Note
dell’autrice:
non
miei, niente di ciò è vero, niente di
ciò mi renderà mai ricca (sigh).
Charles
lavorava in quel club ormai da anni, quindi non era la prima coppia che
vedeva
danzare - letteralmente danzare - sull’orlo di un sensuale
precipizio. Ma era
di sicuro la più affascinante.
Il
tipo alto e riccio era una faccia nota da tempo. Impossibile
dimenticarselo, con
quegli zigomi e quegli occhi e quell’equilibrio di storta
bellezza che reggeva
i suoi lineamenti.
L’aveva
visto innumerevoli volte farsi strada con passo imperioso nei
privé, uscirsene
con una bustina fra le lunga dita pallide e ricomparire sulla pista da
ballo
dieci minuti dopo, le pupille dilatate e il sudore che gli attaccava la
camicia
alla pelle.
Spesso
si era, suo malgrado, soffermato a guardarlo ballare. Ballava sempre da
solo,
ignaro degli sguardi colmi di apprezzamento che lo circondavano.
Magnetico e
altezzoso e strafatto. Una sorta di statua di marmo portata alla vita
che
ancora si sentiva di troneggiare da sopra un piedistallo.
L’altro,
quello che entrava nel locale con l’aria di un genitore arcigno e
preoccupato, aveva
fatto la sua comparsa qualche mese prima. Impossibile dimenticarselo, pure
lui.
Charles si ricordava ancora il pugno che aveva assestato a quegli
zigomi
affilatissimi, le urla di cui l’aveva ricoperto, il suo
sguardo furioso e
colpevole.
La
schermaglia era scoppiata proprio vicino al suo bancone, per cui
Charles si
ricordava anche la reazione di Sherlock (come gli era sembrato di
capire che la
statua di marmo si chiamasse): un sorriso strafottente e disperato, un
baluginio di denti macchiati di sangue, e poi un semplice
“Vieni a ballare”.
Una mano che scendeva ad afferrare quella dell’altro, un
pollice che sfiorava
piano un polso. Aspettativa pura.
Charles
sul momento aveva ridacchiato e si era detto: “Che gran
faccia tosta.” Era
ovvio che quello con l’aria del padre stressato
l’aveva colto in flagrante ad
essere uscito a ballare senza di lui, magari anche a drogarsi senza di
lui, e
si era giustamente arrabbiato. Dalla sua espressione doveva trattarsi
di quello
più possessivo della coppia. Charles trovava difficile che
questo Sherlock
riuscisse a farsi perdonare con quella frasetta allusiva.
E
invece, sorprendentemente, l’altro l’aveva guardato
con l’aria mezzo disperata
mezzo rassegnata di chi osservi una nave che affonda, vedendosela
già relitto
davanti agli occhi. Dopodiché gli aveva stretto forte la
mano e l’aveva
trascinato in mezzo alla calca.
Da
quella sera Charles se li era visti comparire nel locale un tre-quattro
volte
al mese. Ormai aveva preso a salutarli per nome e ad allungar loro i
loro drink
prima che aprissero bocca per fare l’ordine.
Siccome
era uno che si faceva gli affari suoi, non aveva mai fatto loro domande
dirette.
L’invadenza lo infastidiva e a giudicare
dall’espressione arcigna di John –
questo il nome dello pseudo-genitore ansioso – doveva
infastidire anche lui. Dava
per certo che stessero insieme e questo gli bastava. Si
ritrovò, suo malgrado,
ad aspettare con lieve impazienza la loro entrata nel locale,
perché vederli
insieme gli piaceva.
Se
avesse voluto essere banale avrebbe detto che erano una bella coppia,
ma loro
non erano banali. Quella
loro
particolarità esigeva uno sforzo linguistico.
Dal
punto fisico Charles poteva dire di non aver mai visto
sprizzare tanto
erotismo, tanta intesa e tanta sensualità da nessuno che non
si stesse
baciando.
Sherlock e John infatti non
si baciavano mai.
Entravano, bevevano qualcosa senza dirsi una parola, si dirigevano
insieme al
centro della pista e ballavano senza sosta fino all’orario di
chiusura del
locale. Nient’altro.
Niente
gite nei bagni. Niente mani sotto i vestiti. Ballavano tenendosi
così stretti
da rendere difficile a un osservatore esterno distinguere i loro corpi
e si
guardavano fisso negli occhi. Tutto qui.
Ci
sono tanti luoghi comuni riguardo alla danza. Qualcuno dice che sia
come fare
sesso vestiti: l’espressione verticale di un desiderio
orizzontale. Charles non
ci aveva mai creduto, almeno fino a quando li aveva visti ballare per
la prima
volta.
