I
lampioni fuori illuminavano attraverso la finestra il tavolo in
penombra dove stavano sorseggiando un drink, lei raccontava
dell’ultimo viaggio in Cina, lui ascoltava affascinato, dalla
Cina e da lei.
“Che scusa
hai usato questa volta?”
“Seduta
speciale del corso di massaggi”
Camminavano tranquilli
per il corridoio dell’albergo, di tanto in tanto lui le
sfiorava la mano fino a quando la porta si chiuse.
Ora erano soli in una
stanza, in meno di due secondi si ritrovò con la schiena
appoggiata alla porta e Ryan.
Le era mancato da
morire e se non avesse avuto paura di complicare ancor di
più le cose glielo avrebbe detto. Lo
guardò negl’occhi era visibilmente eccitato.
Non che lei non lo
fosse, ma lui che se ne stava lì tra le sue gambe a
riempirla di attenzioni, la mandava fuori di testa.
“Ryan”
aveva già il respiro corto e questo succedeva solo con lui.
“Che
c’è?” Chiese senza guardarla e
continuando a torturarle il collo, dopotutto se l’era
cercata, non aveva fatto altro che stuzzicarlo durante la cena, ma ora
non ce la faceva più.
“Il
letto”
“Sto
così bene qui” il tono ironico la fece sorridere e
pensare che fosse anche un po’ stronzo, ma forse fosse stato
per lui, l’avrebbe davvero fatto contro la porta.
Con un colpo secco
fece scendere la zip del vestito che lei lancio lontano. Non era tipo
da complimenti mentre lo facevano, ma come la guardava, le bastava.
“Non
lasciarmi segni”
“Guarda che
sono io quella sposata…”
“Ho la
laurea tra qualche giorno”
“Certe volte
mi dimentico che vai all’università”
“E io che
sei la zia di Seth, eccitante no?”
“Tu da
morire”
Il suono di un
cellulare interruppe quella situazione così piacevole, lei
fece finta di nulla, o forse stava davvero iniziando ad annullare tutto
il resto quando erano insieme.
Lui si
scusò un attimo e uscì dalla stanza, lei rimase a
dir poco perplessa era tipo da non sentire niente e nessuno soprattutto
se stavano per fare sesso.
Si buttò
sul letto, per recuperare un po’ di lucidità. Il
pensiero che ultimamente lui fosse strano si faceva sempre
più spazio nella sua testa: rispondeva meno alle sue
telefonate, sembrava evasivo, diceva di essere impegnato con la tesi e
poteva benissimo essere così, Ryan stava riuscendo a
laurearsi con anticipo in architettura. Era riuscito a dare tutti gli
esami e non solo, nei tempi prestabiliti, passando di corso in corso,
dando più esami a sessione e la media voto del trenta,
durante la cena le aveva anche detto che aveva aumentato i turni nel
ristorante del padre di Luke, eppure c’era qualcosa che non
la convinceva a pieno.
Dieci minuti dopo lo
vide rientrare sorridente e questo bastò per spazzare via
ogni paranoia che le stava attanagliando il cervello:
“Allora
lo vuoi questo massaggio? Così la tua sarà solo
una mezza bugia”
Alcune volte Ryan se
ne usciva con queste cose che la spiazzavano totalmente, in fondo
nell’ultimo anno per vederlo aveva raccontato così
tante bugie che non era certo quello il problema, così le
bastò un sorriso come risposta.
“E’
uno degli alberghi più costosi di tutta Portland... e la
crema per massaggi è nel terzo cassetto del mobile sulla
destra di ogni stanza”
“Allora non
sono la prima ragazza che porti”
“Come sei
maliziosa: vivere per cinque anni con Luke e il suo padre omosessuale a
quanto pare ha dei vantaggi nella scelta di posti carini”
“Sei
veramente capace di fare massaggi?”
“Questa
è la prima volta”
“Bè
io mi fido, girati”
“Ti ho
già visto nuda” disse con fare sarcasticamente
ovvio.
“Sì,
ma ora è per un massaggio, è diverso”
La vide quasi
imbarazzata, ma era inutile iniziare una discussione così
obbedì alzando le braccia in segno di resa.
“Spero di
essere l’unica cui fai questi massaggi”si
ritrovò a dire poco dopo.
