Se pure su
una strada si specchia il grigio, non ho
sentimenti da dare via all’incrocio di una scala. Guardo
quegli occhi uscire da
un bagno che li ha contenuti troppo a lungo e chiedo al sole di
scaldare il
breve senso di quest’attimo di empatia strana. Non
c’è tristezza e neanche
colpa, forse lieve paranoia e un po’ di vuoto, gli occhi;
lacrimano, forse
perché ciò che è entrato in vena
scalza via la vita da una ghiandola che è
sempre ad un incrocio, quello delle palpebre che a volerlo coprono
anche la più
intensa delle luci – e lo diresti, tu, vedendole
così sottili? – e nascondono
nei capillari rosa un veleno che le irrora. Mi chiedo cosa ti porta
alla
chiusura, e a sostituire con la mancanza il niente. Entropia, disordine
astratto, arrendevolezza inconsapevole, chi ti guarda con disgusto non
ha mai
provato, forse, a riempire il vuoto con certezza magra. Io ti guardo e
mi
ipnotizzi, ed un’ombra scura mi acchiappa dentro e mi
intorcina il felafel.
Quasi che da quel bagno, insieme a te, fossi uscita pure io.
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