Ciao
a tutti.
Rieccoci qui, più o
meno vivi dopo la terza stagione. Personalmente sono ancora un
tantino sconvolta...
Cmq, questa è la prima
ff che scrivo ambientata nella nuova stagione, per l'esattezza è
collocata nell'episodio His Last Vow, quindi non leggetela se non
l'avete visto perché ci sono tantissimi spoiler. Perché non
dovreste averlo visto mi sfugge, ma mai dire mai.
Questa one shot nasce
dai mille vuoti lasciati, sicuramente di proposito, dal nostro caro
maledetto Moffat. Una marea di cose non dette che evidentemente vuole
che interpretiamo. Va bene Moffy, se è questo che vuoi. Tutti quei
vuoti noi li useremo come spazio di manovra per le nostre sempre più
deliranti fanfiction, ed è solo colpa tua. Quindi, Sherlolly sia!
L'ultima parte è molto
sentimentale e molto ooc, ma dopo sappiamo cosa succede, quindi
volevo inseririci qualcosa di bello prima di arrivare
all'inevitabile.
Ovviamente, nessun
personaggio mi appartiene, e la storyline appartiene a Mefistof...
Volevo dire Moffat.
Spero vi piaccia.
Buona lettura.
Save me again.
Camminava con passo
svelto, in ansia.
Sapeva che stava bene,
aveva già parlato con John e anche con una sua vecchia compagna di
università che lavorava in chirurgia, ma doveva vederlo. Sarebbe
andata immediatamente se solo le fosse stato possibile, ma la
prognosi riservata era stata sciolta solo quella mattina. L’idea
che fosse stato così vicino alla morte le procurava una morsa allo
stomaco che le impediva di respirare. Non avrebbe mai potuto
accettare la sua morte. Non dopo tutto quello che era successo. Non
dopo aver passato due anni in attesa di rivederlo, sperando che
stesse bene, che non gli fosse successo nulla di male.
Forse inconsciamente
continuava a sperare, ma aveva da tempo rinunciato alle fantasie
romantiche nei suoi confronti. Tutto ciò di cui si preoccupava era
il suo bene. Voleva solo il meglio per lui ed era certa di averlo
dimostrato chiaramente prendendolo a schiaffi.
Era arrivata a pochi
metri dalla stanza in cui era ricoverato quando vide la porta
aprirsi. Si bloccò sul posto riconoscendo all’istante la donna che
ne emergeva.
Janine.
La ragazza di
Sherlock.
O almeno questo era
quello che dicevano tutti i giornali. Non aveva avuto il tempo né la
forza di chiedere conferma a John su questa notizia, ma c’era
qualcosa in quella storia che le sembrava poco chiara. Le descrizioni
che Janine faceva di Sherlock come fidanzato trasudavano menzogna.
Certo, lei non lo aveva
mai visto in quella veste, ma lo conosceva bene. Molto bene. Forse
meglio di quanto lui stesso si conoscesse, ed era assolutamente certa
che il vero Sherlock fosse diverso.
Una parte di lei
avrebbe voluto fermare Janine, chiederle se era vero, e rimproverarla
aspramente per aver svenduto Sherlock sui giornali, ma si trattenne.
In parte perché non ne aveva realmente il coraggio, in parte perché
l’espressione triste dell’altra donna le aveva spezzato il cuore.
Non sembrava esattamente una fidanzata felice.
Aspettò che si fosse
allontanata e poi raggiunse la porta e bussò.
La voce di lui, ancora
più bassa e roca del solito, la invitò ad entrare.
Quando aprì e lo vide
su quel letto, pallido e debole, il petto nudo che si alzava
velocemente e sul suo viso una smorfia di dolore, dovette lottare con
se stessa per trattenere le lacrime.
“Molly…” sussurrò
lui indirizzandole un breve sorriso. “Sei venuta a prendermi ancora
a schiaffi?”
“No… Io…”
balbettò lei avvicinandosi lentamente al letto. “Ero molto
preoccupata per te.”
“Sicura? In realtà
apprezzerei molto i tuoi schiaffi in questo momento.”