Ad un tratto ha
intrecciato la sua mano a quella di lei mentre con l’altra
continuava a salire e scendere per tutta la spina dorsale, quando poi
aggiunse i baci sul collo, poteva sentire il suo respiro vicino al suo
orecchio, era decisamente troppo.
“Ti
voglio”
La voleva davvero
quella bocca per lei.
Mentre lui scalciava
via pantaloni e boxer lei continuava a mordicchiargli il labbro. Lo
sentiva e lo voleva così tanto, che di tutto il resto non le
importava più niente.
Ancor prima
dell’alba Ryan si stava rivestendo. Sarebbe dovuto essere a
casa per le otto del mattino.
“Ehi, non
volevo svegliarti”
“Scappi?”
“E’
tardi, ho delle cose da fare”
Si girò
verso il comodino, la sveglia segnava le sei. C’era qualcosa
che non andava, il dubbio continuava a frullargli in testa e questo
rovinava la cena, le risate, il massaggio e la notte fantastica,
lasciando posto alle paranoie abbandonate la sera prima.
Tirò un sospiro e si accorse che non era affatto un buon
risveglio anche perché lui se ne stava andando e questo per
lei diventava sempre più difficile.
Si girò e
passandosi una mano sugl’occhi, mentre lui si rimetteva la
camicia, ha iniziato un discorso che non sapeva a cosa avrebbe portato
ma era già colmo di rabbia:
“Dobbiamo
parlare”
“Che
c’è?”
“E’
obbligatorio vederci sempre così?” Il tono era
accusatorio, stupidamente visto che quella sposata è lei.
“Che
problema hai?”
“E’
un motel e non sono una puttana”
“Preferisci
in macchina?” chiese con un pizzico d’ironia mentre
si allacciava i bottoni della camicia.
“Perché
non possiamo più fare a casa tua?”
“Ci sono
stati cambiamenti, vivo con altre persone”
“Hai una
fidanzata?”
“No, ma il
nostro accordo non era “una domanda ogni
tanto”?”
“C’è
qualche problema? Posso aiutarti?”
“Non
c’è niente davvero, sono solo occupato con lo
studio”
La vide davvero
preoccupata, provò a baciarla ma lei si tirò
indietro.
“Sandy e
Kirsten saranno contentissimi”
“Non lo
sanno e sei pregata di non farglielo sapere”
“Non li
inviterai?” Era stupita, ma lo sarebbe stato chiunque.
“No”
Non riusciva a capire, erano così tante le cose che non
capiva di lui e altrettanti i momenti in cui sembrava capire tutto, che
la mandavano in tilt, perché lui non spiegava mai niente.
“Hanno fatto
tanto per te e… te l’hanno pagata loro
l’università”
“Mi piace
questo tuo lato morale che ogni tanto spunta fuori… Dopo
tutto sei piena di moralità… Tradisci tuo marito
con me, menti a tua sorella che non vedi da anni, ma ricordi a me che
è lei a pagarmi gli studi...”
Non voleva essere
bastardo ma odiava affrontare questi discorsi così.
“E Seth e
Summer?”
“Non ci
saranno nemmeno loro, finite le domande?”
“Stai
sbagliando”
“Nessuno ti
ha chiesto un parere”
“Devo
chiederti il permesso per dirti quello che penso?”
“Dio come
sei, per una cena ti prendi il diritto di iniziare a dare giudizi sulla
mia vita?”
Prima che potesse
rispondere, era già sparito sbattendo la porta.
L’aveva
lasciata lì, ancora una volta. Sprofondò nelle
lenzuola finché non senti bussare, escludeva che lui
tornasse indietro, anche perché aveva sentito il motore
della moto partire, quando aprì la porta, si
ritrovò davanti il cameriere con un carrello pieno di cose
da mangiare e un rosa rossa con un bigliettino.
Improvvisamente si
sentì quasi in colpa, per pensarsi una puttana era trattata
piuttosto bene.
Ormai erano quasi due
anni che aveva istaurato questa specie di relazione con Hailey, spesso
si chiedeva come l’avrebbe presa Seth se lo avesse saputo, se
sarebbe uscito con uno dei suoi: “Aspetta... quindi ti fai
mia zia?!”
Arrivato davanti casa
di Luke, si limitò a una suonata di clacson e Kaitlin
arrivò quasi subito.
