*Beautiful Drop
Dead*
Da quando aveva
ricevuto quella telefonata, Klaus Mikaelson, l’ibrido
originario votato alla causa del sangue e del dominio, non era più se stesso.
Dapprima non aveva avuto alcuna reazione, non credendo a ciò che gli era stato
detto. Poi, più passavano le ore, più capiva che quello non era un sogno, né un
incubo: era la realtà.
Era successo
davvero. Com’era stato possibile? Chi
l’aveva reso possibile? Perché
nessuno aveva fatto niente?
Si era versato da
bere, ma gli tremava la mano. Il cristallo era scivolato alla presa delle sue
dita e si era schiantato sul pavimento di marmo, producendo un suono che
riecheggiò nel suo petto.
E poi, il buio.
Elijah aveva
trovato la villa semi distrutta. Non che non se lo aspettasse, ma era il
ritratto della disperazione e della furia più cieca.
Klaus gli era
saltato subito al collo, ingaggiando con lui una lotta carica di rabbia e di
risentimento. «È colpa tua!»
«Non sono stato
io e lo sai.»
«L’hai
abbandonata!»
Elijah non se lo
sarebbe mai perdonato e lui lo sapeva. «Era innamorata di te!» esclamò, dando
voce a una delle sue più grandi sofferenze: la donna che aveva amato per
cinquecento anni, nonostante fosse stata la sua compagna per pochi mesi e gli
avesse dichiarato il suo amore, non aveva mai smesso di amare suo fratello.
«Ma ha scelto te.»
«Tu eri troppo
impegnato a tenerla lontana per accorgerti di quanto prezioso fosse ciò che
avevi tra le mani.»
Quelle parole
l’avevano zittito per qualche istante. Klaus aveva guardato Elijah come se non
riuscisse a riconoscerlo, poi, d’un tratto, l’aveva colpito in pieno viso con
un pugno e l’attimo dopo era sparito.
Klaus non avrebbe
mai dimenticato la voce di Damon Salvatore al telefono. Non avrebbe mai
dimenticato quelle parole.
Il vampiro gli
aveva detto altre cose, ma lui non era stato a sentire, troppo sconvolto da
quelle tre parole che gli si erano impresse a fuoco nella mente.
«Katherine è morta.»
Nessuno ebbe sue
notizie per due mesi. Elijah aveva unito le forze con Rebekah
per trovarlo, ma invano: di Klaus non c’era traccia da nessuna parte. I Mikaelson avevano proprietà sparse ovunque e loro due lo
cercarono in ognuna di esse.
Fallirono ogni
volta.
«Si farà vivo
quando lo vorrà» disse Rebekah con un sospiro carico
di stanchezza e delusione, rientrando nella dimora di New Orleans.
«Lo so, ma fra
quanto?»
«Tu cosa pensi?»
si fermò in mezzo all’atrio d’ingresso e osservò il volto di Elijah. «A te quanto tempo serve?»
Lui non rispose.
Non provò neanche a dar voce ai propri pensieri. Decise di aspettare che Niklaus fosse pronto per accoglierlo a braccia aperte, come
aveva sempre fatto – e come non avrebbe mai smesso di fare.
Always and forever.
Fu Elena a
trovare un’improvvisa sorpresa nel tragitto che portava a casa Salvatore:
Klaus.
«Elena» sembrava
ubriaco, ma non c’erano bottiglie intorno a lui né si sentiva odore di
alcolici.
«Klaus…» rispose
in modo esitante, rallentando il passo e fermandosi a pochi metri da lui. Lo
scrutò con attenzione e provò un brivido: sembrava fuori di sé.
«Ho bisogno di un
favore.»
Il buio calò su
di lei.
Elena si svegliò
nell’immensa villa che Klaus aveva costruito a Mystic
Falls per sé e i suoi fratelli. Si trovava in quella che ipotizzò essere una
stanza per gli ospiti, sdraiata su un divano. Doveva essere mezzanotte o poco
più tardi, perché non vi era più luce in cielo.
La porta si
spalancò e lei scattò in piedi, tutti i sensi in allarme.
«Cosa vuoi da me?»
«Te l’ho detto.
Un favore.»
Adesso era sicura
che lui avesse bevuto e parecchio anche. I movimenti dell’ibrido non erano
disinvolti e sicuri come sempre e la sua voce tremava un poco. Cosa l’aveva
ridotto in quello stato? Possibile che fosse per…
Klaus posò una borsa
sul letto matrimoniale che troneggiava su tutta la stanza. «Indossali.»
«Cosa sono?»
chiese lei, guardinga. Non si era mai fidata del Klaus sobrio, quello ubriaco
ispirava ancor meno fiducia se possibile.
«Vestiti.»
Elena rimase in
silenzio per una manciata di secondi, mentre cercava di capire in che razza di
casino fosse finita. «Di chi?»
Lo sguardo che
lui le rivolse ebbe il potere di distruggerla. «Puoi ben immaginarlo.
Indossali.»
Rimasta sola, la
vampira avanzò con cautela verso il letto. Aprì la zip della borsa e trattenne
a stento un’esclamazione di stupore – e paura. Svuotò il contenuto sulla
coperta ricamata e si sentì congelare il sangue nelle vene.
Un paio di
leggins neri. Una maglia attillata. Un giubbino di pelle. Un paio di stiletto
dal tacco vertiginoso. Un arricciacapelli.
«Non può essere.»
«Può essere
eccome.»
