La Luna
«La Luna,
Chang… domani prenderemo il the sulla Luna» disse il
piccolo Astolfo, versando del the invisibile al suo coniglietto di
peluche, seduti attorno al piccolo tavolo in camera sua.
Guardavano la Luna ogni notte da quella grande finestra, a luci spente.
Sembrava fatta apposta per ammirarla, fra le larghe imposte bianche, vi
appariva come in un teatrino delle marionette, grande, luminosa.
Sua mamma che veniva a spegnergli le luci ogni sera non sapeva di quel
loro piccolo rituale giacché il piccolo, passata la ronda,
imbastiva il momento come un clandestino, come se prendere il the col
suo migliore amico al chiaro di luna fosse qualcosa da tenere nascosto,
quasi illegale. Ma la mamma non vedeva di buon occhio le ore piccole,
c’era il coprifuoco a casa loro.
Ed eccola lì, la loro piccola ribellione, la loro protesta,
stagliata contro la luce argentea della luna, le urla rivoltose nel
silenzioso soffio sul vapore, a far raffreddare il nulla più
bollente.
Era un’altra serata in riva al mare, di quelle che più
piacevano ad Astolfo, fresche, con una lieve brezza che soffiava amena,
e ovviamente la sua luna lì alta nel cielo.
Ma aveva anche qualcosa di speciale: sarebbe stata l’ultima.
La sera dopo, con la luna piena, sarebbe partito, proprio verso di lei.
Perché?
Perché sì. La Luna è la Luna. Ha sempre avuto un
fascino irresistibile. Quello della madre che lui avrebbe sempre voluto
avere, quella che sconfigge le tenebre con la sua tenera luce.
Casa diventava sempre più invivibile. Stava crescendo e le
regole dei suoi genitori gli stavano sempre più strette.
L’ultima l’aveva fatto piangere non poco: volevano prendersi Chang!
“Sei grande! – dicevano – devi smetterla di giocare coi peluche!”
Non capivano che lui era il suo unico, migliore amico.
«Ma sulla Luna non ci sono regole, dico bene?» cercò conferma nei dentoni di stoffa del suo compare.
L’indomani, mentre il sole stava per tramontare alle spalle della
casa, Astolfo preparava gli ultimi ritocchi alla sua nave: una porta,
con due barili vuoti legati alle estremità e albero maestro e
vela formati, rispettivamente, da un ramo e da vari teli e buste di
plastica fuse insieme colla fiamma di un accendino. E’ assurdo
quello che la gente getta in spiaggia. Ma almeno stavolta gli saranno
utili quelle cianfrusaglie.
La mamma lo chiamò per la cena.
Dopo la buonanotte indugiò un attimo sulla soglia al pensiero di
abbandonare i suoi, ma poi si fece forza e si disse che comunque ogni
tanto sarebbe potuto tornare, almeno per informarli di quanto si
trovava bene lassù.
Zaino in spalla si fiondò in spiaggia, con Chang sotto braccio,
spinse la nave che teneva nascosta dietro delle frasche e vi
guizzò sopra.
Persino la brezza marina, quella notte, era dalla sua parte, e gli gonfiò le vele, generosa.
Non ebbe il tempo nemmeno di complimentarsi con sé stesso per
l’ottima partenza, che già una lingua d’argento fece
capolino oltre l’orizzonte, delimitando finalmente mare e cielo
che prima erano indistinguibili.
E da lì fu un lungo trionfo, una parata lenta e maestosa, mentre
la Luna lasciava la coperta d’acqua scura e si ergeva ad
illuminare la notte e a far invidia alle stelle.
Aveva scelto proprio la luna piena perché, essendo così grande, non poteva certo mancarla!
«Come dici, Chang? Ah è vero! Non abbiamo preso
l’acqua per il the! Beh, fa niente, ne abbiamo quanta vogliamo
qui» ridacchiò indicando la distesa blu notte che si
estendeva a perdita d’occhio.
Ma qualcosa non andava: per quanto il vento soffiasse a loro favore,
con le guance gonfie e la faccia viola per lo sforzo, gli occhi quasi
rivoltati all’indietro e un mal di testa inimmaginabile, la luna
non si avvicinava di un passo. Anzi, scorreva via, su, più
veloce di quanto facesse di solito, come si ritirasse al tocco,
spaventata.
Ed era quasi completamente fuori, in punta di piedi
sull’orizzonte del mare. Astolfo aveva remato, con le mani nude
nell’acqua gelida, con quanta forza aveva in corpo.
Ora si sporgeva dall’estremità della sua nave, il corpo
proteso sul blu e argento sotto di lui, con le dita sentiva di poterla
sfiorare, se solo avesse potuto sporgersi un po’ di
più…
Poi, di netto, ma gentilmente, come sempre, la Luna abbandonò le
rive del mare terreno e salpò per uno tutto suo, celeste,
lasciando l’orizzonte come un bacio sulla guancia
dell’Oceano.
In quell’istante Astolfo perse l’equilibrio e cadde in mare.
Il gelo lo avvolse, ma lui, prontamente, riafferrò la nave e vi si issò.
