Una strana storia al di qua del
Sumida
A Dra,
la migliore compagna di
viaggio che si possa desiderare
La coscienza zen è paragonata a uno specchio. Lo specchio
è senza io e senza mente. Se arriva un fiore riflette un
fiore, se arriva un uccello riflette un uccello. Mostra bello un
oggetto bello, brutto un oggetto brutto. Rivela ogni cosa
com’è. Non ha una mente discriminante,
né coscienza di sé. Se arriva qualcosa lo
specchio lo riflette; se scompare, lo specchio lo lascia
scomparire… e non rimane alcuna traccia.
Tale non-attaccamento, la funzione veramente libera di uno specchio,
è qui paragonato alla pura e lucida saggezza del Budda.
A quanto pareva, quello del suo bagno non era uno specchio zen,
perché ce la doveva
avere con lei: rifletteva gli occhi gonfi e il trucco tolto male
sbavato sulle guance, occhi troppo gonfi dato che aveva dormito dieci
ore, e trucco troppo sbavato perché ci aveva passato almeno
dieci dischetti imbevuti di struccante. I capelli erano ancora pieni di
lacca, lanciati contro la gravità senza più uno
chignon da tenere assieme.
Si lavò la faccia con l'altra metà del tonico, si
passò l'asciugamano, spremette un'ulteriore metà
di fondotinta su una spugnetta e cominciò l'opera "devo
uscire di qui senza spaventare i vicini". Con i jeans in una mano e una
mezza bottiglia di tè nell'altra, calciò via dal
mezzo della stanza il vestito fucsia della sera prima e
frugò, sempre con la punta del piede, in cerca di una maglia
che non puzzasse di fumo. Doveva assolutamente passare in lavanderia. E
al bagno pubblico. E al
supermercato, aggiunse il frigorifero vuoto, a parte una
ciotola di ramen istantaneo talmente mefitico che non aveva avuto il
coraggio di finirlo.
- E adesso che vuoi tu? - urlò al cellulare, che aveva
vibrato da sopra il futon. Nuovo
messaggio, mittente: Keiichi, lesse sullo schermo. Sono vivo, o almeno se sono
morto cammino, ti aspetto al Kaminarimon.
In fondo al mucchio c'era una maglia decente, per
sicurezza ci spruzzò del deodorante per ambienti, si mise la
giacca, uscì e inforcò la bicicletta. Il vento
freddo la svegliò un pochino di più.
Keiichi non era messo meglio di lei ma aveva adottato la tecnica be cool, ovvero un
gigantesco paio di occhiali a specchio. Senza gli imbarazzanti completi
pitonati che doveva indossare al club e la pettinatura da super saiyan,
sembrava uno studente universitario vagamente sciatto e di sicuro molto
più carino del playboy fatalone che tanto piaceva alle sue
clienti. Aveva in mano una lattina di energetico. La gettò
ad effetto nel bidone nel momento esatto in cui lei fermò la
bicicletta.
- Ieri notte questo appuntamento sembrava un' idea migliore, Junko, -
le sbadigliò Keiichi in faccia.
- Continua a esserlo. E' da una settimana che non vedo la luce del
sole, e scommetto che vale lo stesso per te.
- Un sacco di luce del sole, alle cinque del pomeriggio del venticinque
gennaio.
- E' una questione di principio.
- E' una questione di ho
saputo che ci sono le bancarelle di schifezze, andiamo a mangiare le
schifezze Kei!
- Forse, - concesse Junko. - Dai, entriamo.
Si fecero largo tra la folla, superando le file di negozietti pieni di
turisti, fino alla scalinata principale del tempio.
- Vuoi un oracolo? - Keiichi indicò la teca piena di
bigliettini alla loro destra. Davanti, delle ragazze rabbrividivano per
un grande sfortuna
che era uscito a una di loro.
- Già fatto.
- Quanto, tre anni fa? Credo sia stata la volta che ti ho portato qui
quando eri appena arrivata da Aomori.
- E ho pescato un fortuna:
eccellente, non voglio sfidare gli dei.
Keiichi lanciò una monetina da 100 yen nella cassetta delle
elemosine, con la stessa mira precisa con cui aveva buttato via la
bottiglietta. Junko lo imitò, poi battè le mani e
si mise in quieta contemplazione della sala del tesoro. Non arrivava
mai davanti a Kannon con una domanda precisa, di solito faceva vagare
la mente in silenzio, approfittando del fatto che nessuno ti disturba
mentre stai pregando. Attorno a lei passavano i turisti, ma il
suo piccolo spazio era una bolla tranquilla in cui contemplava la grata
di legno, le lanterne dorate e l'altare che celava la statua della dea.
Keiichi battè le mani di nuovo e si inchinò, lei
lo imitò qualche secondo dopo.
- Bene, tu sai quello che voglio.
Si fiondarono alla fila di bancarelle colorate, cominciando da sei
takoyaki con un sacco di maionese. Si sedettero con la vaschetta sul
muro di cinta del giardino, vicino a due gaijin che quasi si
soffocavano tentando di mangiare i takoyaki ancora bollenti.
- Ci sono un sacco di stranieri, oggi. - osservò Keiichi con
l'acume che lo contraddistingueva.
- E di donne in kimono. Uff, mi manca il mio kimono. - Junko
spezzò uno dei takoyaki a metà e se lo mise in
bocca. - Non riushirei mai a tegnerlo bene gnel mio appartamegnto.