“Eri a farti
una ragazza o a fare a botte con qualcuno? O entrambe le
cose?”
“Magari
né l’uno né l’altro”
Si chiedeva come
facesse a mettere ironia su qualunque cosa.
“Questo
casco comunque mi rovina sempre i capelli! Dici che non lo vendono un
casco che non spettina?”
Sbuffando la ragazza
si mise il casco si aggrappò a Ryan, lui però,
dopo poco fece inversione con la moto.
Ok, Ryan riusciva a
riderne, questa scena del casco poi la ripetevano tutte le mattine.
Si fermò
davanti al più grande centro commerciale di tutta Portland.
“Niente
scuola oggi”
“Che gran
figata!” Rispose lei abbracciandolo.
Gli sembrava giusto,
insomma vivano insieme da quasi sei mesi e Kaitlin non gli aveva dato
il minimo problema anzi, alle volte quando studiava fino a tardi, era
lei a cucinare per lui, certo era ancora tutto all’inizio e
non voleva illudersi che fosse semplice ma si sentiva di aver fatto la
scelta giusta.
Iniziarono a girare i
vari negozi, anche se l’unica cosa che girava a Ryan era la
testa, invece lei sembrava esserci nata in quel centro commerciale.
“Ma ci sei
già stata?” Chiese un po’ sconcertato,
si limitava a seguirla da un negozio all’altro, cercando di
tenere lo stesso passo, nel tempo che lei guardava una vetrina lui ne
aveva già guardate sei.
“No
perché?”
“Scusa come
fai a orientarti?” A lui sembrava di essere sempre allo
stesso punto o forse erano solo tanti negozi tutti uguali.
“Ho passato
l’infanzia a girare per centri commerciali comprando le cose
più inutili del mondo solo per il gusto di spendere soldi,
essere la figlia di Julie Cooper ha anche dei vantaggi”
“Bene allora
dove troviamo le vernici per ritinteggiare casa?”
“Non lo so,
da noi venivano a ritinteggiarci casa” disse mentre guardava
la mappa del centro posizionata tra varie panchine tutte occupate da
bambini con gelati in mano e qualche genitore esasperato “E
molto probabilmente mia madre si faceva l’imbianchino e i
suoi operai tutti insieme” aggiunse subito dopo.
Mentre aspettava ai
tavolini fuori dal centro Ryan diede un occhio al cellulare, non
c’erano telefonate, né messaggi, era passato poco
tempo e forse era ancora arrabbiata anche se non capiva per cosa, la
loro relazione non era certo fatta per capire era fatta per non
pensare, ma sapeva di aver sbagliato nel dirle certe cose.
“Il
fattorino ci porta le vernici nel pomeriggio”
“Che?”
Lei gli porse il
gelato e scotendo la testa precisò subito “Certo
che sapevo dov’era il reparto vernici, ma volevo scegliere io
i colori di casa”
“E che
colori hai scelto?”
“Per la mia
camera fucsia, il resto sarà a sorpresa”
“Non mi
piacciono le sorprese”
“In sole tre
ore ho scoperto che ti piace il gelato al cioccolato e non ti piacciono
le sorprese più di quanto ho scoperto negl’ultimi
sei mesi, lo shopping aiuta più te che me!”
Il silenzio non era il
massimo e poi erano mesi che voleva chiederglielo, pregò che
un gelato al pistacchio le desse quel coraggio.
“Ti sei
pentito?”
“Bè
sei ore per scegliere una maglia blu tinta unita, forse un
po’ si”
“Intendevo
di tutto” precisò lei diventando improvvisamente
seria.
“Non mi sono
pentito proprio di niente”
Ryan è
così non ti dice mai più di quel che chiedi.
“Certo che a
voler scambiare due parole con te si fa fatica”
“Lo so, tu
però parli troppo”
“E tu troppo
poco, ci compensiamo alla grande”
“Io
cercherò di parlare un po’ di
più”
L’aveva
ripromesso a se stesso un centinaio di volte da quando aveva deciso di
accettare l’affidamento e si sentiva in colpa per non
riuscire mai a farlo.
Da qualche parte
doveva iniziare e sperava che il gelato al coccolato lo aiutasse.
“Dai
approfitta della giornata che vuoi sapere?”
