Le mille storielle di Mirto

di Lyca
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Quando si svegliò il giorno dopo, Mirto scoprì che i ragni non gli stavano molto simpatici se venivano ad accamparsi nel suo letto di notte. Finché erano tende andava bene, ma quando incominciavano ad accendere falò per sciogliere i marshmallow gli dava un po' fastidio, sopratutto perché il letto si scaldava in maniera insopportabile. Arruffato come un gufo si andò ad appollaiare sulla sua sedia nella piccola cucina, il vaso di miele sotto braccio e la testa ancora mezza piena di sogni. L'altra metà era traboccante di dolce miele d'acacia. Quella sera il vento doveva aver giocato con la luna invece che col sole, che al mattino per ripicca si era nascosto dietro ad un cielo tutto grigio chiaro... A Mirto piaceva il cielo quando era di quel particolare grigio accecante. Prese le scarpe e le mise da parte, si mise i sandali. Correndo giù per la collina nell'erba alta intravide il nonno correre con i lupi in lontananza. Alto come una gamba e con gli occhi neri da martora, Mirto s’intromise tra gli alberi della foresta, giunse sulla strada di campagna in mezzo ai campi di zucche e cavoli e si avviò a passo asimmetrico verso la cittadella a valle del boschetto.


Quella mattina, che a lui piaceva tanto e non solo per il colore del cielo, ma perché il vento lo sospingeva dolcemente in giro , non sembrava altrettanto speciale per la gente. Sempre indaffarati, sempre di fretta. Mirto decise che gli odori nell’aria lo avrebbero guidato.
Volò come un passero tra gli alberi del parco seguendo il profumo di una ghianda maldestramente caduta dal nido di uno scoiattolo. Poi fece capolino in un vicoletto gocciolante umidità, con un gatto che per poco non lo acciuffava e l’odore dei liquami che lo faceva stranutire almeno due volte di seguito. Si sospinse fin nei retrobottega dei panifici e delle pasticcerie, annusando qua e là cercando di ascoltare cosa dicesse la brezza.
Con una folata improvvisa e gioconda il vento lo cacciò lontano da quei profumi avvolgenti.
No, troppo morbido! Via, via!
Ci vuole il serpente bianco! Ci vuole l’avventura!
Mirto giunse in una piazzetta, quella piccola con l’alberello d’arancio. Non c’era quasi nessuno.
Ci vuole qualcosa di pericoloso!
Un’altra raffica di vento lo fece voltare.
Ci vuole qualcosa di raro!
Ed eccolo lì il suo serpente bianco, la sua preda per quel giorno!
Un giovane uomo stava seduto su una panchina. La sfumatura della sua pelle era come quella del cioccolato al latte, di quello dolcissimo e buono, ma gli occhi erano malevoli. Mirto lo raggiunse con il suo passo elegantemente asimmetrico, osservandolo più incuriosito che intimorito. Il vento si era fermato.
Come le oche volano a sud durante l'inverno, così lui migrò di piastrella in piastrella fino a portarsi di fronte allo sconosciuto.

- Ciao, mi piace il miele d'acacia e adesso ti racconterò una storia, ce l'ho proprio sulla punta della lingua. - disse, mentre ondeggiava come una biscia in equilibrio sul piede destro.

L’altro lo squadrò in silenzio e Mirto non seppe se intendesse un muto si o un sibilato no.
- C'era una volta il vento. - cominciò Mirto, poi si fermò a guardare il cielo e riformulò: - A dire il vero, non c'era solo una volta. Quindi: c'era molte volte il vento. Giocoso, si divertiva a far il solletico alle persone mentre andava nella sua folle corsa. Il vento non si fermava a sentire cosa ne pensavano gli umani di lui: era troppo veloce, troppo preso dal suo gioco per pensare ad altri che a sé stesso. Vibrò in alto, sopra le case e sospinse gli uccelli per un po': ma era troppo noioso, così si spinse ancora più in alto. -

-In alto c'erano le nuvole. Quelle non erano molto simpatiche, ma il vento si divertiva a farle arrabbiare. Così incominciava a piovere e a tuonare, ma più pioveva e tuonava e più il vento si ingrossava e si divertiva. -

- Giungeva il momento però in cui non si divertiva più e allora scendeva, accarezzando le oasi nei deserti a cui non era stato dato ancora un nome: giocando con le dune formava turbini di sabbia che inondavano il cielo ed oscuravano il sole. Ma anche quello lo annoiava, e così lui scappava via nella sua folle, folle corsa. -

- Così sorridente e impertinente, per uno scherzo scivolato di mano il vento fa burrasca. -
Il ragazzino raggiunse la piastrella di fianco al suo ascoltatore saltando, voltandosi a guardarlo con una calma estranea ai suoi soliti modi.

- Finisce così la storia?- domandò il giovane uomo bruno con un sorriso sardonico.

- No.- rispose il bambino facendo un mezzo giro su se stesso
- Perché il vento non c’era solo una volta, ma tante altre. Continua a soffiare, spingendo il mondo a cambiare, agitando gli altri sperando di calmare sé stesso... Invano.-
Il vento scompigliò la sua testolina arruffata e quando si allontanò si lasciò alle spalle una panchina vuota.

 





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