Le Memorie Perdute Di Julius Heraldium Delathorn

di Bettergiovs
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Le Memorie Perdute di Julius Heraldium Delathorn
 
Prologo

Oggi finalmente riesco a scrivere su questo mio diario, che avevo visto tanto tempo fa in una vetrina di un negozio di cui ora mi sfugge il nome.
Ho ben pochi ricordi dei miei primi anni, frammenti di posti che avevo visto, persone di cui il volto si è lentamente cancellato, brevi sprazzi della mia città natale: Sheperd's Glenn.
I miei si sono trasferiti qui a Silent Hill quando avevo 6 anni: non mi sentivo sicuro, ho sempre pensato che in quella allegra cittadella radiosa ci fosse un sinistro presagio. Mia mamma mi diceva di non crederci, che mi ci sarei abituato. Ma ancora oggi percepisco quella sinistra presenza. 
Come se non bastasse, ho fatto pure un incubo a riguardo. La città radiosa che conoscevo si scarnificava lentamente, le case erano ricoperte di una ruggine inquietante e di un sangue fresco e denso. Dietro di me sentivo uno strano rumore, come se qualcosa strusciasse sul metallo, seguito da passi pesanti. Cercavo di correre verso casa mia, ma non la riuscivo a raggiungere. Correvo con il fiato al collo, mentre alle mie spalle i passi diventavano sempre più vicini. Stavo quasi per raggiungere la casa quando inciampai su una sorta di tentacolo e mentre cercavo di rialzarmi sentii una fredda lingua prendermi la gamba. Tentai di liberarmi, ma servì soltanto a farmi imprigionare le braccia. 
Fu in quel momento che la vidi.
Era una gigantesca figura nera, il cui volto era coperto da quello che mi sembrava un cappuccio nero e che si trainava dietro una grossa e pesante lama di ferro nero. Era quella gigantesca arma a  causare quel rumore sinistro. Inerme e impotente, lo pregai di non uccidermi, ma dal cappuccio sentii un rumore soffocato, come di un rantolo gutturale, dopodichè un dolore atroce mi fulminò mentre il freddo metallo mi passava il petto da parte in parte e vidi il tetro coltello affondato sulle mie gracili carni.
Mi svegliai del tutto terrorizzato con le mani che mi tremavano: ero così agitato che niente mi riuscì a calmarmi da quell'orribile incubo, nemmeno le calde mani di mia madre, che mi aveva sentito urlare ed era venuta a consolarmi; anzi, mi facevano sentire come se fossi rinchiuso in una gabbia d'oro penzolante su un profondo strapiombo pieno di fiamme oscure.




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