La
tensione era quasi insopportabile per lui che guardava e basta; non
osava
immaginare come fosse per i diretti interessati. Sherlock, le maniche
della
camicia arrotolate sugli avambracci, posizionava sempre le sue grandi
mani in
fondo alla schiena John, mentre lui teneva le braccia allacciate al suo
collo o
intorno alle sue spalle. Charles non li aveva mai visti abbracciarsi in
maniera
diversa.
Si
muovevano come una cosa sola, qualunque ritmo stessero ballando, da
quello più
frenetico a quello più rilassato. I loro nasi si sfioravano
di continuo, le
loro labbra erano sempre a meri millimetri di distanza e loro
semplicemente si
guardavano, si guardavano, si guardavano. Persi l’uno
nell’altro al punto da
non fare neanche lo sforzo di toccarsi più intimamente.
Charles
si era trovato più di una volta a digrignare in empatia i
denti per la
frustrazione.
Col
passare del tempo, si accorse di non aver mai visto due persone
più
innamorate, e più infelici, di loro. Si chiese come poteva
essere possibile.
Sembrava innaturale che esistesse qualcosa o qualcuno in grado di
allontanarli:
erano fatti per combaciare perfettamente.
Divenne
una faccenda personale per lui. Era sempre stato una persona scettica
riguardo
all’amore e non si era mai lasciato coinvolgere in niente di
più profondo di
una frequentazione saltuaria, spesso a scopo unicamente sessuale.
Cominciò ad
essere ossessionato da loro, dal quadro meraviglioso che formavano
insieme, dal
loro segreto, dai loro sospiri e dai loro sguardi. Si disse ridendo a
denti
stretti che si era preso una bella sbandata – per John e per
Sherlock come
coppia. Per quello che erano l’uno per l’altro. Per
l’amore innegabile che li
univa, e che quindi, forse, avrebbe un giorno potuto unire lui a
qualcun altro.
Quando
scoprì che John era sposato con una donna e aveva una
bambina piccola, per la
sorpresa ruppe un bicchiere – il primo da quando lavorava
lì.
Era
venuto a conoscenza di quella tremenda verità origliando
un’altra conversazione.
John stava insistendo per andarsene prima, dicendo che c’era
la babysitter che
lo aspettava a casa e che non poteva tardare oltre. Charles aveva visto
Sherlock stringere le labbra fino a farle diventare una pallida linea
bianca e
non dire una parola.
“Vai
allora” aveva detto infine, la sua voce a malapena udibile
sopra il frastuono
della musica.
“Sherlock”
aveva sussurrato John. La sua mano era scattata per afferrare il polso
dell’altro.
Sherlock
aveva sorriso.
“Non
ti darò la soddisfazione di chiederti di restare.”
John
aveva scosso la testa con l’aria di un animale in trappola.
“Mary
è via per lavoro, non posso-”
“Ma
certo che non puoi” era stata la risposta
dell’altro. “Ci sono tante cose che
non puoi fare, John. Lo sappiamo entrambi molto bene.”
John
gli aveva voltato le spalle e se n’era andato come se stargli
vicino senza
poter fare niente a riguardo gli provocasse dolore fisico. Charles
aveva notato
per la prima volta la fede al suo anulare sinistro, e si era dato dello
stupido, e del sentimentale. Ma certo. Non poteva essere tutto
così perfetto.
Niente lo era mai.
Aveva
parlato con Sherlock, quella sera. Vederlo occhieggiare con desiderio
le
bustine di cocaina che venivano passate di mano in mano a pochi metri
da lui
aveva vinto la sua naturale timidezza.
Gli
aveva offerto giro dopo giro, dicendosi che farlo ubriacare e poi
metterlo su
un taxi si sarebbe rivelata la soluzione migliore per tenerlo lontano
da quella
merda.
Era
bastata una singola domanda diretta perché Sherlock,
alticcio e col cuore spezzato,
rompesse gli argini. “Ballare con me è il suo modo
di sostituire una droga ad
un’altra” aveva biascicato. “Crede che mi
faccia meno male.” Mandò giù il
decimo shot di tequila. “E’ sempre stato un
idiota.”
Charles
aveva ascoltato il resto della storia con sguardo inorridito. Da quel
giorno in
poi, vedendoli ballare, aveva preso a distogliere sistematicamente lo
sguardo.
Ma
loro erano sempre lì. Sempre in bilico. Sempre insieme.
Charles non avrebbe
potuto dimenticare il loro amore neanche volendo, e, ne era sicuro,
nemmeno
loro.
Note
dell’autrice:
mi
piace pensare che in qualche modo Charles sia una rappresentazione del
fandom.
:D
P.S.
Titolo preso da quello di un bellissimo album dei National.
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