Stava rischiando
conoscendo Kaitlin avrebbe potuto chiedergli qualunque cosa.
“Quando ti
sei sposato con mia sorella?”
Per poco non gli
scivolò il gelato tra le mani.
“Quelli
della casa famiglia mi dissero che potevo chiamarti perché
eri a tutti gli effetti un mio parente…”
“A Las
Vegas”
“Forte!
E’ proprio come nei film? Vai la è
c’è un tipo che ti sposa subito?”
“Sì,
ma tu non lo fare”
“Ma scherzi,
il giorno in cui mi sposerò ti taglieranno le
palle”
“Nel senso
che non ti sposerai mai, voglio sperare”
“Certo, a
mia madre sarà venuto un infarto”
Ryan si ricordava quel
giorno nei minimi particolari e solo parlandone gli sembrava di
riviverlo, Kaitlin lo risvegliò dal torpore in cui per
qualche attimo si perse.
“Che palle
è già finito il momento
“domande”?”
“Tua madre
non lo sa”
“Cioè
vi siete sposati e non lo avete detto a nessuno?”
“Così
doveva essere, ma Summer lo saprà di sicuro”
Era andata piuttosto
bene per essere la prima volta che parlavano un po’ di
più.
“Sto bene
qui, penso di non essere mai stata così serena in vita mia,
puoi stare più tranquillo”
“Se ci sono
problemi me lo devi dire sempre”
“Lo
so, ora posso abbracciarti?”
Lo fece ancor prima
che lui potesse rispondere, sussurrando un
“grazie”, immaginando il suo imbarazzo quando si
sciolse dall’abbraccio tornò a prenderlo in giro
come sempre.
“Comunque tu
sei uomo, non puoi capire le scelte per quanto riguarda i
vestiti”
“La commessa
secondo me dopo essere riuscita a servirti chiede
l’aumento”
“Uuuh ma
allora è vero che quando c’è la luna
piena Ryan Atwood è simpatico…”
“Ti va bene
che non c’è quasi mai”
Lo guardava dalla
macchina e tutto sembrava meno che avesse in testa la laurea. Era fuori
da un centro commerciale con una ragazza molto giovane, sembravano
affiatati, scherzavano.
Si sentiva scema, non
era mai stata gelosa, anche perché non avevano mai parlato
di queste cose, ma il fatto che lui le avesse mentito la faceva
imbestialire, non c’era motivo di farlo, poteva benissimo
dirle che aveva una fidanzata.
In un attimo
ripensò a tutto, a quando lo aveva chiamato la prima volta.
Aveva un debito da
pagare con un tipo poco raccomandabile e non poteva certo chiedere a
Seth di accennarlo a sua madre. L’ultima volta che
l’aveva visto era stato al funerale di suo padre, era andato
con Marissa a farle le condoglianze ed erano stati tutto il giorno a
casa Cohen per occuparsi di tutte le cose a cui Kirsten in quel momento
non poteva pensare, ma sapeva certo tutta la sua storia e sperava che
le desse una mano, altrimenti l’alternativa sarebbe stata
chiamare Sandy e parlare di droga ad un avvocato, marito di tua
sorella, non era il massimo della vita.
Rimase un
po’ basita quando lui le disse che ora stava a Portland, ma
le sembrò subito predisposto ad aiutarla, così si
diedero appuntamento in un locale carino e tranquillo. Quando lo vide
entrare non fu nemmeno sicura fosse lui, le sembrò una
persona totalmente diversa: aveva il fisico molto più
scolpito, i capelli molto più corti e la barba piuttosto
pronunciata, ha sempre mostrato più anno di Seth, ma
sembrava averne dieci di più.
Aveva ascoltato lei
che gli parlava di questo tizio che era uscito di prigione e che quando
era giovane le aveva dato della roba e ora voleva i soldi, lui non era
affatto turbato, veniva da Chino.
“Poi ti
ridò tutto con gli interessi. Se dico a mio marito che da
giovane tiravo di coca addio soldi”.
Quando aveva finito di
sperperare la sua parte di eredità in viaggi, non poteva
certo chiedere altri soldi a sua sorella, non aveva più
diciotto anni e la predica di Kirsten voleva evitarla, decise di
sposare Jack, molto più vecchio di lei ma anche ricco
sfondato. Le era sembrata la soluzione più semplice.