“Come, scusa?”
“Mi hanno tenuto
sotto morfina e sono piuttosto intontito, non riesco a pensare. Avrei
proprio bisogno di te che mi costringi a mantenere la
concentrazione.”
“Senza la morfina
soffriresti enormemente.”
“Lo so, ma ho del
lavoro da fare. Non posso restare in questo letto, non ora.”
esclamò con tono esasperato. “Molly, saresti disposta ad aiutarmi
ancora?”
“Io ti aiuterò
sempre, purché tu non metta a rischio la tua vita.”
“Sono un consulente
investigativo, un detective, la mia vita è costantemente in
pericolo.”
“Appunto per questo
dovresti limitare i rischi quando ti è possibile…”
“Molly, ascoltami.”
cominciò lui afferrandole la mano con forza. “Si tratta di John,
se resto qui lui sarà in pericolo. Devi aiutarmi a uscire da questo
posto.”
“Non posso,
Sherlock.”
“Certo che puoi. Sei
l’unica a cui affiderei la mia vita.”
“Pensavo avessi
Janine a cui affidarti ora.” disse lei incapace di trattenersi.
“Janine? Ti
prego, non crederai a quelle sciocchezze dei giornali…”
“Allora non è vero
che… le hai comprato un anello.”
“Tecnicamente è
vero, ma…”
“Tecnicamente?”
“Era per un caso.”
“Le hai chiesto di
sposarti per un caso?”
“Sì.”
“Sherlock, ma sei
impazzito?”
“È tutto a posto.
Lei ha venduto quelle sciocchezze ai giornali e si comprerà un
cottage nel Sussex. Direi che può ritenersi risarcita per le
eventuali false speranze a cui si è aggrappata.”
“Ma… Sherlock, come
hai potuto abusare così dei suoi sentimenti?”
“È adulta ed è
pienamente in grado di superare la delusione. Ora, però, torniamo
alle questioni serie. Devi aiutarmi a uscire da qui.”
Molly si accigliò,
guardandolo preoccupata. Conosceva quello sguardo, fin troppo bene.
Niente lo avrebbe fermato, che lei lo aiutasse o no. Solo che senza
il suo aiuto si sarebbe ucciso con la propria imprudenza.
“È un suicidio.”
cercò di obbiettare ancora una volta, con la voce ridotta a un
sussurro implorante.
“Non ho intenzione di
morire, Molly. Ecco perché il tuo aiuto sarebbe gradito. Tu sei
l’unica in grado di aiutarmi, come mi ha fatto ampiamente notare
anche il mio inconscio. Solo tu puoi farmi sopravvivere.”
Molly non capiva cosa
volesse dire e iniziò a scuotere la testa in un gesto involontario
di negazione.
“Sherlock, non potrei
mai perdonarmi se ti succedesse qualcosa…”
“Non succederà. Ti
prego, portami a casa.” concluse lui stringendo più forte la sua
mano.
Si sentiva stretta fra
due fuochi. Voleva aiutarlo ma non voleva nemmeno che lui rischiasse
la vita. Cosa doveva fare? Non riusciva a pensare con quegli occhi di
ghiaccio, eppure così caldi in quel momento, che la fissavano
intensamente. Strinse la palpebre cercando di trovare la
concentrazione. Ascoltò il suo istinto e prese una decisione.
“Ti aiuterò, ma
avrai poche ore prima di dover tornare in ospedale. Promettimi che
appena possibile chiamerai l’ambulanza.”
“Te lo prometto. Ora,
ti prego, toglimi questi tubi.”
Lei sospirò e si
avvicinò a lui. Per prima cosa spense il macchinario che lo
monitorava o avrebbe rischiato di far suonare l’allarme, dopodiché
sfilò con attenzione i tubi e gli aghi, uno per uno.
Era troppo preoccupata
per dare peso a un dettaglio simile, ma sfiorare la sua pelle era una
sensazione incredibile. Era come se al suo tocco lui potesse svanire
come un miraggio, ed era splendido rendersi conto che lui era ancora
lì di fronte a lei.
