R
E C K O N
Sarebbe una pessima spia,
Q. Ha il sonno profondo dei bambini e dei cani. Il sonno di chi resta
vigile e perfettamente lucido, tenuto su dalla teina, per ore ed ore
di seguito. E poi crolla assieme alle adrenaline non appena il lavoro
è concluso.
James può infilarsi
sotto le coperte e prenderlo e manovrarlo per stringerselo addosso.
Può mormorargli una di quelle stupide cantilene che sua madre
mormorava a lui quando era bambino e giaceva a letto ammalato. È
certo che Q non si accorgerà di nulla. Si sveglierà il giorno dopo,
ad un orario disumano e con quei capelli impossibili, e lo guarderà
come se fosse sempre stato là. Farà una delle sue battute al
vetriolo, sbadiglierà, si strofinerà il muso da gatto assonnato,
preparerà il caffè.
Come se James non si
fosse mai mosso da lì.
Sono quelle mattine in
cui tutto appare sospeso in una normalità allarmante. Quelle mattine
in cui la luce filtra vivida e dolorosa tra le tende bianche e
illumina crudamente ogni dettaglio. Dagli arti lunghi e sottili di Q
alle uova che sfrigolano nella padella, dagli oggetti estranei che
hanno ormai invaso casa sua alle due tazze affiancate sulla
penisola della cucina.
James si sente preso in
giro. Non la sente tutta questa necessità di ricordarsi cosa lo
aspetta a casa. L'ha capito presto, ci ha sbattuto contro una volta e
gli è bastata.
A loro non piace
rivangare quella volta. Non sono quel genere di persone che amano
perdersi nelle brutture del passato. Forse perché sanno bene quanto
al passato piaccia ripetersi e preferiscono piuttosto aggrapparsi al
presente, vivere appieno quel che viene loro concesso.
James conta i mesi, le
settimane, i giorni. Conta anche le ore e i secondi. Non è una cosa
che fa coscientemente, se la sente dentro e basta. Conta il tempo che
scorre tra un orrore e l'altro, il tempo che il mondo attorno ritiene
di poter elargire alla loro felicità.
Q lo lascia contare e
vive anche per lui, vive per farlo vivere. Non è il complesso da
crocerossina o roba così. James sa badare a sé stesso e ai propri
demoni. È altro. È qualcosa di complesso a cui entrambi hanno
faticato ad arrivare – ad accettare.
Se il ruolo di Q è
riportarlo ogni volta a casa, non può fermarsi lì. Non dal momento
in cui, dopo ogni missione, James ha preso a cercarlo e a volerlo. Q non l'ha
mai rifiutato, per il semplice fatto che non si può rifiutare
qualcosa che senti che ti è sempre mancato ancor prima di averla
conosciuta.
Non si riconosceva, Q, in
quegli abbracci muti, disarticolati. Non si riconosceva, James, in
quel sesso lento ma sconclusionato.
Un giorno si sono
svegliati nello stesso letto – di nuovo. E Q si è accorto che non
aveva più importanza di dove fossero, di come ci fossero finiti lì.
Aveva importanza che James, quella notte, avesse dormito. Solo questo
aveva importanza.
È un pessimo convivente,
James. Ha il sonno leggero e movimentato di chi le cose non se le
perdona. Cose che se non decidi di perdonartele, non te le scrollerai
mai più di dosso. L'alcol aiuta, a volte, ma non puoi andare avanti
ad alcol in eterno.
Q si sveglia suo malgrado
e non può dire che la prima volta non fosse spaventato a morte.
Provate voi a trovarvi nello stesso letto con un agente double-oh del MI6 in piena crisi allucinatoria da PTSD e vediamo se non
ve la fatte sotto.
– James... –
– Ssh! –
– James, idiota, non
possono sentirmi. Solo tu puoi. –
James aveva scosso la
testa e Q aveva visto due gocce di sudore scivolare lungo la tempia e
giù sulla mascella. Stringeva in mano la sua Walther P99 e
sussurrava frasi spezzate, incomprensibili.
– James. –
– Sei una
vera rottura di palle, ragazzino! –
A Q veniva da ridere di
una risata isterica.
– Questa rottura di
palle sta cercando di riportarti a casa intero. Sempre che tu le permetta di
fare il suo lavoro. –
Due ore dopo, la Walther
P99 era al sicuro nel cassetto del comodino e Q se lo cullava tra le
braccia facendo il cucchiaio grande.
James non aveva detto
nulla il giorno dopo. Nemmeno Q aveva detto nulla.
Non era questione di
orgoglio virile o stronzate simili, era questione di prendere delle
decisioni che in cuor loro avevano già preso. Perché non ti
addormenti accanto ad un ragazzo se non senti che la sua fragilità
fisica è solo l'involucro di un'anima più forte della tua. Non
sprechi una nottata a riportare alla realtà un uomo allucinato se
non credi che ne valga la pena per entrambi.
Quindi no, nessuno dei
due aveva detto niente, perché niente c'era da dire.
L'arredamento elegante e
minimalista di James, da quel giorno, aveva iniziato ad essere
spezzato dalle puttanate tecnologiche e dai plaid multicolore di Q.
Sugli scaffali della libreria, manuali di informatica avanzata
avevano trovato posto accanto ai suoi gialli. Nel bicchiere sul
lavandino c'era uno spazzolino in più e un paio dei cassetti della
camera da letto avevano fatto spazio alla biancheria di Q.
