Ti
voglio bene, ma…
Capitolo
1
La
mia vita non si poteva definire perfetta, ma si avvicinava molto alla
definizione: un bel lavoro, un appartamentino, una ragazza che amavo
alla follia. Tutto filava liscio come l’olio… almeno
fino a quando il mio capo non mi convocò nel suo ufficio…
-V…voleva
vedermi mr. Leed? – dissi, aprendo cautamente la porta della
stanza. Quell’uomo mi mandava in agitazione. Forse erano i suoi
baffi volti all’insù, oppure quelle sue mani così
grandi da poter distruggere un masso… insomma qualunque cosa
fosse preferivo non essergli intorno nei momenti di collera.
Lui
non mi ripose. Si limitò ad indicarmi la sedia di fronte alla
sua scrivania. Pessimo segno, pensai. Feci qualche passo e mi
sedetti. La sua espressione non lasciò trapelare nulla di
buono. Male!
-Signor
Miller… da quanto tempo lavora per noi? – mi chiese.
Deglutii rumorosamente. Non capivo il motivo di quella domanda.
–Forza, risponda. – insistette.
-Da
quasi quattro anni signore… - risposi titubante.
Lui
annuì e si porto una mano al mento. –Giusto… e in
questi quattro anni deve aver appreso molto. Non ho forse ragione
signor Miller? –
Lo
guardai confuso. Quel discorso sembrava non avere né capo né
coda. –Certo mr. Leed… ho appreso molto. –
-E
senz’altro avrà anche notato come il nostro settore sia
fortemente scosso da questa crisi – annuii senza proferire una
parola. Sentii un brivido attraversarmi la spina dorsale, il solo
fatto che stesse menzionando la situazione in cui vergeva la nostra
azienda era di per sé un pessimo segno. –E sarà
senza dubbio a conoscenza dei numerosi tagli da effettuare per non
affogare, mi sbaglio? –
-N…
no signore… non sbaglia… -
Leed
mi fissò
dritto negli occhi. Potevo leggervi dentro le parole che stava per
pronunciare… -Sono dolente di informarla che la commissione ha
deciso di ridurre il personale anche nel suo settore… sono
stati scelti i tre dipendenti con meno esperienza. Mi dispiace dirle
che tra quei nomi c’è anche il suo. –
Iniziai
a sudare freddo. Sono certo che se in quel momento mi avessero
sparato non me ne sarei nemmeno accorto. Deglutii –V…vuol
dire che sono… l…licenziato? – chiesi, con un
sussurro. Quasi non volessi che sentisse.
Non
rispose. Continuò a fissarmi e annuì. –Ha tempo
fino a venerdì per liberare la sua scrivania. –
Si
alzò ed io lo imitai, continuando a fissare il vuoto. Mi porse
la mano. –Le faccio i miei migliori auguri. –
Non
dissi nulla. Gli feci un cenno di saluto e, come un automa tornai
alla mia, ormai, ex postazione. Iniziai a riporre le mie cose in una
scatola che già si trovava sulla scrivania al mio arrivo.
Qualche collega doveva aver già saputo del mio licenziamento.
Quella
sera tornai a casa. La prima cosa che feci fu chiamare Ally per darle
la “buona” notizia, e sperare in un po’ di conforto
da parte sua.
-Pronto?
–
-Amore…
sono io. Ho una pessima notizia da darti… -
-Santo
Cielo! Non ti sarai fatto male! –
-No,
no… nulla di questo genere… - presi un bel respiro e
radunai tutto il coraggio. –Sono stato licenziato. –
Ci
fu un momento di silenzio.
-Arrivo
subito. –
Dopo
pochi minuti suonò alla mia porta e, non appena aprii entrò
come un fulmine e si mise a camminare avanti e indietro.
-Ed
ora come facciamo? –
La
guardai stranito. –Come: “come facciamo”? Sono
stato io ad essere licenziato, non tu! –
-Be’,
ma ti rimboccherai le maniche spero! Dovevamo sposarci a giugno, per
allora avrai trovato qualcosa, no? –
-Non
lo so amore… per com’è messo il mercato del
lavoro non si può dire… - lessi l’ansia e la
preoccupazione nei suoi occhi.
-Vuoi…
vuoi dire che non ci potremmo sposare? – la vidi: era sull’orlo
di una crisi di pianto. Mi avvicinai a lei e la strinsi forte, se
avesse iniziato non avrebbe più smetto.