Lui rabbrividì,
probabilmente a causa delle sue mani fredde, e con una smorfia di
dolore si sedette sul letto.
“Molly, avrei bisogno
dei miei vestiti. Non passerei inosservato con indosso solo questo
lenzuolo.”
Lei arrossì,
rendendosi conto solo in quel momento del fatto che lui era nudo.
“Non credo che i tuoi
vestiti siano qui.”
“Allora mi serve
qualcos’altro da indossare.”
Molly si accigliò per
un momento e poi trovò una soluzione.
“Dammi cinque
minuti.”
Uscì dalla camera
guardandosi intorno con aria circospetta. Si diresse nello
spogliatoio degli infermieri e ne riemerse pochi minuti dopo, senza
che nessuno la notasse.
Rientrò nella camera
di Sherlock respirando a fatica, non aveva mai rubato niente in vita
sua.
“Hai fatto presto.”
Lei lo raggiunse e gli
passò un camice da infermiere. Lui infilò con una smorfia la parte
superiore ma sbuffò guardando i pantaloni.
“Non riesco a
piegarmi. Dovrai infilarmeli tu.”
“Ma... Ma...”
balbettò lei arrossendo.
“Ti prego, Molly. Se
non ti conoscessi e sapessi che sei un'eccellente patologa, dubiterei
che tu abbia mai visto un corpo nudo.”
Molly aggrottò le
sopracciglia, in parte imbarazzata e in parte irritata.
“E io che per un
momento ho pensato che me lo avresti reso facile...” commentò lei
a bassa voce mentre si inchinava a terra e gli infilava i pantaloni
un piede per volta.
Dopo aver fatto un
profondo respiro, chiuse gli occhi mentre li tirava su sino alle
cosce. La sua forza di volontà venne meno solo per un secondo,
quando schiuse leggermente le palpebre, ma le richiuse
immediatamente.
“Molly, smettila. Mi
hai visto nudo. Sopravvivrai.” ironizzò lui mentre finiva di
sistemarsi i pantaloni e li legava in vita.
Lei non replicò ma si
voltò e aprì l'armadio. Inaspettatamente, non era vuoto.
“Perfetto.
Passamelo.” disse la voce di lui alle sue spalle.
Molly afferrò il
costoso cappotto e glielo passò. Nel farlo aspirò brevemente
l'aroma di Sherlock che lo impregnava. Aveva sempre adorato il suo
profumo.
Lui se lo mise sopra il
camice e poi si voltò nuovamente verso di lei.
“Dovrebbero esserci
anche le scarpe, da qualche parte.”
Molly le trovò subito
e gliele consegnò.
“Perfetto, controlla
se sta arrivando qualcuno, così possiamo uscire.” spiegò mentre
lentamente camminava verso la porta. “Molly? Prendi la morfina, per
favore.”
Lei obbedì e staccò
la flebo infilandola nella sua borsa. Dopodiché uscì nel corridoio
e, dopo aver appurato che era libero, gli fece cenno di seguirla.
Ci vollero pochi minuti
per raggiungere il primo ascensore e scendere sino al piano terra, e
poi si diressero verso una delle uscite dedicate solo al personale.
Nel farlo, Molly ebbe la presenza di spirito di afferrare una sedia a
rotelle e vi fece sedere Sherlock. Lui non ne fu entusiasta ma
stranamente obbedì.
Poco dopo erano per la
strada e stavano fermando un taxi.
Il viaggio in taxi fu
fortunatamente breve, nonostante la breve sosta in una profumeria per
un acquisto assolutamente necessario. L’effetto della morfina stava
passando e sentiva un dolore lancinante al petto a ogni respiro.
Cercando di controllare il dolore, si voltò a guardare Molly accanto
a sé. Era agitata. Le sue piccole mani, delicate eppure capaci di
dare dei poderosi schiaffi, stavano tremando. Istintivamente, ne
afferrò una per bloccarla. Non aveva altre intenzioni se non fermare
quel fastidioso tremolio, ma dovette ammettere che toccarla lo faceva
sentire meglio. Come se il dolore si attenuasse.
