“Basta! Vattene via! Non voglio più saperne di te!”. La mia (ex) dolce
metà sbraita queste parole tirandomi addosso tutto ciò che le sta intorno. Per
fortuna ho scampato quella lampada!
“Hanno fatto bene a licenziarti! Sei solo un uomo fallito!”
Ecco che qui si tocca un tasto dolente.
Prendo velocemente la mia roba accatastata tra un lancio e l’altro, e
letteralmente fuggo da quella bestia impazzita. Le sue urla si sentono ancora
dall’atrio del condominio. Alcuni vicini si affacciano spaventati da quella
situazione. Uno di essi mi chiede cosa è successo. ‘Signora mia’ mi piacerebbe
risponderle ‘l’affitto sarebbe scaduto tra poco ed io sono stato appena
licenziato. Cosa dovevo fare?’. Per fortuna mi trattengo dal proferire alcuna
parola, e mi avvio a passo veloce verso la fermata della metro, ormai alle
ultime corse.
Il licenziamento di oggi non l’ho proprio digerito; mi hanno accusato
di negligenza! Io! Quando i miei colleghi sono molto più oziosi di me. E forse
furbi, oserei aggiungere: oziano il doppio ma hanno l’intelligenza di non farsi
beccare. Ma d’altronde ero io il novellino, quindi colui che si è fatto
beccare.
E come si è ben capito, Daiana non l’ha presa troppo bene. Ma alla fine
meglio se è finita così: non andavamo troppo d’accordo. Io che non vedevo
troppo di buon occhio la sua passione per le moto, e lei che mi disconosceva
ogni qual volta parlassi di eventi straordinari, impossibili, o più comunemente
definiti ‘paranormali’. Insomma, due grandi passioni troppo importanti per noi
che non sopportavamo. Era destino che finisse, prima o poi.
Nel buio della sera riesco comunque a scorgere il piccolo cartello
della linea 2 della metro, e scendo le scale per raggiungerla. I miei passi
rimbombano in quel piccolo cunicolo sotterraneo. Alzo gli occhi per osservare
lo schermo degli orari: la prossima è tra 10 minuti. Wow, fantastico. Aspettare
la metro a quest’ora di sera non è propriamente il massimo… con tutti i
malviventi che girano per strada, non sai mai cosa ti puoi aspettare.
Nella speranza di ingannare il tempo, giochicchio con la cravatta che
ho ancora indosso: vestito di tutto punto perché richiamato nell’ufficio del
direttore… per farmi licenziare. Distrattamente comincio a contare i rombi
bordeaux su quel terribile sfondo verde militare, che non so chi me l’ha fatto
fare di comprare una cravatta tanto orribile.
Osservo di nuovo il tabellone orario: 8 minuti. Che noia! Avessi dietro
un lettore mp3, adesso potrei ascoltare le mie canzoni preferite, guardare
video o godermi una qualche partita di calcio, che tanto ce n’è sempre una!
Ma il tempo inesorabilmente non passa. Stacco gli occhi da quei rombi
che mi hanno fatto venire il mal di testa, e mi alzo camminando su e giù per
quel piccolo corridoio. Ad un tratto qualcosa attira la mia vista: un piccolo
foulard rosso. Un po’ titubante mi avvicino verso quell’oggetto, semi-nascosto
nel buio. Sembra incastrato in qualcosa che purtroppo non riesco a vedere a
causa della poca luce. Mi acquatto e con fare molto poco deciso afferro il
piccolo pezzo di stoffa.
Accidenti, sembra non venire via. O forse sono solo io che ci metto
poca forza.
Tento di tirare un po’ più forte, finché il foulard non viene via; ma
il contraccolpo mi fa cadere all’indietro, cosicché mi ritrovo bello sdraiato
sul pulitissimo pavimento della metro. Addio giacca nuova di pacca!
Mi rialzo con una schiena un po’ dolorante e, dopo essermi scrollato di
dosso ben benino tutta quell’immondizia, osservo più da vicino il foulard. È di
un bel colore rosso vermiglio, con alcuni ricami a mano; i bordi appaiono un
po’ rovinati, forse a causa del tempo. Scrutandolo bene e girandolo, noto che
c’è riportato un nome: Lily.
“Grazie!”. Dietro di me odo una voce femminile, pare quasi di una
bambina.
Mi volto per risponderle “Non c’è di---“
Non c’è nessuno.
Silenzio.
La stazione è vuota!
“Chi ha parlato?!”
Silenzio.
Tutto è immobile.
Per favore, fatemi sapere cosa ne pensate, così decido se pubblicare anche il resto o no. So che come inizio è piuttosto corto, mi dispiace!
Ja~