lei stessa stava sveglia fino a notte fonda per mantenere la
sua impeccabile media. Potrei continuare elencando gli sport che
praticava, gli interessi che coltivava, ogni aspetto della sua vita
da favola. Ma non è di questo che voglio parlare, perché
non è questa la Ginevra che ho scorto solo per un momento, in
una calda mattina d'estate. Perché anche allora, mentre
avanzava quasi danzando tra i nostri compagni di scuola, Ginevra era
sola. Nonostante tutti la conoscessero e la maggior parte di loro la
rispettasse profondamente, nessuno le voleva bene. Perché
Ginevra era troppo brava, troppo bella, troppo dannatamente candida
per essere amata davvero. Era come un idolo, lontana ed
irraggiungibile sul suo piedistallo. Quello che allora non sapevo era
che non era stata lei a costruirselo, ma chi aveva intorno. Tutti
noi, senza saperlo, avevamo contribuito a relegarla lassù. Lo
scoprii il giorno in cui conobbi Rafael, e le vite di tutti noi
cambiarono per sempre.
Ricordo
ogni momento di quella mattina, come se mi si fosse impressa a fuoco
nella mente. Nella quiete sonnolenta della prima ora la porta si
aprì, e la nostra attenzione si risvegliò all'istante.
Perché il ragazzo che si trascinò dentro con aria
indolente non poteva definirsi perfetto, ma di sicuro era bello da
mozzare il fiato. E un altro aggettivo mi balenò nella mente,
solo per un istante. Pericoloso. Non c'era dolcezza nei suoi occhi
scuri, non c'era ingenuità nel modo in cui si muoveva, con la
sicurezza di chi ha la certezza di non essere rifiutato. Lanciò
uno sguardo disinteressato a sorvolare le nostre teste. Poi i suoi
occhi si posarono su Ginevra, e non si mossero di lì. Non che
fosse una grossa sorpresa, in realtà. Tra di noi lei spiccava
come un raggio di sole in una mattinata uggiosa. Ma quello che forse
solo io notai, con immenso stupore, fu che Ginevra ricambiava lo
sguardo. Voltai appena la testa e la trovai come paralizzata, gli
occhi sgranati e la bocca socchiusa in un leggero ansito. E capii che
qualcosa era passata tra quei due. Una corrente, invisibile ma quasi
tangibile nella sua forza. Rafael non staccò gli occhi da lei
nemmeno per un attimo, mentre il professore con voce annoiata lo
presentava alla classe. Poi fu tra di noi, con la sua camminata
sinuosa e dinoccolata, e si lasciò cadere nella sedia accanto
alla mia. No, sarebbe presuntuoso esprimerlo in questi termini. Nella
sedia accanto a Ginevra è sicuramente più appropriato.
Fu
quello il giorno in cui iniziò il cambiamento. Mentre alla
cattedra il professore borbottava qualcosa sui logaritmi, nel
disinteresse generale, io li osservai. Rafael era stravaccato sul
banco, il viso appoggiato sulla mano sinistra, rivolto verso di lei.
Ginevra stava rigida, immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.
Ma potevo scorgere il seno sollevarsi ed abbassarsi troppo
rapidamente sotto la camicetta perfettamente stirata, ed una insolita
tonalità di rosa colorarle le guance. Quando suonò la
campanella scattò in piedi e si precipitò fuori
dall'aula, quasi correndo. Non l'avevo mai considerata davvero umana,
fino a quel momento. Solo vedendola così sconvolta mi resi
conto che, in fondo, lei era come me. Soltanto una ragazza. Ma era
troppo tardi.
La
mattina dopo nessuno dei due si presentò in aula. I loro
banchi rimasero vuoti per tre giorni, prima che qualcuno si decidesse
a chiedersi che fine avessero fatto. Li cercarono in tutto lo stato,
per quel che ne so. Per settimane i loro nomi comparvero su tutti i
canali TV. Erano come spariti nel nulla.
Senza
Ginevra le giornate sono un po' meno luminose, almeno per me.
Andandosene, si è portata via un pezzo della mia adolescenza.
Non posso fare a meno di ripensare a quell'istante in cui l'ho
guardata davvero, per la prima volta. Non posso farne a meno, perché
fu anche l'ultima.
|