Quando lei aveva
rimosso i tubi e gli aghi poco prima, era rabbrividito. E non per il
freddo. A quanto pare il suo inconscio e il suo corpo avevano capito
qualcosa che la sua ferrea logica continuava a rifiutare. Qualcosa
riguardo Molly e a quanto fosse importante per lui.
“Non ti arresteranno
per il furto di un camice e di una sedia a rotelle. E poi li
restituiremo, quindi smetti di agitarti.”
“Non è per quello
che sono agitata.” Commentò lei scuotendo la testa con tono
esasperato.
Lui la guardò
accigliandosi, cercando di capire qualcosa dalle sue espressioni, ma
continuava a tenere lo sguardo basso.
“L’unico motivo per
cui sono agitata e che temo di aver messo a rischio la tua vita. Sono
terrorizzata all’idea che tu possa morire. Ti prego, giurami che
starai attento…” continuava mentre calde lacrime scendevano sulle
sue guance.
“Non ho intenzione di
deluderti, Molly Hooper. Mai più.”
Lei finalmente alzò il
viso e si voltò a guardarlo. Gli occhi arrossati e lucidi, il viso
gonfio per il pianto e un luminoso piccolo sorriso che faceva
capolino.
Ormai erano arrivati a
Baker Street e, a fatica, scesero dal taxi e recuperarono la sedia a
rotelle.
Salire le scale verso
l’appartamento fu più complicato. Sherlock faceva un gradino alla
volta con estrema fatica. Molly lo sosteneva, ma si trascinava dietro
anche la sedia a rotelle piegata, quindi il suo corpo minuto non
poteva aiutarlo quanto sarebbe stato opportuno.
Arrivati al primo
piano, Sherlock si accascio sulla sua poltrona cercando di riprendere
fiato.
“Ho bisogno che tu
faccia alcune cose per me.” Disse infine rivolto a Molly che
rimaneva al centro della stanza con aria smarrita.
“Certo, qualunque
cosa.”
“Vieni con me.” La
invitò lui alzandosi dalla poltrona e dirigendosi in camera da
letto.
Lei lo seguì
obbediente ma si fermò sulla soglia con aria imbarazzata. Lui si
sedette sul letto e fece dei profondi respiri prima di ricominciare a
parlare.
“La poltrona
nell’angolo e il mobiletto accanto. Devono tornare in salotto.
Esattamente come erano quando John viveva qui. Ti aiuterei a
spostarli ma non credo di farcela.”
“D’accordo, non è un
problema, ma perché?”
“Devo lasciare degli
indizi a John.”
Molly annuì e poi
raggiunse la poltrona. Lentamente la trascinò sino alla sala e fece
lo stesso con il mobiletto. Sherlock la seguì per assicurarsi che
fossero esattamente come in passato e una volta appurato torno in
camera da letto.
Aprì armadi e cassetti
e tirò fuori degli abiti per sé.
“Immagino tu abbia
bisogno d’aiuto anche per cambiarti.” Commentò lei nuovamente
sulla soglia.
“Sì, Molly. Ti
ringrazio.”
Lei fece spallucce e si
avvicinò. Lui si sedette e, lentamente, Molly gli sfilò la parte
superiore del camice.
Era strano lasciare che
lei lo spogliasse e lo toccasse. Tra loro c’erano stati pochissimi
contatti fisici, stranamente concentrati nell’ultimo periodo, in un
crescendo che trovava drammaticamente eccitante.
Non avrebbe dovuto
indugiare in pensieri simili, soprattutto in un giorno in cui la sua
vita e quella di John erano in pericolo. E non avrebbe dovuto farlo
neanche in una giornata qualunque. Ciò che provava per Molly poteva
essere una grave distrazione. Eppure c’era una piccola parte di lui
che ammetteva di aver represso troppo a lungo ciò che sentiva.
L’aveva messo in una stanza del suo Mind Palace che aveva chiuso
con un grosso lucchetto fatto di cinismo e freddezza, ma ormai quel
lucchetto stava cedendo per l'enorme quantità di sentimenti che
riempivano quella stanza, con il rischio di farla esplodere da un
momento all'altro.