«Potevi almeno urlare “uomo in mare”»
rimproverò scherzosamente al coniglietto, nascondendo il tremore
del freddo con le risate.
Ma non era per niente felice: aveva perso la Luna.
Si avvolse nella coperta che si era portato e si raggomitolò sul
ponte della sua nave, mentre le lacrime si mischiavano all’acqua
dell’oceano sulla sua faccia.
E Astolfo si addormentò.
Quando si svegliò notò subito qualcosa di strano: luce,
tanta luce, che proveniva da tutt’intorno. Conosceva quella luce.
Saltò in piedi dalla gioia, non c’era bisogno di guardarsi attorno: erano arrivati sulla Luna!
Non sapeva come era stato possibile, magari un’onda un po’ più alta del solito…
«Astolfo dai, smettila, abbiamo ospiti!» fece una voce ai
suoi piedi, mentre qualcuno gli strattonava l’orlo del pantalone.
«Chang! Sai parlare!» fece, al settimo cielo.
«Uno dei vantaggi della Luna è che non devo più
stare zitto per paura che mi sentano i grandi» poi il coniglietto
indicò l’ospite a cui si riferiva prima.
Una donna, alta, pallida, ricoperta di veli sottili e leggiadri,
bellissima, emanava la stessa luce argentata della Luna. Era seduta sul
piccolo tavolino da te di Astolfo, e ci entrava a malapena. Chang si
precipitò a versarle del the.
Fissava Astolfo con un sorriso dolce, materno, gli occhi quasi bianchi, caldi.
Il piccolo prese posto al tavolo e Chang versò nella sua tazzina
del vero the fumante. Dopo i vari soffi di rito, appoggiò le
labbra alla porcellana e inclinò la tazza: appena il liquido
bollente gli toccò la bocca, Astolfo gettò via il the,
urlando per il dolore.
«Attento – fece la donna, sempre mantenendo la sua aria
rassicurante, ma senza muovere un muscolo per aiutarlo – Questo
scotta davvero… allora, cosa ti porta sulla mia Luna,
ragazzino?»
«Ba bibertà!» biascicò quello, con la lingua
fuori dalla bocca, come una torta a raffreddare sul davanzale, mentre
intanto cercava di trattenere le lacrime di dolore.
«Libertà! Che bel sentimento! Soprattutto per un bambino della tua età»
«Già, e i miei genitori dicono che faccio ancora cosa da piccoli…»
«Non essere così duro con i tuoi, alla fine vogliono solo proteggerti… e prepararti»
«Prepararmi per cosa?»
«Per il the bollente… per esempio. E per una Luna vuota»
«Ma non è vuota! Ci sei tu!»
«Astolfo, non sto dicendo che devi rinunciare ai tuoi
sogni… ma è ancora troppo presto. Devi saper aspettare,
prepararti e lasciare che ti si prepari… Io e Chang aspetteremo
qui»
«Cosa? No, aspetta non capisco!» urlò Astolfo, mentre quel sorriso svaniva lentamente.
«ASTOLFO!» lo svegliò la voce di sua madre, evidentemente preoccupata.
La nave era stata sospinta dalla corrente di nuovo a riva e quando Astolfo si svegliò era quasi sulla spiaggia.
Sua madre, precipitatasi sul posto, non esitò ad entrare in
acqua, con ancora addosso la veste da notte, per riabbracciare il
figlio.
Tra baci e abbracci fin troppo stretti, sussurrava fra i singhiozzi
qualche rimprovero che doveva voler suonare duro, ma che le lacrime
ammorbidivano suo malgrado.
Astolfo ricambiò braci e abbracci e le urlò nel cuore, sussurrando anche lui: «mi sei mancata»
Poi un pensiero gli attraversò la mente: «Chang! Dov’è finito!?»
«Mi dispiace tesoro, l’avrai perso in mare… ma non ti preoccupare te ne compreremo un altro…»
«No – la interruppe dolcemente – lascia stare, fa niente»
Vent’anni dopo:
«Base, siamo sulla superficie» comunicò conciso, mentre dall’altra parte esplodeva la festa.
Eccola lì, alla fine. Polverosa e piena di crateri.
Paradossalmente, così come la cosa più bella sulla Terra
gli fosse sembrata la Luna, così sulla Luna la cosa più
bella era certamente la Terra, lì tonda, grande e blu.
Ma poi qualcosa attirò la sua attenzione: un tavolino da the,
giocattolo, con tutto il servizio, e su uno sgabello un coniglio di
peluche.
«I cinesi e le loro stupide leggende, eh?» commentò, sprezzante, il suo compagno di missione.
Gli rispose con un cenno della testa ed un sorriso abbozzato, ma non
appena quello fu lontano si sedette dall’altra parte del tavolo,
furtivo.
Era tornato tutto come una volta, prendere il the di nascosto, come
fosse illegale, ma stavolta la Luna sotto i piedi e la Terra in alto
nel cielo stellato.
Cantuccio: storia scritta e pensata in una sera, ispirata da una'"alba"
di luna in minecraft mentre per caso navigavo in mezzo all'oceano verso
quella direzione XD Scusate i brutti nomi, ma tutto ha un motivo ;)
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