Cazzo

di slanif
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Cazzo
di slanif

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Un pugno!
E poi un altro!
E un altro ancora!
“Cazzo. Cazzo. Cazzo. Cazzo” continuava a ripetere, accanendosi sempre di più contro il muro di cinta dello stadio dove si allenava quotidianamente.
Non era da lui dire tutte quelle parolacce, ma si sentiva così furioso che non poteva esimersi dal farlo.
“Cazzo!”, ripeté.
Si sentiva stremato, e ansimò forte.
Poggiò la testa al muro e i pugni stretti rimasero fissi sullo stucco colorato di graffiti astratti che non avevano minimamente catturato la sua attenzione.
L’unica cosa che Genzo Wakabayashi aveva in testa in quel momento, era che erano tutti delle gran teste di cazzo!
“CAZZOOO!” urlò, dando pugni a raffica contro il muro, con sempre la testa appoggiata, scalpitando con i piedi come se stesse correndo, in una disperata ricerca di sfogare tutto il suo malessere.
Era andato in Germania per migliorare, per cercare di diventare il portiere numero uno… e invece si ritrovava lì a maledire la Germania e quel branco di stronzi che in teoria erano i suoi compagni di squadra!
Quei deficienti!
Gliene avevano combinata un’altra delle loro!
Innanzi tutto durante tutto l’allenamento l’avevano massacrato di pallonate dritte in faccia, e un paio di volte, in azioni concitate in area dove lui si era lanciato sulla palla, gli era sembrato che i calci fossero indirizzati al suo stomaco e non più alla palla… ma pazienza. In campo succede, non se ne era fatto un cruccio, anche se sapeva benissimo che certi incidenti non dovrebbero capitare, soprattutto se si calcia coscienziosamente a mezzo metro dalla palla… ma non faceva niente. Non voleva essere un piagnucolone. Voleva farsi le ossa. E anche se in un modo non molto convenzionale, gli andava bene così.
Ma quello che avevano fatto negli spogliatoi…
No, quello non si poteva accettare!
Andava bene lo shampoo e il bagnoschiuma tutti spruzzati dentro la borsa, andava bene la borsa nascosta, l’accappatoio sparito o le scritte indecenti sulle sue canotte, ma quello no!
Non potevano, non potevano, toccare il suo cappellino e farlo a pezzi con le forbici!
Il cappello rosso con visiera che tanto aveva caro, al cui interno il signor Mikami aveva scritto: Coraggio.
Era una parola sola, semplice, e quello era un cappello come ne aveva tanti, ma racchiudeva in se un gesto che il signor Mikami aveva fatto apposta per lui, delle parole di incoraggiamento che lui guardava spesso in quei giorni difficili. Quella semplice parola, quel Coraggio scritto con la scrittura decisa e spigolosa del signor Mikami, era per lui un monito a non arrendersi. Una semplice parola come quella, riusciva a dargli la forza che a volte sentiva mancargli: Coraggio.
“Quanto me ce ne vuole?” domandò distrattamente a se stesso, sentendo gli occhi bruciare.
Li strinse forte, sentendo un calore intossicante colargli sulla guancia.
“Cazzo…” esalò, stremato e triste, solo.

**FINE**

Ovviamente questa fan fiction parla del periodo in cui Genzo è appena arrivato in Germania e i ragazzi con cui gioca gli fanno i dispetti e quant’altro…





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