La osservò mentre,
nonostante l’imbarazzo che le colorava le guance, gli sfilava i
pantaloni con professionalità, evitando di guardarlo più del
necessario. Sapeva di non esserle indifferente. Nonostante il modo in
cui lui l’aveva maltrattata per anni. Nonostante gli schiaffi che
gli aveva riservato solo pochi giorni prima. Nonostante il fatto che
fosse sul punto di sposarsi con quel Tom, con cui faceva un sacco
di sesso, a quanto gli aveva detto proprio Molly tempo prima.
Fece una smorfia nel ricordare quella conversazione che lo aveva
inaspettatamente turbato.
“Quando è successo?”
le chiese quando lei distolse lo sguardo aiutandolo a indossare i
boxer.
“Di cosa parli?”
replicò lei pur continuando a guardare altrove.
“Del tuo
fidanzamento. Quando è stato annullato?”
“Poche settimane fa.”
Rispose mentre prendeva i pantaloni e si chinava per infilargli una
gamba per volta.
“Subito dopo il
matrimonio, quindi. È successo qualcosa quel giorno?”
“Non esattamente. Ho
solo realizzato che il modo in cui io vedevo Tom era solo frutto
della mia immaginazione. Lo avevo idealizzato credendo che fosse
speciale.”
“E, invece, come
era?”
“Normale. Banale.
Noioso. Non particolarmente intelligente o spiritoso, ma convinto del
contrario. Era gentile, ma non si può sposare qualcuno solo perché
è gentile.” Concluse mentre finiva di fargli indossare la i
pantaloni.
“Suppongo di no.”
“Sarebbe stato un
terribile errore. Se mai mi sposerò, sarà solo con un uomo che amo
davvero, qualcuno che ricambi quello che provo per lui. Qualcuno che
mi consideri speciale come io considero lui.”
Lui si alzò in piedi e
lei lo aiutò a infilare la camicia, un braccio per volta, e poi
iniziò ad abbottonarla.
“Mi dispiace. Credevo
fossi felice.”
“Credevo di esserlo,
ma poi al matrimonio ho iniziato a guardarlo in maniera diversa. Ho
capito come ci vedevano gli altri e le mie illusioni sono svanite,
permettendomi di vederlo come era veramente. Non era quello giusto
per me. Non era abbastanza speciale.”
“Tu meriti qualcuno
di speciale, Molly Hooper, ma nessuno sarà mai abbastanza per te.
Nessuno è alla tua altezza.”
Lei si fermò con le
mani a mezz’aria tra un bottone e l’altro e alzò lo sguardo.
“Sherlock, tu sai
cosa provo, lo hai sempre saputo. E sai che sei sempre stato tu e
nessun altro.”
Lui rimase a fissare
quegli occhi castani colmi di lacrime. Era vero, lo sapeva. Aveva
sempre saputo di essere la persona speciale di Molly Hooper. Quello
che non sapeva, che non aveva mai realizzato, era che lei era la sua.
“Meriti di meglio,
Molly.”
Lei abbassò lo sguardo
e strinse le palpebre facendo colare due grosse lacrime sulle proprie
guance.
“Certo, lo so.” Rispose con tono triste, evidentemente pensando che le
parole di lui
fossero solo un modo gentile di rifiutarla.
Sherlock avrebbe voluto
aggiungere qualcosa, spiegarle che non voleva rifiutarla ma solo
proteggerla. Da se stesso. Dalla sua vita. Dalla sua sociopatia. Ma
non poteva. Non sapeva come fare. Il pensiero era così lucido e
preciso nel suo Mind Palace, ma quando cercava di esternarlo c’era
come un blocco tra il suo cervello e la sua bocca.
Lei finì di
abbottonare la camicia evitando di incrociare i suoi occhi e, senza
aggiungere altro, lo aiutò a indossare la giacca e il cappotto.
Ormai era pronto,
doveva procedere con il suo piano.
“Molly, ho bisogno
del sacchetto della profumeria.”