James una notte era
tornato da una missione e ad accoglierlo sul letto aveva trovato una
palla di pelo che gli aveva soffiato irritata. Non era Q, era
Schrödinger, il suo gatto. Sì, adesso avevano un gatto.
Avrebbe dovuto sentirla
come un'invasione. E così era. Si sentiva invaso, James. Tutt'ora si
sente circondato, messo all'angolo. Non ha più spazio per
crogiolarsi nei suoi dolori, perché ogni anfratto della sua
esistenza è ora occupato da Q. Prima ancora di pensare di affogare la
rabbia in un bicchiere di whisky, Q gli mette in mano una tazza di
tea. Se torna a casa gonfio di frustrazione e stanchezza, Schrödinger
lo accoglie con paio di strusciate tra le caviglie e James si sente
semplicemente sgonfiare.
James si chiede se è
così che si sente Q, se è così che lui lo fa sentire. Non è una
domanda da farsi. Perché loro non sono il genere di persone che
parlano di queste cose e non lo saranno mai, ma se lo chiede lo
stesso e gli piace immaginare di sì. A James piace pensare che
quando fanno l'amore, quando lo penetra, quando lo prende e lo invade
tutto e non gli lascia fiato per respirare, Q si senta esattamente
come lui. Circondato, prigioniero, eppure felice.
Ogni volta James avverte
il collasso della sua razionalità. Inizia ad indebolirsi mentre lo
bacia, si incrina quando lo spoglia, si sgretola inesorabilmente
sotto le sue carezze. Q non gli chiede di essere dolce e James sa che
non è fatto di porcellana come appare, la sue attenzioni non
dipendono da una malriposta ansia di fargli male. È che James lo ama
questo suo crollo, se ne stupisce ogni volta come se fosse la prima e
lotta tra il desiderio di prenderlo e basta e la voglia di stare a
gustarselo per infinite ore. La disfatta di Q, il suo cedimento
totale.
Se ne ha vergogna, mai
l'ha dato ad intendere. Comunque sia, James la vede diversamente. Ha
avuto abbastanza amanti da riconoscere quando tra le mani ha qualcosa
di autentico.
Non c'è dubbio o
reticenza nel modo in cui Q si apre a lui. Potrebbe definirlo
sfacciato, se non fosse che quelli sono i soli momenti in cui non
vede ombra di impertinenza in lui. La sua lingua pungente si ritrae e
lascia il posto ad un miele che James non ha mai assaggiato. Quel
cervello iperattivo si spegne un po' alla volta e resta una creatura
fatta di carne e umori e respiro. James potrebbe sentirsi a buon
diritto un predatore che trionfante cattura la preda, se Q non gli si
concedesse in maniera così consapevole da apparigli come una
dolcissima trappola.
James affonda in lui e ne
resta invischiato, si perde e si ritrova negli sguardi densi e nelle
labbra arrossate, nella pelle segnata dalle sue mani, nei denti che
mordono e nelle unghie che graffiano. Q non parla quando fanno sesso,
tutto il suo corpo parla per lui. Il massimo picco di dialettica lo
raggiunge quando infine viene con quei suoi mugolii frammentati e
getta indietro la testa esponendogli il collo bianchissimo. In
qualsiasi posizione siano, James si trova infine omaggiato di
quell'estrema offerta.
Q sa che non può esserci
vergogna nel presentarsi a James così. Non più di quanta possa
essercene in James nel farsi cullare via gli incubi che gli scuotono
il sonno. Avverte in lui quel senso di privilegio, quell'ansia di
protezione che fanno da specchio ai suoi. Gli effetti collaterali
della fiducia incondizionata.
Loro sono questo. Si
prendono e rimettono a posto così, un pezzo alla volta, un giorno
alla volta, in un circolo vizioso che sta assumendo il sapore di una
quotidianità inaspettata.
Schrödinger
li sveglia ogni mattina con le sue zampe non poi così leggere e
s'insinua tra di loro, rubando calore in cambio di fusa. James fa
finta di protestare mentre gli fa i grattini e Q fa finta di essere
geloso del fatto che il suo gatto preferisca le coccole dal suo
compagno.
Passano
queste giornate di mezzo nella più completa disorganizzazione.
Eccetto le colazioni
sontuose con cui Q fa recuperare ad entrambi le calorie perse durante
le missioni – calorie consumate l'attimo successivo tra le
lenzuola – James non si aspetta mai molto altro. Una volta aveva
provato a cucinare davvero e i risultati erano stati schifati persino
da Schrödinger. Una padella
annerita è rimasta ad imperitura memoria. No, decisamente non sono
fatti per fare i casalinghi. Una donna passa una volta a settimana a
cercare di riordinare quel disastro di appartamento e a dare una
pulita, rifornire il frigo di generi alimentari di prima necessità.
Per il resto, vivono di cibo da asporto.
La
sera li coglie così, con le scatole di tailandese abbandonate per
terra e un film alla tv, Q che si scava una tana addosso a James e
lui che conta, mormorando sciocchezze indimenticabili sui suoi capelli. Conta gli attimi sui respiri di Q, sulle sue pulsazioni, sulle sue
battute sarcastiche, sulle sue dita da pianista, sui suoi sospiri,
sui suoi baci. James conta con il suo orologio preferito i suoi
momenti preferiti.
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