“Basta che
non diamo problemi a casa”
Ryan le aveva
semplicemente risposto “Sono d’accordo, voglio che
Sandy e Kirsten abbiano meno problemi possibile” .
Così si
vedevano ogni volta che Hailey riusciva a spillare al marito qualcosa.
Erano serate tranquille e con il tempo non si parlò
più di casa, di Newport ma sembravano due semplici persone,
parlavano molto di qualsiasi cosa, dopotutto per avere venticinque e
trentadue anni ne avevano di avventure da raccontarsi.
“Allora
brindiamo al fatto di aver risolto questo problema senza aver creato
casini a casa” brindare con coca light non era molto
trasgressivo ma vista la poca attitudine di entrambi per gli alcolici
era la cosa più normale.
“Giusto”
“Non avrei
mai pensato che ci saremmo riusciti”
“Grazie per
la fiducia, la prossima volta chiama Seth”
“Credo che
questo sia il primo casino che risolvo senza chiedere a casa”
“Io credo
sia il primo che risolvo e basta”
L’aveva
riaccompagnata in moto fino a casa ed era la prima volta che lo faceva,
di solito chiamava un taxi, una volta arrivati erano stati ancora un
po’ fuori a parlare parlavano di tutte le cose successe in
quei mesi si soffermarono scherzando su quel giorno in cui Ryan era
convinto di non passare un esame e poi prese tenta e quella stessa sera
andò a consegnare dei soldi ad una filippina che parlava
solo cinese.
Gli veniva da ridere
solo ripensandoci. Doveva essere una cosa losca ma non lo fu affatto,
la signora tirò fuori anche un traduttore.
“E’
tardi è meglio se vado”
“E’
meglio se resti”
Era per quello che ora
si trovava davanti a una porta.
Suonò un
paio di volte il campanello e la stessa ragazza che vide con lui al
centro commerciale le aprì mentre si toglieva le cuffie.
“Ciao
c’è Ryan?”
“Si te lo
chiamo!” La ragazza sparì per un attimo e lei si
guardò intorno: c’era un plastico, dei fogli e
libri impignati sul tavolo molto probabilmente riguardavano la tesi, un
arredamento completamente diverso e una tv con schermo gigante,
insomma, dall’ultima volta che c’era stata sembrava
essere passato un uragano.
“Vieni
entra, forse sta facendo un po’ di palestra e magari ha la
musica nelle orecchie”
“Sono in
doccia un attimooo”
“E’
in doccia ha finito la palestra” le disse con fare
accogliente.
“Tu chi
sei?”
“Ketlin
Cooper tu?”
“La sorella
di Marissa?”
Non le dava fastidio.
Era abituata da sempre a essere riconosciuta così, ma certo
preferiva quando era la sorella della ragazza più in voga di
Newport che la sorella della ragazza morta in un incidente.
Comunque il quel caso
non sapeva che rispondere, qualcuno la salvò dalla
situazione complicata, un fattorino comparve e chiese di Ryan, che
proprio in quel momento spuntò alle sue spalle, indossava
dei jeans e una maglietta al contrario.
Ci rimase di sasso nel
trovarla lì.
Il fattorino andava di
fretta e in rapida successione elencò le cose che nel
frattempo scaricava, c’erano dei bidoni di vernice, un casco,
e un sacco da boxe.
“Mi hai
comprato il casco che non spettina?” Dal suo sguardo sembrava
le avesse regalato la cosa più bella del mondo e in un
attimo si fiondò ad abbracciarlo. Doveva abituarsi a questa
cosa degli abbracci, decisamente.
“Mi hai
comprato un sacco da boxe?” disse lui con sguardo tra
l’incredulo e l’evasivo.
“Ho sempre
saputo che ti piace fare a botte, cioè potresti scaricare il
nervoso!”
“Allora dove
lo piazzo?” chiese con una certa fretta il fattorino.
“Dentro?
”rispose la ragazzina prendendosi gioco di lui e facendogli
strada, appena la porta si chiuse Ryan si ritrovò faccia a
faccia.
“Ciao”
“Che ci fai
qui?” Era scocciato, sapeva che non si erano lasciati bene,
ma non era la prima volta e trovava spropositato il piombare
lì in quel modo, soprattutto dal momento che aveva detto a
chiare lettere che si sarebbero visti da altre parti.