Lei non commento e lo
tirò fuori dalla sua borsa e glielo consegnò. Lui lo scartò e poi
si diresse in sala, poggiando sul mobile accanto alla poltrona di
John una boccetta nuova di Claire De La Lune in bella vista.
Persino John avrebbe
capito, nonostante i suoi limiti.
Non indugiarono oltre
e, dopo aver recuperato la sedia a rotelle, uscirono in strada e
presero il primo taxi di passaggio allontanandosi da Baker Street.
Molly guardava fuori
dal finestrino, pur non vedendo quello che le passava davanti, era
ancora troppo turbata da quello che era successo nelle ultime ore.
Senza contare che il volto di Sherlock diventava sempre più pallido
ed era terribilmente in ansia per lui.
“Hai promesso di
stare attento e di chiamare un’ambulanza il prima possibile,
ricordalo.” Disse rompendo il silenzio all’interno del taxi.
“Manterrò la
promessa, Molly Hooper.”
L’auto si fermò e
Molly si rese conto di essere davanti al Barth’s. Non si era
nemmeno resa conto che Sherlock avesse dato quell’indirizzo al
tassista.
“Probabilmente
verranno a chiederti se sai dove mi nascondo.”
“Non sono brava
a mentire.”
“Non dovrai farlo,
perché non ho intenzione di dirti dove sto andando. Potrai quindi
dire la verità, omettendo queste ultime ore, ovviamente.”
“D’accordo…
L’omissione sta diventando una mia specialità.” Commentò lei
ricordando come se l’era cavata due anni prima quando aveva dovuto
omettere di aver aiutato Sherlock a fingere il suo suicidio.
Sospirò mettendo una
mano sulla maniglia ma si bloccò quando l’altra venne intrappolata
in quelle di lui.
“Molly Hooper, voglio
che tu sappia questo. Tu sei speciale. Tu mi hai salvato la vita
tante volte e in tanti modi diversi, alcuni dei quali non sei nemmeno
a conoscenza, e continui a farlo. Senza di te, io non sarei qui.”
“Io… Ho solo fatto
quello che mi hai chiesto.”
“Senza lamentarti,
senza mai deludermi. Ecco perché posso affidare la mia vita a te,
sei l’unica di cui posso fidarmi ciecamente. E non ti ringrazierò
mai abbastanza. Te l’ho già detto, tu conti più di chiunque
altro.”
Molly non sapeva cosa
rispondere. Sherlock era incredibilmente gentile, quasi sentimentale.
Non era mai successo. Sì, da quando era tornato era diverso con lei,
meno freddo, meno arrogante, meno scortese. Meno stronzo. Ma
in quel momento, su quel taxi, c’era dell’altro. Il modo in cui
la guardava o in cui le teneva la mano, era qualcosa che non avrebbe
mai immaginato. Una parte di lei voleva illudersi che significasse
qualcosa, ma la sua parte razionale sapeva che non era così.
“Non devi
ringraziarmi.”
“Ma io voglio farlo.”
Rispose lui prima di avvicinarsi a lei e poggiare delicatamente le
sue labbra sue quelle di lei.
Fu un contatto breve,
incredibilmente casto, quasi fraterno, ma allo stesso tempo fu
terribilmente eccitante. Il suo cuore iniziò ad accelerare i battiti
e prima che lei potesse riprendersi dalla sorpresa e tentare di
rendere più intimo quel contatto, lui si scostò. Le rivolse uno
sguardo dolce e sorrise.
“Ora dovresti andare,
Molly Hooper.”
Lei boccheggiò
cercando una risposta ma alla fine semplicemente annuì confusa.
Scese dall’auto e fece un cenno di saluto mentre guardava il taxi
ripartire e svoltare l’angolo.
Ancora emotivamente
scossa, si diresse direttamente alla caffetteria dell’ospedale dove
prese un caffè nero extra forte. Aveva bisogno di ritrovare la sua
compostezza.
Era a metà della tazza
e relativamente tranquilla quando vennero a chiedere la sua opinione.