- Non stento a crederlo. Stupisci anche i tuoi clienti con questa
parlata sexy?
Junko non gli diede retta.
- Lo ha in custodia la nonna, a casa. E' bellissimo, nero con dei rami
di acero che salgono dal fondo fino a sotto il fiocco. Andavo sempre
con la nonna al tempio, per il primo dell'anno. Adesso a volte mi alzo
al tramonto dell'uno e arrivo al lavoro che è
già cominciato il due gennaio. Ne prendiamo un altro? -
Junko gettò via la vaschetta vuota, non prima di aver
grattato via con lo stecchino ogni particella di salsa avanzata.
Keiichi la fermò prima che si fiondasse di nuovo alla
bancarella.
- Ho sentito che hanno aperto un posto di udon niente male,
trasferiamoci là prima di prendere il treno. E che ho detto,
adesso?
Junko si pulì un baffo di maionese sulla guancia e trattenne
un'altra risata.
- C'è una storia che sanno tutte le ragazze, al club. La
nostra mamasan,
Aoko, è una delle signore più raffinate che tu
possa mai conoscere. Mai un capello fuori posto, questo kimono azzurro
che deve avere una storia incredibile, gusto impeccabile
qualsiasi cosa faccia. Però, una volta Mariko giura di
averla riconosciuta a Roppongi, sai, al posto dove fanno gli udon
giganti: beh, la perfettissima Aoko non era in grado di mangiare una
ciotola di udon, le scivolavano da tutte le parti. Così,
ogni volta che mi sgrida per qualche motivo, penso agli udon e mi sento
meglio.
- Che ne sai, magari da giovane era talmente povera che la sua famiglia
non si poteva permettere nemmeno gli udon. Andavano avanti a ciotole di
riso e la povera mamasan
Aoko non ha mai imparato come mangiare gli udon.
- Certo, estremamente probabile.
Guardarono, impigriti, il fiume di gente che faceva visita al tempio.
Keiichi si allontanò fino al primo distributore di bibite e
prese del tè caldo per Junko e caffè nero per
sé. Junko aveva notato la piccolissima esitazione davanti ai
pulsanti: tutte le volte Kei indugiava davanti alla zuppa di mais in
lattina, senza mai trovare il coraggio per assaggiarla. Gliel'avrebbe
fatta trovare dopo il lavoro, pensò bevendo il tè
caldo, per l'ultima risata prima di trascinarsi verso casa.
- Cosa hai detto a Kannon oggi?
- Trentasette milioni quattrocentoventimila yen.
- Quindi siamo al giro di boa.
- Già, prepara la lettera di dimissioni.
- I miei mi hanno mandato una bottiglia di sake di quello fatto in
casa, ha un'etichetta molto bella e mi è arrivato avvolto in
una stuoietta di bambù. Ti tengo da parte il vuoto per il
bancone.
- Sarà il bar più infimo, affollato, piccolo ed
esclusivo...
-... di tutta Golden Gai. - finì Junko a memoria. Per farlo
arrabbiare aggiunse, come al solito: - E si chiamerà...
- E come faccio a saperlo adesso? Bisognerà guardarlo in
faccia.
Junko finì il tè e controllò l'ora sul
cellulare.
- Se vogliamo davvero provare gli udon e prendere il treno in tempo,
dobbiamo sbrigarci.
Recuperarono la sua bici e andarono nel locale di cui parlava Keiichi.
Gli udon erano ottimi, i capelli si districarono con
facilità e in fondo all'armadio c'era il vestito verde
acqua, miracolosamente pulito e stirato.
La zuppa di mais delle sei di mattina fu, come prevedibile, atroce.
Junko non arrivava mai da Kannon con una domanda precisa, un po'
perché la sua risposta l'aveva già avuta
all'inizio, appena scesa dal treno, poco dopo aver sorriso a Keiichi,
che le aveva fatto una foto col cellulare sotto la lanternona rossa del
Kaminarimon.
Fortuna: eccellente.
La tana di Otto
Flash in cui non succede assolutamente niente, a tutti gli effetti una
giapponeseria. E' anche, a tutti gli effetti, un missing moment di una
storia che ancora non è stata scritta, e di cui non so se ho
ricordato bene i particolari, plottati tra un giro in metropolitana e
una visita al museo.
Noticine:
- il Senso-ji è il tempio di Asakusa, un quartiere popolare
di Tokyo. Il Kaminarimon è la porta di ingresso al tempio,
Kannon la divinità che vi viene venerata.
- la zuppa di mais in lattina esiste. Anche a me manca il coraggio di
provarla.
- il fiume Sumida è il più famoso di Tokyo.
Scorre vicino, tra le altre cose, al Senso-ji.
- il titolo della storia è preso da un racconto di Nagai
Kafu, le prime righe sono un insegnamento zen che ricorre in vari testi
della dottrina.
- Keiichi e Junko lavorano nei famigerati host-club, locali dove degli
intrattenitori conversano amabilmente con i clienti, tentando di far
bere la gente e di spillare più soldi possibili.
- i takoyaki sono un cibo da strada a forma di pallina, fatti di
pastella con dentro pezzi di polipo e di una cosa rossa che non ho mai
capito bene cosa sia. Vengono serviti cosparsi di salsa tipo barbecue,
scaglie di tonno essiccato e maionese.
Grazie a tutti quelli che passeranno!
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