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Aprì
gli occhi quando le nuvole che coprivano il cielo lasciarono che i
raggi solari gli carezzassero il viso, curiosi ed indiscreti, facendolo
sudare sotto la giacca della divisa. Se anche ci fosse stato un albero,
su quella collina rivestita d’erba, sicuramente lui non
sarebbe andato a sdraiarcisi sotto, rischiando così di
perdere quel tanto bramato calore a cui per anni aveva dovuto
rinunciare.
Quando era al fronte, la luce si nascondeva sotto la pioggia per paura
di accecare i soldati.
Quando era in ufficio, le tende del palazzo in cui lavorava erano
troppo pesanti per permettere a qualunque persona di sbirciare
all’esterno. Iniziava il suo turno alle sette del mattino e
lo concludeva alle sette di sera, con il risultato di uscire di casa
all’alba e tornare al tramonto.
Glielo avevano ripetuto spesso: in guerra, non c’è
tempo per il sole.
Ma ora che tutto era finito e che il governo del Paese era passato di
mano in mano tra russi e americani, non c’era ragione per cui
non potesse passare i pomeriggi a godersi l’invadenza dei
raggi luminosi e caldi della primavera.
Sulle colline non si avventurava mai nessuno; la gente era troppo
occupata a rimpiangersi, a contare i soldi o a offendere chiunque
avesse accanto per fermarsi ad apprezzare ciò che la vita
aveva di prezioso.
Bé, era il dopoguerra.
In fondo non gli dispiaceva affatto; quell’abbandono gli
lasciava il tempo per stare solo con i suoi pensieri, per assopirsi e
destarsi quando era il momento, senza che nessuno interferisse con il
suo mondo interiore.
Sospirò, tirandosi in piedi.
Poco lontano da lui, una donna arrancava tra l’erba, stretta
in un vestito di taffetà nero. Sorrideva, canticchiando
chissà quale motivetto sotto al velo scuro che le celava il
viso.
«Buongiorno, soldato», gli disse, quando fu
abbastanza vicina da guardarlo in faccia. Tra le mani aveva un mazzo di
girasoli in fiore.
Lui si sforzò di ricambiare il saluto con un cenno del capo,
nonostante tenesse lo sguardo fisso sulla punta dei suoi stivali. Per
quanto audace potesse essere stato sul campo di battaglia, non riusciva
ancora a trovare il coraggio di guardare in faccia le vedove che la sua
guerra aveva lasciato sole.
«Tornate a casa dal fronte?»
La voce della donna sapeva di anziano; roca e pungente, eppure dolce e
piena di riguardo come quella della più attenta delle nonne.
«No, signora».
«Siete già tornato?»
«Sì, signora».
La vecchia sorrise di nuovo, spiegando le labbra appena visibili sotto
al velo scuro. «Non mi dice il suo nome, soldato?»
Riprese a camminare e il soldato, mosso da chissà quale
intento, improvvisamente decise di seguirla verso la cima della collina.
«Mi chiamo Ludwig, signora. Ludwig Beilschmidt».
«Va bene. Tenga, allora, mi aiuti un po'. È
così giovane!»
Gli tese il mazzo di girasoli con un gesto gentile e scoprì
il viso celato dal velo. Per un istante, i suoi capelli bianchi vennero
mossi dal vento che saliva dalla valle. Lassù, in cima alle
colline, l’aria soffiava molto più impetuosamente.
«Vengo qui ogni mese, lo sa, soldato?»
La vecchia si inginocchiò a terra, congiungendo le mani per
iniziare a pregare.
«Il mio caro marito è stato ucciso proprio in
questo posto, quattro anni fa, cercando di salvare dei bambini. Era una
persona tanto buona … ma ormai, cosa volete che vi dica,
è solo un ricordo e, per quanto forte, una memoria non
può che restare tale». Fece una pausa, e Ludwig
credette di vederla versare qualche lacrima. Il suo viso,
però, sembrava sereno. «Vedete, io non ce
l’ho con nessuno, a che servirebbe? La mia povera figlia ha
lasciato la Germania per andare a vivere in America con la sua famiglia
molto prima che succedesse quello che è successo, ma cosa le
porterà l’odio che è convinta di
provare nei confronti di tutta la gente che ancora abita qui?
È quello che le dico in ogni lettera ma sapete, ormai io
sono solo una vecchia matta, chi mai mi darebbe ascolto? Il mio povero
Albert, lui si che aveva capito. Non odiava nessuno, quel
sant’uomo, provava solo compassione per chi diceva di essere
diverso da lui».
Ludwig si abbassò sulle ginocchia, adagiando i girasoli sul
prato dinanzi alla vecchia vedova. Di trattenersi ancora sulla tomba di
suo marito non ne aveva il diritto. Si voltò per andarsene,
convinto che mai sarebbe tornato in quel posto. Con che faccia sarebbe
stato capace di riposare ancora dove un tempo la sua stessa gente aveva
disprezzato chi in quel momento lo stava trattando con gentilezza?
Mosse un passo sull’erba, affondando lievemente con lo
stivale della divisa di cui non era ancora riuscito a spogliarsi.
«Soldato, non prega con me?» La voce della vedova,
calda e pungente allo stesso tempo, gli giunse come un eco lontano.
«Albert ne sarebbe felice».
Non poteva, non doveva e, a pensarci bene, nemmeno voleva. Da cosa
sarebbe mai potuto nascere un sentimento simile, se lui non aveva mai
avuto fede neppure negli uomini? Domande come quella, quesiti che in
fondo nessuno si era mai preoccupato di porsi, lo tormentavano da mesi.
Tornò sui suoi passi, seppur titubante, per inginocchiarsi
accanto alla vecchia. Congiunse le mani tremanti, le premette contro il
petto e la divisa bagnata di lacrime.
In qualcosa, seppure per un istante, aveva voluto credere. Aveva voluto
credere che lui e il suo popolo sarebbero un giorno divenuti persone
migliori, che un giorno avrebbero dimenticato e fatto dimenticare
ciò che erano stati e che, per quanto dura potesse sembrare
in quel momento, insieme avrebbero potuto guardare il futuro.
Pianse al posto della vecchia vedova perché quella volta,
quell’unica volta, sarebbe stato vicino a chi non meritava
nemmeno di guardare negli occhi.
Ovviamente, quando la folla si
fece numerosa le cose erano cambiate.
L'orizzonte cominciava ad assumere un color carboncino.
Dell'oscurità precedente rimaneva soltanto uno scarabocchio,
e stava svanendo in fretta.
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Note d'autore
Poche
righe su Germania e torno a studiare.
Oneshot scritta tempo fa che per qualche motivo ancora dormiva nella
cartella degli scritti mai pubblicati.
La citazione finale viene dal capolavoro di Zusak "La bambina che
salvava i libri".
Biscotti a tutti<3
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