Non mentì, confessò che ogni tanto lui si nascondeva a casa sua, ma
non aggiunse altro. E rivelare quel piccolo segreto la fece sentire
meglio sapendo che ne nascondeva uno molto più grande.
Alcuni mesi dopo
Molly rientrò
stancamente nel suo palazzo. Era distrutta da un terribile doppio
turno e non vedeva l’ora di stendersi e riposare. Le feste non
erano mai facili. Tra le ferie da passare in famiglia e i malanni di
stagione, lei passava sempre Dicembre a fare straordinari continui
per coprire gli assenti. Bene per il suo portafoglio, male per la sua
salute fisica e mentale.
Arrivata al secondo
piano, cercò le chiavi in fondo alla borsa e le infilò nella
serratura.
“Molly?” la chiamò
una voce familiare proveniente da un angolo buio, facendola
sussultare.
“Sherlock! Mi hai
spaventato… Cosa fai qui?”
“Posso entrare?”
chiese invece lui con una strana espressione sul viso.
“Certo…”
acconsentì lei aprendo la porta e facendolo accomodare.
Si tolse il giaccone
rendendosi conto che le sue mani tremavano. Non vedeva Sherlock da
mesi. Dopo la sua fuga era tornato in ospedale giusto in tempo per
non rimetterci la vita, e questo aveva causato un aggravarsi delle
sue condizioni e una lunga degenza.
Molly, dal canto suo,
non aveva avuto il coraggio di andare a trovarlo. In parte perché
temeva che lui le avrebbe chiesto ancora di aiutarlo a scappare, in
parte perché si sentiva in imbarazzo dopo quello che era successo
nel taxi. Aveva comunque chiesto aggiornamenti continui a John,
quindi sapeva che Sherlock era stato dimesso da qualche giorno e che
stava finalmente bene.
“Come mai sei qui?”
“Ti ho portato
questo.” Replicò lui prendendo una piccola scatola regalo dalla
sua tasca. “Volevo dartelo prima di partire. Domani vado in
campagna dai miei genitori e ci resterò per due settimane. Sono
entusiasti di avermi nuovamente a casa per Natale e io non ho potuto
negarglielo dopo quello che è successo.”
“Mi hai preso un
regalo per Natale?” domandò lei incredula.
Non era mai successo.
Era lei quella che faceva i regali, non lui. E tanto meno a lei.
“Io non faccio regali
per Natale.” Confermò infatti lui poco dopo. “È solo una
stupida tradizione che serve ad alimentare il consumismo e che non ha
nulla a che fare con Dio, in cui tra l’altro non credo.”
“E allora…”
“Non è per Natale,
ma è un regalo. Per te.” Spiegò lui posandoglielo in mano.
“Se non è per
Natale, posso aprirlo ora?”
“Sarebbe perfetto.”
Annuì lui con una strana espressione in viso.
Molly sorrise pensando
che sembrava in imbarazzo. Si chiese se avesse mai fatto un regalo a
qualcuno, per una qualsiasi occasione.
Aprì la scatoletta e
rimase stupita. Tirò fuori ciò che c’era dentro per osservare da
vicino.
“Mi hai regalato
delle chiavi?”
“Deduzione corretta.”
Commentò lui con sarcasmo ma in cambio ricevette uno sguardo di
rimprovero. “Forse dovrei specificare che sono le chiavi del…
221b di Baker Street. Sono le chiavi di casa mia.”
Molly spalancò la
bocca per la sorpresa. Non poteva essere vero, doveva aver capito
male. Probabilmente stava fraintendendo.
“Perché?” chiese
solamente quando riuscì a trovare il fiato.
“Voglio che tu ti
senta libera di venire a casa mia ogni volta che lo desideri.”
“Perché dovrei
desiderare di venire a casa tua?”
A quella domanda
Sherlock si irrigidì e iniziò a mordersi il labbro inferiore. Molly
non potè fare a meno di pensare che sembrava essere deluso.
“Per… passare del
tempo… con me.” Disse infine sputando fuori le parole a fatica.
“Tu vuoi che passiamo
del tempo insieme?” domandò ancora lei più stupita che mai.
