• G e n i u s
È naturale che fin dalla nascita i genitori impongano sulla
propria prole determinate aspettative.
Anzi, no. Già da prima che tu venga al mondo fantasticano su
ciò che potrai diventare, se un dottore, un ingegnere o un ricco imprenditore;
scelgono il nome che ti accompagnerà per tutta la vita, sperando che sia di
buon auspicio, e appena liberi il tuo primo pianto – appena ti trovi in
quell’ambiente di sorrisi, carezze, attenzioni, è quello il momento in cui
decidono che tu sarai un successo.
Ti circondano di "giochi educativi", ti sovrastano con stimoli
che a detta loro sono necessari a renderti più attivo
e reattivo nei confronti del mondo che ti circonda; e tu guardi il tutto con gli
occhi dell’inesperienza, credendo che sia un divertimento, il tuo, un semplice
passatempo, non qualcosa di poco lontano dall’essere una gretta quanto subdola
manipolazione.
Inutile descrivere quanto grande sia il loro orgoglio quando
scoprono che sei un bambino prodigio, anzi, un genio vero e proprio. Non esitano un attimo ad attribuirsi tutto il
merito per avere un figlio con dei punteggi così alti e, senza esitare oltre,
ti ficcano in programmi avanzati in cui sei costretto
a tenere la testa sui libri giorno e notte, a ingoiare una nozione dopo l’altra
come se ciò fosse tutto quello che puoi fare nella vita, adesso che è uscito
allo scoperto il valore numerico e oggettivo del tuo potenziale.
E inizialmente lo accetti, lo accetti perché non sembra così
difficile, lo accetti perché in fin dei conti è questo il tuo dovere in quanto figlio: rendere fieri i tuoi genitori del tuo
operato, dimostrare loro che il tempo e le energie che hanno investito su di te
non sono stati usati inutilmente.
Crescendo, però, ti domandi come sia possibile che mentre tu
sia chiuso in una stanza a studiare, là fuori vedi ragazzini della tua età
passare il loro tempo anche senza stare con la testa sui libri. Ti chiedi
perché tu sia l’unico a ricevere compiti separati rispetto al resto dei tuoi
coetanei.
Ti viene spontaneo cercare di capire come mai, se cerchi
aiuto, a te non è dovuto. Ma
la risposta che ti echeggia in testa è una sola: sei un genio, puoi cavartela da solo.
Ed è orribile come lentamente ti rendi conto della semplicità con
cui tutte le cose inizino a sfuggirti di mano. Laddove i tuoi compagni sono
premiati tu sei biasimato e umiliato, se osi fare peggio rispetto ai tuoi
standard è solo perché sei uno scansafatiche. “Sei un genio” ti dicono “Smettila di sprecare così il tuo potenziale”.
Ti disperi su libri che non riesci a capire, su un linguaggio
che nessuno ti ha mai spiegato e che vorresti imparare
ma non puoi perché nessuno ti ha mai detto cosa significhi; ti sforzi
di inferire regole che non sempre si rivelano corrette passando ore e ore su
teoremi che per te non vogliono dire nulla, ma che poiché sei un genio non puoi
permetterti di non capire, anche a costo di rimanere ancorato alle tue
difficoltà.
Anche a costo di rimanere più indietro negli altri.
E cosa implica un fatto tanto grave?
Il fallire, naturalmente. Fallire nell’essere quel prodigio che
tutti sanno che sei ma che, a quanto pare, non vuoi mostrare di essere. Perché, ovviamente, se è stato loro il
merito della tua genialità non può essere loro anche la colpa del tuoi insuccesso; non è
stato il loro affidarsi troppo all’altisonante punteggio a tre cifre scritto
alla fine di un test, ignorando che nonostante tutto sei ancora un umano con
gli stessi bisogni che hanno tutti gli altri ragazzini della tua età, a farti
arrancare disperatamente un giorno dopo l’altro fino a toccare disperatamente
il fondo: è solo colpa tua.
“Non ti ho impartito questa educazione.”
“Nessuno ti ha mai insegnato ad
essere così svogliato.”
“Pensi che un simile atteggiamento possa
portarti da qualche parte? Non è trasgredendo a tutti i costi che si
arriva in alto.”
“Se avessimo saputo quanto saresti diventato pigro e
indisponente non avremmo mai sprecato tutto questo tempo su di te.”
“Sei solo una delusione.”
Sono queste le parole che giorno dopo giorno hanno costruito
un muro sempre più alto tra te e coloro che un tempo ti glorificavano come se
fossi il nuovo messia e che adesso a malapena ti rivolgono, quando il tuo
sguardo incontra il loro, un’occhiata di contrariata
sufficienza. E che tu ti rimetta in carreggiata mantenendo nuovamente buoni
voti, che riesca a riprendere ciò che avevi perso nel tuo disperato arrancare, o
che, al contrario, decida di lasciare di nuovo la presa e sprofondare
nell’abisso, non c’è più niente, ormai, che possa penetrare quei mattoni di
fredda indifferenza.
Perché non importa che tu sia un genio o un prodigio.
Ogni cosa, una volta rotta, diventa solo spazzatura.
Insuccessi scolastici + una
buona dose di incubi dovuti all’overdose di psicologia
dello sviluppo + un personaggio problematico dal bg incerto=
oneshot discutibili che la Rea decide comunque di
postare.
Anyway, salve a tutti! È da una vita che non scrivo più niente da queste parti – complice il poco
tempo, la poca voglia, la creatività completamente risucchiata dagli studi e
via dicendo.
Mi rifaccio viva con ottocento
parole tonde tonde su Makoto Hanamiya,
il nostro Bad Boy preferito dalla saga di Kuroko no Basket – anime che ho iniziato a guardare
negli ultimi mesi, in mezzo a tutti le altre millanta serie che sto seguendo e
che ho guardato per la prima volta dopo anni (Lo so che ho detto di non aver avuto tempo, ma chiaramente era perché
sprecavo tutto quello che avevo in anime di varia natura
sono proprio un essere umano discutibile)
Che dire? Ho finito per
affezionarmi al personaggio di Hanamiya quasi senza
accorgermene, motivo per cui mi è venuto spontaneo
cercare di trovare un minimo di senso alla sua molto sana filosofia del ‘faccio
il cattivone perché mi garba vedere la gente contorcersi dal dolore’. Non
pretendo di essere Freud ma spero che un minimo di tutto questo sfogo (scritto
forse più per bisogno personale che altro) abbia un briciolo di senso, e che si
capisca all’incirca dov’è che volevo arrivare.
Al solito ringrazio chiunque favoriterà/leggerà/passerà per puro caso, e al solito ogni
recensione – positiva, negativa, neutra che sia – è sempre ben
accetta. Cercherò di rispondere sempre, se non lo faccio o è perché sono sicura
di averlo già fatto, o perché me ne sono tristemente e inettamente dimenticata,
o è perché Hanamiya mi ha già rotta
e trasformata in spazzatura.
Alla prossima!