“Dovevo
parlarti”
“Il telefono
non lo sai usare?”
Voleva chiarire, ma il
tono acido che usò lui la face scattare come una molla.
Era lui quello che
l’aveva gonfiata di bugie.
“Dai, se
è una cosa lunga, andiamo da qualche parte”
“Qual
è il tuo problema?”
“Sei tu. Io
non ti ho mai fatto improvvisate a casa”
Tentava di credere che
non avesse una fidanzata, ma tutto lasciava pensare il contrario.
“Cos’è
la vita con Marissa non è abbastanza appagante?”
Se lui in due anni
avesse trovato la forza il coraggio e la voglia di dirle che Marissa
era morta ora non si troverebbe in questa situazione.
“Strano
perché l’ultima volta a casa Cohen sembravate
andare alla grande”
Improvvisamente non
riuscì a rispondere come se le immagini prendessero il
sopravvento sulle parole.
Non era colpa sua lei
non lo sapeva.
“Centro
commerciale, bar, shopping”
“Mi hai
seguito?”
“E tu mi hai
mentito?”
“E’
assurdo che tu mi abbia seguito”
“Infatti mi
sembra assurda tutta questa cosa” disse lei recuperando la
calma e calibrando le parole “Sono venuta fin qui per rompere
questa cosa, l’aver scoperto che tu mi abbia detto delle
palle ha spostato l’attenzione ma il motivo era
questo”
Fu una doccia fredda e
lo percepì anche lei dallo sguardo che però non
si scompose più di tanto “Ok, ma il motivo?
Così per curiosità”
“E il tuo di
motivo? Non mi sembra sia la tesi”
Ryan rimase zitto,
lasciò il vuoto, con quella risposta l’aveva
fregato, ma lui non disse niente e la lasciò andare via
così, senza guardarsi in faccia.
Newport Beach.
Nella casa lussuosa
della famiglia Cohen Kirsten sistemava la casetta in piscina.
O quello che ne
rimaneva, Seth aveva deciso di trasformarla in una “sala
della musica” ed era rimasto solo un divano letto, contornato
da mixer, strumenti, casse e amplificatori.
Seth osservava sua
madre dalla finestra interna e ogni volta che vedeva quella scena, si
sentiva arrabbiato, come non lo era mai stato. Ogni volta si
riprometteva che la volta successiva la delusione non avrebbe preso il
sopravvento e invece, accadeva sempre.
Ryan non era
più la stessa persona e tutti ormai avevano accettato questa
cosa, era come andare a sbattere contro un muro e chi ci provava ne,
usciva sempre più devastato. Così avevano
semplicemente smesso.
Quel giorno
però lo ricordava come fosse ieri.
Aveva lasciato un
biglietto sul tavolo di casa Cohen, dove in poche righe spiegava di
volersi trasferire a Portland da Luke.
I suoi genitori ne
furono sollevati, visto che per un po’ avevano sospettato
avesse preso una brutta strada salvo poi scoprire che passava quasi
tutto il tempo sui libri in un bar fuori Newport.
Aveva pensato che
avrebbero mantenuto lo stesso un rapporto, lui avrebbe rielaborato il
lutto e poi sarebbe tornato, dava per certo che non lo avrebbe lasciato
solo. Lui aveva fatto di tutto per aiutare Ryan in quei mesi, ma
più si avvicinava più lui si allontanava, non
immaginava sarebbe stato per sempre, invece piano piano si è
fatto sentire sempre meno, fino a chiedergli di non chiamarlo
più e ora c’è la telefonata alle feste
e il messaggino al compleanno.
Questo è
quello che resta.
Il suono del
campanello lo distolse dai pensieri, aveva appuntamento con Summer,
sarebbero andati a cena fuori per il loro anniversario.
“Volevo
organizzare qualcosa di meglio di una stupida cena, ma con
l’assunzione ero così agitato”
“Ti agiti
sempre per niente, Cohen”
“E’
vero per farmi passare l’ansia ho pensato a com’ero
agitato la prima volta che ci siamo parlati e mi sono sentito calmo e
rilassato”
La senti ridere e la sua
risata per lui era la cosa più bella del mondo.
Note:
Una Fanfic su The Oc, riprende all' incirca dalla fine della terza
serie, con qualche modifica, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!
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