“Beh, non pensavo di
dover dare delle spiegazioni dopo averti regalato le chiavi di casa
mia. A quanto so è un gesto molto eloquente. Doverlo spiegare a
parole mi pare superfluo.”
“No, Sherlock, in
questo caso nessuna spiegazione è superflua.”
Lo vide deglutire e
iniziare a camminare avanti e indietro per la stanza. Sherlock era
nervoso. Nella testa di Molly si stava formando un certo tipo di
puzzle, ma la parte razionale del suo cervello le diceva di non
illudersi, quindi attese per dei lunghi minuti che lui iniziasse a
parlare. Quando lo fece non la guardò in viso. Si era posizionato
di fronte alla finestra e le dava le spalle.
“Durante la mia
convalescenza ho avuto molto tempo per riflettere, fin troppo forse.
Certo, per la maggior parte del tempo ho pensato a come fermare uno
squallido ricattatore riuscendo comunque a garantire la serenità dei
miei amici, ma c’erano dei momenti in cui avevo bisogno di
concentrarmi su qualcosa di diverso. Qualcosa di bello, puro.
Qualcosa che mi facesse stare bene. Mentre ero via, ho dedicato
un’intera ala del mio Mind Palace a questo genere di cose,
suddivise in varie stanze. Tra queste ce n’è una che, soprattutto
nell’ultimo periodo, ho visitato molto più delle altre.”
Lui fece una pausa e
Molly non poté evitare di fare qualche passo verso di lui e
posizionarsi alle sue spalle.
“Quale?” chiese con
un filo di voce.
“La tua, Molly
Hooper.” Rispose lui voltandosi e trovandosi faccia a faccia con
lei. “E dopo aver aperto quella porta non sono più stato in grado
di chiuderla. Quella stanza rischia di esplodere per la quantità di
dettagli e immagini di te che contiene.”
“Tu hai una stanza
solo per me?”
“Dovrei avere un
intero Mind Palace solo per te.”
“E questo cosa
comporta per noi, Sherlock?”
Lui sospirò. Sembrava
essere deluso dal fatto di doverle spiegare tutto. Alzò gli occhi al
cielo per un istante, come in una muta preghiera, e poi fece un passo
verso di lei, lasciando solo pochi centimetri tra loro.
“Io vorrei... Vorrei
solo averti con me.”
Molly non replicò,
continuava a osservarlo, in attesa.
“Vorrei che tu fossi
la mia...” aggiunse lui interrompendosi poco dopo. “La mia...”
si bloccò nuovamente, come se non riuscisse fisicamente a terminare
la frase.
Lei aveva capito, ma
non poteva crederci, aveva bisogno di sentirglielo dire. Non disse
nulla ma prese la mano di Sherlock nella sua, intrecciando le loro
dita, in un tentativo di incoraggiamento. Lui abbassò lo sguardo
verso le loro mani intrecciate e poi tornò agli occhi castani di
lei.
“È un sì?”
“Non mi hai fatto
nessuna domanda, Sherlock.”
“Vuoi essere... la
mia... ragazza?”
Molly sorrise sentendo
un'incontenibile euforia. Si alzò sulle punte e gli gettò le
braccia al collo prima di baciarlo sulle labbra.
“Sì, sì, sì. Mille
volte sì.”
“Tu ti rendi conto
che non potremo dirlo a nessuno? Nemmeno ai nostri amici?”
“Posso accettarlo.”
“E che io posso
essere davvero molto irritante e che non sono il tipo d'uomo che fa
coccole o complimenti in pubblico?”
“Lo sospettavo.”
“E che sarò anche
tremendamente geloso e possessivo?”
“Non mi aspetto
niente di meno.”
Lui finalmente sorrise
e le circondò il viso con le mani prima di baciarla. Questa volta
non fu solo un casto contatto di labbra, ma prese possesso della sua
bocca esplorandola con passione.
“Domani parto. Posso
stare qui questa notte?”
“Pensi che ti
lascerei andare da qualche altra parte?” replicò lei ridendo
mentre lo prendeva per mano e lo conduceva in camera da letto.
Fine (?)
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