-Ma
no amore… solo che dovremmo farlo un po’ meno in grande…
ed aspettare per acquistare una nuova casa… e forse, per un
po’, dovrai provvedere tu alle entrate… - non appena
finii di pronunciare quella frase Ally si staccò bruscamente.
-Cosa?!
Vuoi dire che dovrei lavorare! – mi chiese scandalizzata.
-Credevo
lavorassi già… - rimasi basito. Aveva un impiego come
segretaria in uno studio medico. Non avevo la minima idea che volesse
lasciarlo.
-Certo
che lavoro, ma non ho intenzione di mantenerti dopo sposati! –
In
quel momento pensai di aver sentito male. Non potevo essermi
innamorato di una donna così superficiale… Le misi le
mani sulle spalle per calmarla. –Cara, vieni con me… -
la condussi in salotto e l’accostai al divano. –Ecco…
siediti. Forse tutta questa storia ti ha un po’ agitata. So che
sarà un grande cambiamento, ma vedrai che lo affronteremo
insieme. –
-Certo,
come no! E in che modo vorresti affrontare la questione? –
Mi
guardai intorno. Sapevo che per tirare avanti avrei dovuto fare delle
rinunce, oltre a quelle appena dette… -Pensavo di lasciare
questo appartamento. Dopo sposati potremmo vivere in uno un po’
più piccolo. Verso la periferia magari… -
-Cosa!
– esclamò, muovendo la testa da una parte all’altra.
–Vorresti farmi vivere in una specie di topaia? –
-Tesoro,
calmati… so che sarà difficile abituarsi all’inizio,
ma vedrai che… - mi bloccò e si posizionò di
fronte a me.
-Senti
Erik… io ti amo… ma non sono pronta a tutto questo…
-
-Cosa
intendi? – chiedi, sudando freddo per la seconda volta quel
giorno.
-Non
posso affrontare questo… mi… mi dispiace…- si
sfilò l’anello dal dito e me lo mise in mano. Si voltò
e uscì dall’appartamento lasciandomi a bocca aperta.
Non
ho molti ricordi di quella notte. Ciò che so di per certo è
che chiamai il proprietario dell’immobile per avvertirlo della
mia imminente partenza e della recessione dal contratto. Dopo aver
bevuto un numero imprecisato di bicchieri, ripresi il telefono in
mano e chiamai mia sorella Jennifer.
Abitava
in un piccolo paesino appena fuori la città, nella casa un
tempo appartenuta a nostra nonna. Mi parve sorpresa nel sentire la
mia voce.
-Erik…
sei tu? – chiese, appena rispose.
-Ciao
sorellina… - continuai a ridere come un pazzo –Sai la
novità? Mi hanno licenziato… e non è tutto sono
stato pure mollato da Ally… - ero accasciato sul divano con
telefono appoggiato, per miracolo, all’orecchio.
-Oh
no… Erik, mi dispiace. Come ti senti? – sicuramente
aveva capito che, in quel momento, non ero proprio me stesso.
-Una
favola… inoltre ora non mi posso più permettere di
stare in questo appartamento. Ho chiamato il proprietario, che è
stato così gentile da… da lasciarmi tre giorni per
smontare baracca e burattini… - risi di nuovo. Per fortuna
l’alcol mi rendeva allegro, altrimenti avrei aggredito la
povera Jennifer.
-Erik…
- la sentii sospirare. Era sempre stato nel suo carattere
preoccuparsi per me o per nostro fratello. –E ora dove
andrai? –
Alzai
le mani, come se avesse potuto vedermi –Non ne ho idea! Sotto
un ponte? – caddi dal divano dalla forza della risata.
-Erik…
vieni da me! – a quelle parole mi ripresi del tutto.
-No,
ti darei troppo disturbo. Non voglio interferire nella tua vita. –
-Ma
che dici, sono tua sorella maggiore. E quindi niente scuse: vieni da
me! –
Biascicai
un –Ok…- riattaccai e tutto diventò buio…
se non fosse stato per la chiamata di Jennifer del giorno seguente
non mi sarei mai ricordato della “promessa” fattale.
N.d.A.:
Salve a tutti! Eccomi con una nuova storia. Sempre più
Nonsense ‘-.-
Spero
che questo primo capitolo vi sia piaciuto. ^^
Grazie
a chi avrà la pazienza di leggerlo!
A
presto SoGi!
P.S.:
Un grazie a Fly90 per la correzione ^.*
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