La voce alle sue
spalle la fece letteralmente saltare dalla paura. Soffocò un’imprecazione
colorita e tentò la vita del ragionamento, nonostante avesse ben poche speranze
di riuscire a far ragionare Klaus in quelle condizioni.
«Io… non posso
farlo.»
«Sì che puoi.»
«No, non posso,
questo è… Klaus, questo è troppo… anche per te» usò un tono di voce basso e
rassicurante. «Ti farai del male.»
L’ibrido piegò la
testa da un lato e parve studiarla per qualche istante. Cosa vedevano realmente i suoi occhi?
«Sei ubriaco»
continuò lei.
«L’ultima volta
che sono stato ubriaco ho annegato Carol Lockwood
nella fontana. Non mettermi alla prova, Elena, e non provare a scappare. Sto
usando tutta la mia forza di volontà per non ammaliarti e costringerti a fare
ciò che voglio. Te lo sto chiedendo.»
Lei si zittì e
fece un passo indietro. Decise quindi di provare ad assecondarlo, ma voleva
prima capire quali fossero le sue intenzioni: fin dove voleva spingersi? Qual
era il suo scopo?
«Se indosso
questi vestiti… cosa farai?» chiese, temendo la risposta.
«Voglio solo
vederla un’ultima volta.»
Klaus sparì di
nuovo in un soffio d’aria.
Rimasta sola per
la seconda volta in pochi minuti, Elena prese coraggio e si spogliò dei propri
abiti per indossare quelli della donna che le aveva rovinato la vita. Li
sentiva strani addosso a sé, non la mettevano a suo agio.
A vestizione
completa passò ai capelli. Lei aveva
sempre avuto una splendida chioma di lunghi boccoli ed Elena cercò di replicare
quelle onde il più fedelmente possibile. Se il risultato non fosse stato
soddisfacente, la situazione si sarebbe ritorta contro di lei.
Trovò Klaus
seduto sulla poltrona davanti al camino. Aveva lo sguardo fisso sulle fiamme,
ma era come se non le stesse guardando veramente. Vederlo in quello stato le
fece provare una gran pena.
Il rumore dei
tacchi lo distrasse e quando posò lo occhi su di lei… Elena pensò che sarebbe
scoppiata a piangere dal dolore che vi vedeva.
Klaus socchiuse
le labbra, ma rinunciò a parlare. Era lei.
Era di nuovo lì con lui.
«Katerina» sussurrò poco dopo, alzandosi
in piedi e tendendo una mano verso di lei.
Elena si impegnò
a fondo per mimare le espressioni civettuole e i movimenti sensuali della sua
antenata e sembrò funzionare. Vide l’ibrido chiudere gli occhi e trattenere il
respiro quando lei strinse la mano che lui le offriva.
Com’era possibile che un essere così spietato fosse capace di
provare un dolore tanto grande?
«Zdravei, Katerina»
disse, tirando la ragazza verso di sé.
La vampira era
attenta a ogni minimo movimento, ma lui non tentò nulla di strano. Si limitò ad
abbracciarla prima con delicatezza, quasi reverenza, poi con sempre più vigore.
Affondò il viso tra i suoi capelli e lei giurò di averlo sentito singhiozzare
una volta.
«Avrei voluto
vederti prima» la voce dell’uomo era
un mormorio confuso, ma l’udito sovrannaturale di Elena carpì ogni parola. «Non
avrei dovuto lasciarti a Elijah. Ho sprecato la mia occasione.»
Perché si sentiva
così in pena per lui? Perché, nonostante tutto il male che aveva causato, lei
sentiva di dover fare qualcosa per alleviare il suo dolore?
Si mosse con
estrema cautela, posando le mani sulle sue spalle – un altro singulto sommesso
– e ricambiando l’abbraccio.
«Sono qui.»
Klaus non parlò.
Rimase fermo, immobile come una statua, con la Petrova sbagliata tra le braccia, immaginando che fosse quella che ormai
non avrebbe più potuto ricambiare il suo sguardo.
Katerina non
c’era più. Era morta.
Sciolse
l’abbraccio, tenendo le mani sulle spalle di Elena, la studiò con sguardo
attento da capo a piedi e abbozzò un sorriso.
Lei fece l’unica
cosa che le venne in mente.
«È tutto a posto.
Va bene così» tentò di ricambiare il sorriso. «Ti perdono.»
Klaus trattenne
il respiro e chiuse gli occhi. Una lacrima bagnò il suo viso e finalmente sulle
sue labbra comparve un vero sorriso.
«Grazie.»
Elena rimise i
vestiti di Katherine nella borsa e la lasciò sul letto. Legò i capelli in una
treccia e scese le scale. Klaus non si fece vedere, ma lei avvertì la sua
presenza in casa. Non lo cercò, si avviò dritta verso l’uscita e lo lasciò da
solo con la sua disperazione.
Non avrebbe mai
pensato di vedere il grande e temibile Lord Niklaus
ridotto in quello stato… per Katherine.
Quei due erano
legati da qualcosa che né lei né nessun altro aveva mai compreso, qualcosa che
li avvicinava e li respingeva, un sentimento così intenso e morboso da far
crollare il più potente essere sovrannaturale nello sconforto più totale.
Klaus non visitò
mai la tomba di Katerina. Non chiese neanche dove fosse ubicata per non aver la
tentazione di recarsi lì. Voleva ricordarla come l’aveva sempre vista: bella,
determinata, seducente, con il fuoco negli occhi, quegli occhi che cercavano
sempre i suoi.
Dentro ho un’immagine di te che non parla.